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CAPITOLO II: LA DETERMINAZIONE E LA CARATTERIZZAZIONE DELLA

9. Conclusioni intermedie

Come visto, dunque, in base alle molteplici iniziative legislative e idee dottrinali225

sembra affiorare una certa sfiducia nei confronti della tassazione reddituale classica, con la preferenza verso tipologie di imposizione indiretta ovvero verso ipotesi nuove o miste che sembrano supplire al ruolo avuto dall’imposta personale sui redditi.

Emerge, dunque, un certo grado di scetticismo nell’imposta reddituale in sé e per sé, con un progressivo spostamento da una tassazione personale a una tassazione reale. Il principale problema, come approfondiremo nel successivo capitolo, è rappresentato da una sfrenata concorrenza fiscale tra Stati, i quali, soprattutto nell’ambito europeo sono costretti

Organizzazione virtuale, sulle imposte societarie e sull'imposta sul valore aggiunto (IVA) per le società straniere che forniscono servizi digitali ai clienti israeliani tramite Internet. ROSENSWEIG, Tax Authorities Publish Draft Circular on Internet Activity of Foreign Companies, in International transfer pricing journal, 2015.

225 Non sono ancora state considerate le iniziative legislative e le proposte dottrinali che, a parere dello

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a rincorrere la ricchezza, la quale, come è noto, può essere allocata all’interno dell’Unione con la protezione fornita dai Trattati.

Nella dottrina, si rileva una certa abitudine nel considerare la tematica della territorialità dell’imposizione, come problema principale della fiscalità digitale, discutendo, dunque, sul luogo in cui si crea il valore di questa nuova forma di impresa. Per i motivi già evidenziati prima, però, sarebbe forse opportuno ricominciare il ragionamento, discutendo, in primo luogo, del concetto di valore e di catena del valore digitale.

Nell'economia digitale, il valore è spesso creato da una combinazione di algoritmi, dati utente, funzioni di vendita e conoscenza. Un utente, ad esempio, contribuisce alla creazione di valore condividendo le sue preferenze, oltre a classici dati personali. Questi dati verranno, poi, utilizzati e monetizzati per effettuare la cd. “pubblicità mirata”.

I profitti, derivanti dall’attività pubblicitaria, tuttavia, non sono necessariamente tassati nel paese dell'utente (e chi guarda l'annuncio), ma piuttosto nel paese in cui sono stati sviluppati gli algoritmi pubblicitari. Ciò significa che il contributo dell'utente agli utili non viene preso in considerazione quando la società è soggetta ad imposta in un altro ordinamento, diverso da quello in cui è localizzato il cliente.

In questa ipotesi si verifica il fenomeno del trading with a country, ossia la possibilità di mantenere un’attività economia in un ordinamento, senza la necessità di avere una presenza di alcun tipo. Se, in passato, come è noto, principalmente, le imprese agivano trading in a country e, dunque, con una presenza fisica che garantiva la contribuzione alle pubbliche spese in quello Stato, adesso, ciò non è più possibile. La catena del valore dell’impresa classica con la rigidità delle fasi di produzione e commercializzazione dei prodotti rendeva altamente improbabile un completo affrancamento da imposizione, invece la nuova tipologia di attività economica rende assai possibile questa evenienza, proprio perché si riscontra un chiaro disallineamento tra l’impresa del passato e quella di oggi.

In sostanza, la catena del valore (produzione del prodotto, raffinazione, applicazione del prodotto e suo consumo) classica non è facilmente sovrapponibile a quella dell’economia digitale non solo perché non si può identificare perfettamente il luogo di generazione del valore, quanto perché bisogna individuare l’esatta identificazione del valore stesso.

Le transazioni commerciali via web e le "merci dematerializzate", id est i servizi digitali, comportano la completa mobilità dei beni e dei servizi scambiati, rendendo arduo

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individuare l'origine della catena del valore ed i confini della potestà impositiva dei singoli Stati. Le multinazionali digitali sfruttano al meglio tale contesto, dislocando le funzioni in Paesi che agevolano segmenti di attività puntualmente identificati: produzione in Stati a basso costo di manodopera, trasferimento dei prodotti in Paesi a limitato impatto sui dazi doganali, distribuzione negli Stati consumatori con transazioni infragruppo da Paesi che consentono politiche di transfer pricing agevolate, collocazione della struttura finanziaria dove si minimizza l'impatto fiscale sui redditi da capitale (dalle distribuzioni di utili alla tassazione dei proventi dei finanziamenti infragruppo).

Negli ultimi anni, sulla base di questi schemi, le politiche fiscali dei giganti del web si sono concentrate soprattutto sullo sfruttamento economico - sotto forma di royalties intassate (o quasi) - degli intangible generatori dei ricavi prodotti worldwide. Ogni Stato sovrano tende ad agevolare una frammentazione giuridica della catena produttivo- distributiva e, con essa, le funzioni svolte dalle imprese attive nel settore della digital

economy.

