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CAPITOLO I: INQUADRAMENTO DEI PROBLEMI TEORICI DELLA FISCALITÀ

8. Problematiche fiscali dell’economia digitale: profili generali

8.1. Presentazione del problema: se l’Economia digitale sia compatibile con il diritto

Il problema della fiscalità dell’economia digitale non rappresenta sicuramente un tema così nuovo, ma anzi le riflessioni su questa tematica da parte della dottrina147, ormai,

145 Si fa chiaro riferimento all’ammenda comminata alla società Microsoft con la decisione della Commissione

Europea n. 2007/53/CE. Sul punto si veda le successive Sentenze del Tribunale dell’Unione Europea, T-167/08 e T-201/04, Microsoft.

146 http://www.lemonde.fr/entreprises/article/2018/01/08/apple-vise-par-une-enquete-preliminaire-du-parquet-

de-paris-pour-tromperie-et-obsolescence-programmee_5239070_1656994.html

147 Tra i primi a intuire le problematiche della fiscalità nel mondo digitale HINNEKENS, New Age International

Taxation in the Digital Economy of the Global Society, in Intertax, 1997, vol. 4, p. 116; DOERNBERG,

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risalgono a più di una ventina di anni fa. Il tema, poi, a causa delle rilevanti conseguenze in ordine al gettito degli Stati, è stato chiaramente analizzato anche da enti statali e organizzazioni internazionali tra Stati, come l’OCSE148. La dottrina, in primo luogo, ha

valutato l’impatto teorico e, indirettamente, anche quello pratico dell’emersione dell’economia digitale sui regimi fiscali nazionali e sulla tassazione internazionale. I singoli ordinamenti statuali positivizzano norma che limitano o tentano di limitare gli effetti di erosione della base imponibile nel proprio territorio. Le organizzazioni intergovernative, infine, tentano di trovare soluzioni che contemperino le prerogative impositive statuali con la globalizzazione delle economie.

Da allora si discute sulla compatibilità di regole fiscali, create in un’altra economia, alla realtà digitale. Al momento, più che dell’attualità, in astratto, delle norme di diritto tributario nazionale o internazionale, le tematiche sviluppate attengono fini molto più pratici delle riflessioni dogmatiche sul tema, riguardando gli effetti, per così dire, distorsivi delle imprese digitali nei mercati e della (mancata) partecipazione alle pubbliche spese.

La riflessione che si impone, soprattutto, all’ordinamento statuale è quella di limitare gli effetti prodotti dalle strutture societarie costruite dalle imprese digitali, in particolare la minimizzazione della tassazione nello Stato della fonte e/o nello Stato della residenza. In tutti i report e anche in diversi articoli di dottrina, viene spiegato in modo dettagliato le modalità con cui le imprese digitali siano riuscite a creare delle strutture societarie in grado di raggiungere questi scopi, mediante spesso un’interpretazione aggressiva delle norme internazionali e nazionali.

In quest’ottica, le imprese digitali attuano delle strategie societarie149 così sofisticare

da consentire una sostanziale imposizione minima se non addirittura assente sui propri profitti ovunque prodotti. In particolare, le possibilità offerte dal digitale e dai modelli di

VALENTE, ROCCATAGLIATA, Internet, Aspetti giuridici e fiscali del commercio elettronico, Roma, Ipsoa, 1999.

148 OECD, Electronic Commerce: The Challenges to Tax Authorities and Taxpayers - An Informal Round Table

Discussion between Business and Government, Parigi 1997; U.S. Department of the Treasury, Office of Tax Policy, Selected Policy Implications of Global Electronic Commerce, Novembre 1996.

149 Strategie talmente raffinate che hanno portato qualcuno (TING, I-Tax Apple’s International Tax Structure

and Double Non Taxation Issue, British Tax Review, 1, 2014) ad affermare una sorta di brevetto su questo tipo di strutture, si veda l’I-Tax di Apple

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business progressivamente attuati, hanno reso possibile di minimizzare l’imposizione, attraverso un progressivo spostamento dei redditi prodotti in Stati a fiscalità privilegiata.

