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CAPITOLO II: LA DETERMINAZIONE E LA CARATTERIZZAZIONE DELLA

6. La tassazione del consumo digitale: tra sistema IVA, GST e sales tax

Come è evidente, il successo a-territoriale dell'economia digitale in una continua espansione del mercato di riferimento comporta problematiche tributarie significativamente diverse da quelle emerse nella tassazione del mercato industriale tradizionale.

Quest’ultimo, infatti, era nato nell’ambito giuridico di sovranità nazionale e lo sviluppo della operatività economica sollecitava la creazione di uno spazio di scambio più ampio dei tradizionali confini nazionali. Lo sviluppo dell'economia industriale ha così indotto nell'ambito europeo ad una progressiva estensione del mercato di riferimento, superando i tradizionali confini nazionali, che, in ogni caso, restavano come presidio territoriale dell'efficacia dell'ordinamento giuridico nazionale, ma con la creazione di un mercato comune. La possibilità, infatti, data alle imprese, ormai comunitarie, di operare nel mercato europeo costringeva gli ordinamenti e l’ordinamento comunitario a rivedere i propri parametri al fine di consentire un regolare sviluppo del nuovo mercato.

Mentre l’espansione dell'economia industriale sollecitava conseguentemente in Europa una progressiva integrazione dei mercati nazionali, fino al mercato comune, unico e, infine, interno, c’era il concreto rischio di alimentare pluralismi giuridici che avrebbero finito per ostacolare con regole nazionali lo sviluppo dell'economia europea. Di qui nasceva l'esigenza che il mercato europeo non potesse esser minacciato da un pluralismo giuridico che avrebbe frustrato lo stesso sviluppo dell’economia, vittima di un'incertezza continua e ricorrente, che avrebbe finito con il vanificare poi gli stessi obiettivi di sviluppo economico che la creazione di un mercato integrato com'era diventato quello europeo.

Dunque, la necessita di adottare norme sovranazionali che seguendo il riparto delle competenze che solo definitivamente dopo i pilatri l'ordinamento europeo ha conosciuto potesse sottrarre in nome di un primato presidiato dalla progressiva limitazione della sovranità che l'adesione all'Unione ha comportato.

Il nuovo ordine giuridico imposto dal mercato integrato per lo sviluppo dell'economia industriale, ovviamente, non poteva risparmiare anche le norme fiscali. Se nella tradizionale

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nazionale, però, l’imposizione era diretta a garantire le risorse finanziarie per il funzionamento dello Stato-apparato, nel mercato integrato imposto dallo sviluppo dell'economia industriale poteva rappresentare un ostacolo al libero ed incondizionato atteggiarsi delle forze sul mercato al confronto tra domanda e offerta che non potesse essere falsato o alterato dalle pretese fiscali nazionali. Per questa ragione, grazie all’opera del legislatore e, soprattutto, dei giudici europei, sia della Corte di Giustizia sia giudici nazionali, si è arrivati a un sistema impositivo del mercato europeo. Tralasciando l’imposizione doganale e sulle fabbricazioni, il sistema dell’imposta sul valore aggiunto è divenuto centrale nella regolazione del mercato europeo.

Tuttavia, l’introduzione di un tributo sì diverso dai precedenti costringeva gli interpreti e gli operatori a giudicare le scelte nazionali con parametri nuovi, sconosciuti alla visione finanziaria che aveva sempre accompagnato la scelta delle strutture impositive. Divennero, dunque, prioritari concetti, quali la neutralità e la proporzionalità che sarebbero diventati parametri dell'effettività misurata ad obiettivi economici che il mercato integrato aveva imposto. In questo mercato, dunque, grazie alla cd. “armonizzazione” dell’imposizione indiretta, l’integrazione con la sua dinamica si pienamente affermata con effetti sugli scambi e sulla concorrenza dei prodotti e anche dei servizi, coniugando consumi, produzione e scambi internazionali nell’unica garanzia di quella della neutralità fiscale della prima e della libera concorrenza della seconda.

L’abbandono delle frontiere fiscali interne, almeno per l’imposizione indiretta, da un lato, ha rafforzato il presidio esterno, anche grazie all’azione del diritto doganale, imponendo un modello di concorrenza. Dall’altro lato, ha valorizzato il ruolo dell’economia sul diritto, imponendo un lessico nuovo e diverso rispetto a quella della tassazione tradizionale di un'economia antica, al fine di qualificare in termini di certezza e stabilità dei rapporti che poi sarebbero diventati la migliore garanzia dell'effettività.

Si è cercato di raggiungere questi ed altri obiettivi con l’introduzione e la progressiva implementazione dell’imposta sul valore aggiunto, tributo così complesso da non poter essere identificato chiaramente sotto una categoria d’imposizione, non colpendo esclusivamente il consumo, la cifra d’affari o il valore aggiunto.

La tassazione europeo del mercato digitale, in sostanza, è imperniata su questo tributo. Costituendo l’iva una imposta generale sui consumi proporzionale al prezzo dei beni

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e dei servizi, ictu oculi, appare evidente che il commercio elettronico rappresenti il modello di business per eccellenza in cui misurare l’effettività e l’efficacia dell’imposizione indiretta. Come già detto, però, la differenza tra commercio elettronico diretto e indiretto differenzia il regime applicabile, qualificando, rispettivamente, la prima come prestazione di servizi e la seconda come cessione di beni.