Tuttavia, accanto alla questione della collocazione della catena del valore, si deve considerare che è proprio l’oggetto del valore ad essere significativamente diverso dalla impresa manifatturiera. Mentre nell’impresa tradizionale la catena del valore assumeva sì valore unitario, ma, ogni anello aveva una propria ragione individuale, nell’economia digitale i singoli elementi del network sono da considerare come anelli di una catena del valore che assume pieno rilievo a livello complessivo. I singoli anelli hanno peraltro un valore atomistico, cui si associa un plusvalore olistico, quando tutti gli anelli sono correttamente concatenati: in altri termini, se il valore degli anelli si realizza compiutamente a livello associativo, solo nell'ambito di una catena complessiva che rappresenti l'intera filiera, esso ha anche un valore singolarmente apprezzabile.

Alcuni anelli possono assumere un rilievo strategico particolare, se assumono caratteristiche di esclusiva, con un potere contrattuale che può sconfinare nelle rendite monopolistiche (tipiche di taluni brevetti). In ambito digitale, l'interoperabilità tra i singoli anelli della filiera e protocolli standard sempre più convergenti riducono peraltro gli ambiti di esclusiva e consentono applicazioni ad ampio raggio, che aumentano la versatilità - e quindi il valore - degli stessi anelli (o nodi del network).

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La creazione di (plus)valore si associa alla sua diffusione e condivisione, anche a titolo di co-creazione (come si è anticipato, a proposito delle interrelazioni B2C tra produttore e consumatore proattivo), in un contesto evolutivo in cui il valore delle informazioni assume una portata sempre più rilevante. L'IoT va quindi considerato come un processo fortemente innovativo, che incorpora intangibili coordinati e connessi, attribuendo loro un plusvalore sistemico anche assai rilevante. Ciò considerando la scalabilità del "modello" IoT, che lo rende replicabile ed estendibile (geograficamente o anche merceologicamente, in settori diversi) con costi incrementali del tutto limitati e con evidenti benefici in termini di aumento della marginalità economica (ricavi al netto dei costi). L'innovazione schumpeteriana che ne deriva crea nuovi mercati e opportunità, distruggendo allo stesso tempo modelli di business diventati rapidamente obsoleti226. La tracciabilità informatica dei passaggi della supply chain può consentirne una rilevazione e codificazione tramite algoritmi, da utilizzare anche per finalità di valorizzazione economica della filiera IoT.

Seppure non sia affatto pacifico a livello internazionale se ed in che misura i dati e la partecipazione degli utenti rappresentino un contributo alla creazione del valore da parte dell'impresa227, dal punto di vista accolto in questa ricerca non si può fare a meno di interrogarsi sulla nozione di valore digitale; altrettanto vero è che vi sia concordia di opinioni nemmeno sulla rilevanza e sulla importanza, quanto alla localizzazione della creazione del valore, di alcuni fattori che sono sì tipici delle imprese digitali, ma presenti anche in imprese "tradizionali", quali la c.d. cross-jurisdictional scale without mass ed il crescente ricorso ad IP assets. Non è semplicemente una questione di disallineamento tra luogo di tassazione dei profitti e luogo di effettiva creazione del valore228, ma è di individuazione proprio del valore che potrebbe non identificarsi con i classici concetti economici rilevanti di reddito e

226KOFLER, MAYR, SCHLAGER, Taxation of the Digital Economy: A Pragmatic Approach to Short-Term

Measures, in European Taxation, 2018, Vol. 58, No. 4., i quali svolgono una puntuale analisi dei principali modelli di business dell’economia digitale, distinguendo tra “traditional”, “hybrid” e “new”. I modelli tradizionali sarebbero quelli in cui l’avvento di Internet ha semplicemente sviluppato ulteriormente il modello di business tradizionale (si pensi ad Amazon), quello ibrido è quello in cui il mezzo elettronico combinato con elementi tradizionali ha sviluppato nuovi prodotti e nuovi mercato e, infine, il modello realmente nuovo è quello in cui l’utilizzo e lo sfruttamento economico dei dati è il cuore del business.

227 DELLA VALLE, La web tax italiana e la proposta di direttiva sull'imposta sui servizi digitali: morte di un

nascituro appena concepito?, in Fisco, 2018, vol.16, p. 1507.

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consumo. Come anticipato prima, questa tipologie d’imprese ricade nei cd. modelli di business valore, in cui la ricchezza effettiva dell’impresa non è da rinvenire tanto nella redditività, ma quanto nella organizzazione dei mezzi produttivi digitali e non. Sia chiaro ciò non significa che le imprese digitali non sia altamente redditive, anzi è vero proprio il contrario per tutta quella serie di ragioni già esplicitate. Tuttavia, la potenzialità economica espressa dai modelli di business di queste imprese riesce a intercettare in modo migliore la ricchezza rispetto ai canonici indici di reddito e consumo.

I servizi pubblicitari di Google, ad esempio, sono chiaramente basati sulle precise conoscenze di Google sugli utenti, basate su dati forniti dall'utente (passivamente forniti) (ad esempio, ricerche, cronologia di navigazione, dispositivo utilizzato, posizione, ecc.), ovvero la monetizzazione delle preferenze dell'utente e comportamenti in un processo molto diverso dalla creazione di valore in una catena di valori classica. Facebook, ancora, chiaramente una rete di valori ed è la piattaforma di social media di maggior successo, non solo riceve contenuti generati dagli utenti, ma monetizza anche i dati degli utenti personali per servizi pubblicitari mirati. Il valore di queste nuove imprese, dunque, non è solo nella loro capacità di monetizzare l’impressionante mole di dati a loro disposizione, ma anche nella possibilità di vendere la propria attività.

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