Innanzitutto, da un punto di vista territoriale le imprese hanno la possibilità di stabilire la propria residenza ovunque, senza pregiudicare la possibilità di commerciare verso altri Stati diversi da quello di residenza. Questo elemento rappresenta un importante aspetto della questione fiscale, vigendo un principio generale di tassazione alla residenza. Oltre a ciò, si deve considerare che, per la maggior parte delle imprese digitali, è possibile sviluppare traffici commerciali in uno Stato, senza alcun tipo di presenza fisica. Mentre nella normalità dei casi, in passato, un’impresa che voleva entrare in un mercato diverso da quello di residenza doveva necessariamente individuare una sede d’affari o, comunque, immaginare un soggetto che potesse operare in nome e per conto suo, oggi, questo non è più necessario grazie alle potenzialità offerte dalle tecnologie telematiche.

In aggiunta a tale aspetto, si rileva che la possibilità di costruire una struttura societaria assai complessa in cui i traffici commerciali concernono trasferimenti, acquisti, cessioni, locazioni di beni immateriali rende difficoltosa anche la determinazione del tributo. Non è un caso, infatti, che si presentino strutture in cui la società detentrice del marchio o brevetto lo ceda in locazione a un’altra società, residente in un altro Stato a bassa fiscalità, e che quest’ultima lo commercializzi da lì verso altri Stati. Insomma, con meccanismi di deduzione – non imposizione o doppia non imposizione, le imprese riescono a ridurre pesantemente la misura degli imponibili negli Stati ad “alta fiscalità”.

Tuttavia, è da rilevare come i fenomeni di evasione, elusione o legittimo risparmio d’imposta collegati all’economia digitale abbiano certamente come base le caratteristiche intrinseche del digitale, ma fioriscano grazie alle scelte di politica fiscale degli Stati.

Le imprese, infatti, riescono a giocare attraverso i mismatches esistenti nelle Convenzioni internazionali, sfruttando, in alcune ipotesi, anche le libertà economiche stabilite dai Trattati, senza che gli ordinamenti nazionali possano efficacemente intervenire. In sintesi, sembra che la possibilità per le imprese che operano nel digitale di ridurre il proprio carico fiscale sia determinata, in primo luogo, dalla concorrenza fiscale tra Stati, in secondo luogo, dalle politiche di pianificazione aggressiva degli operatori. Ovviamente questi due problemi afferiscono principalmente, ma non solo, il tema della territorialità

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dell’imposizione, in quanto questi sono causati dalle regole attuali del sistema impositivo internazionale.

I temi, pur strettamente connessi150, sono sensibilmente diversi nella natura, in particolar modo all’interno del contesto eurounitario. La mancanza di armonizzazione dell’imposizione diretta, contrariamente a quanto avvenuto in tema d’imposizione sul consumo, ha acuito la sopravvivenza di regimi fiscali differenziati, caratterizzati da una disorganicità e da una potenzialità discriminatoria151. La giurisprudenza della Corte di

Giustizia, peraltro, non solo ha confermato la liceità della concorrenza fiscale tra Stati152,

ammesso che vi fossero dubbi, ma ha limitato progressivamente le norme antielusive alle sole strutture totalmente artificiose. Ciò ovviamente certifica la possibilità per i gruppi multinazionali di adottare strutture societarie, sempre più raffinate, o, in altre parole, accogliendo la possibilità di misure di pianificazione fiscale aggressiva153.

Tuttavia, sembra che, seppure queste tematiche siano senza dubbio importanti, non siano decisive ai fini della trattazione del problema. Un aspetto, sicuramente interessante, infatti, riguarda il tema dell’adeguatezza delle categorie giuridiche e tributarie attuali in riferimento all’economia digitale. Questo tema non riguarda solo alcuni aspetti della tassazione attuale, ma impone di ripensare nella totalità l’adeguatezza di un sistema impositivo154, basato sulla tassazione personale reddituale e sulla tassazione del consumo.

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