Al netto delle problematiche territoriali, tendenzialmente, le operazioni nel mercato digitale sono sicuramente riconducibili alle prestazioni di servizi di cui agli articoli 24 e seguenti della Direttiva 2006/112/CE. Dunque, la tassazione del consumo digitale e, traslando, del mercato digitale è affidata pienamente all’iva, la quale, però, dato il suo carattere di realtà sembra essere più adatta rispetto alla tassazione diretta ad accogliere le sfide dell’economia digitale, seppure con alcune problematiche, soprattutto in riferimento alla eventuale discriminazione di aliquote tra beni materiali e immateriali, in natura, perfettamente equipollenti196.

A livello internazionale, poi, in alcuni ordinamenti, in luogo dell’imposizione sul valore aggiunto congeniata nell’Unione Europa, si preferisce tassare il consumo nel mercato digitale attraverso la cd. “goods and services tax” (d’ora in avanti, anche GST) o ancora attraverso imposte sulle vendite (“sales tax”). In diversi ordinamenti, questa tipologia di tributo è stata servente alla necessità di tassare in qualche modo le grandi imprese digitali. Alcuni si sono mossi nell’ambito della fiscalità indiretta, “importando” il criterio di tassazione nel luogo di consumo per i servizi elettronici proprio del sistema europeo dell’Iva197, altri introducendo imposte di scopo o accise “mirate” alle transazioni digitali.

196 Si pensi al caso analizzato nella sentenza Corte di Giustizia, C-390/15, RPO, ECLI:EU:C:2017:174, in cui

i libri digitali messi a disposizione su supporto fisico godevano di un’aliquota agevolata rispetto a quelli trasmessi per via elettronica, pur presentando proprietà analoghe e rispondendo agli stessi bisogni dei consumatori. Per un commento GÓMEZ REQUENA e MORENO GONZÁLEZ, Los libros electrónicos y el tipo reducido de IVA desde la perspectiva de la neutralidad fiscal, La ley Unión Europea, 2017, 49.

197 In Giappone, per esempio, l’imposta sul consumo è stata estesa alle forniture cross-border di prodotti e

servizi digitali, tanto nelle transazioni B2C quanto in quelle B2B. Per le transazioni B2B si applicherà un meccanismo identico al cd. reverse charge, mentre per le transazioni B2C si prevede un sistema di identificazione diretta dell’impresa non residente; in Sud Africa, I fornitori di servizi elettronici non stabiliti in Sud Africa sono tenuti a registrarsi ai fini dell’imposta sul consumo sudafricana, nonché ad applicare e a versare l’imposta. Sebbene l’obbligo si applichi tanto alle transazioni B2C quanto a quelle B2B, la definizione di servizi elettronici adottata dall’amministrazione esclude gran parte dei servizi generalmente prestati nelle transazioni B2B.

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In sintesi, la prima sfida relativa alla riscossione dell'IVA deriva dalla crescita verificatasi nell'e-commerce e, in particolare, dagli acquisti online di beni fisici prodotti in un'altra giurisdizione rispetto a quella del consumo. In aggiunta, si deve considerare la problematica inerente all’esenzione dall'IVA per le importazioni di beni di valore basso.

La ragione dell’esenzione, come è evidente, è che l’ordinamento consideri i costi associati alla riscossione dell'IVA sulle merci di modico valore superiori all'IVA che sarebbe essere pagata su tali beni. Il valore al quale è impostata la soglia di esenzione varia considerevolmente da paese a paese ma indipendentemente dal valore soglia, molti paesi IVA hanno visto a crescita significativa del volume delle importazioni di basso valore su cui non viene riscossa l'IVA.

Le sfide nascono dalla capacità delle aziende di strutturare deliberatamente i loro affari sfruttare le soglie di basso valore di un paese e vendere beni ai consumatori senza il pagamento dell'IVA. Ad esempio, un'attività domestica che vende beni di basso valore online ai consumatori nella sua giurisdizione sarebbe richiesto di raccogliere e rimettere quella giurisdizione IVA sulle sue vendite. L'azienda potrebbe ristrutturare i suoi affari in modo che i beni di valore basso siano invece spedito ai suoi consumatori da una giurisdizione offshore e quindi qualificati sotto l'esenzione dalla giurisdizione IVA per le importazioni a basso valore. Allo stesso modo, una start-up potrebbe strutturare le sue operazioni per approfittare deliberatamente della bassa esenzione di valore e localizzare in luogo diverso dalla giurisdizione in cui si trovano i suoi clienti.

L 'esenzione per le importazioni di basso valore comporta una diminuzione delle entrate IVA e della possibilità di pressioni concorrenziali sleali sui dettaglianti nazionali che sono generalmente richiesti, a seconda, ad esempio, delle loro dimensioni, per addebitare l'IVA sulle loro vendite ai consumatori domestici. Di conseguenza, la preoccupazione non è solo questa perdita immediata di entrate e competitività le pressioni sui fornitori nazionali, ma anche l'incentivo che viene creato per i fornitori nazionali localizzare o trasferirsi in una giurisdizione offshore per vendere gratuitamente i loro beni di valore basso di IVA. Dovrebbe anche essere notato che tali rilocalizzazioni da parte delle imprese nazionali avrebbero ha aggiunto impatti negativi sull'occupazione domestica e sulle entrate fiscali dirette.

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7. L’esistenza di indici economici diversi da quelli classici: tra hortus conclusus

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