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Capitolo II: Musica andina e Nueva Canción Chilena nel contesto italiano: ricezione, narrazioni e rifiut

3.1 L’epica della condivisione

Il sincretismo giovanile di musica, sensibilità individuale ed esperienza etico-politica che affiora dalle narrazioni non è certamente un appannaggio esclusivo dei fan delle musiche cile- ne/andine, bensì una dinamica comune a quella generazione:

Spesso i giovani si formavano politicamente prima sulle canzoni che sui testi, e lì imparavano i rudimenti della lotta di classe e dell’antifascismo. La canzone diede quello che né la controinformazione né il volantino bastava a dare: lo spirito di comunità, la sensazione di essere una cosa sola al di là di dubbi e differenze. Qui giocava una vera e propria astuzia delle cose: si poteva anche non essere convinti fino in fondo di “fare la rivoluzione”, ma non ci si rifiutava di cantare “contro il padrone rivoluzione”, spostando così in uno spazio estetico, provvisoria terra di nessuno, una scelta che sul piano reale era ben più cruda. D’altra parte questa identificazione estetica si convertiva poi in aggregazione reale. (Carrera 2014: 242)

Carrera coglie qui con estrema precisione non solo il valore formativo dell’esperienza mu- sicale sul piano etico-politico, ma anche la sua spinta aggregatrice. Se non sempre c’è una piena coincidenza tra il “dire” e il “fare” politici che ruotano attorno alla musica militante, è senz’altro vero che l’esperienza del fare musica traduce in pratica reale le esigenze di aggre- gazione e di partecipazione alla vita sociale della propria comunità. Ciò è particolarmente ve- ro per le esperienze che sono raccontate qui, a partire dai livelli di socialità più immediati, come nel caso del primo gruppo del musicista milanese Giuliano Malinverno:

GM: Poi... sì. Uno ascolta e dice «Come mi piace, vorrei farla». No? E da solo, non è la stessa

cosa... Uno poi magari vorrebbe anche fare per imitazione quello che sente fare dai gruppi di riferimento. Allora cerchi altre persone, cerchi di convincere. E allora i primi che incontri sono so- no quelli che vivono vicino a te, i tuoi parenti […]. E poi c’era un vicino di casa, che abitava tre piani più sopra... Anzi, è stato proprio lui quello che mi ha fatto conoscere gli Inti-Illimani.33

In questa prima fase, dominata dall’entusiasmo e da un assoluto volontarismo, i gruppi si armano letteralmente lungo la tromba delle scale di un condominio, nella classe di un liceo34, grazie ad annunci sui giornali [Fig. 7] oppure attraverso fortuiti incontri, a una Festa de

l’Unità o, semplicemente, sulla pubblica via:

MS: Nel 76 avevo dodici anni e scoprii intorno a me un mondo di persone che avevano la mia

stessa passione. Qui a Roma non era difficile. Io viaggiavo con il mio tiple vicino ad una scuola e mi vidi aggredire da un ragazzo «Ma quello è un tiple colombiano! Eh, ma tu ce l’hai vero!» [...] Lui aveva un piccolo gruppo... E lì vidi per la prima volta da vicino una quena che lui suonava. […] La cosa bella di questo gruppo di ragazzi: avevano età tutte diverse, facevano tutti cose diverse. Uno studiava, l’altro faceva il muratore, un altro era un elettricista... E questa cosa mi 33 La prima formazione del gruppo di Malinverno, Los Andes, comprende in effetti, oltre al citato vicino di ca- sa, due cugini del fondatore (Giuliano Malinverno, intervista del 17/01/2019). Malinverno farà parte di diversi GIMCA milanesi (Senda Nueva, Nuestra America) e di Cordigliera a Cremona.

34 È il caso del gruppo veneziano Suono popolare, il nucleo originario si costituisce in una classe del Liceo «Marco Polo», in occasione di un concerto commemorativo del trentennale della Resistenza italiana, il 25 aprile del 1975. La scuola, per questi ragazzi, non è solo l’humus di formazione, ma anche il primo palcoscenico (in- tervista con Michele Lotter, Piero Tonegato e Marco Fasan – del gruppo Suono Popolare – del 16/02/2019).

aveva affascinato, cioè l’idea che questo messaggio arrivava alle persone più diverse. E tutti potevamo stare insieme, ciascuno portando nelle prove, nel gruppo, l’esperienza di vita che faceva di fuori, per cui era un ambiente molto ricco.35

Costruire un gruppo significa trasferire il proprio individuale percorso di scoperta, di ascol- to e di comprensione del mondo esterno ad una dimensione collettiva, attraverso meccanismi di socializzazione e di condivisione. L’interpretazione d’assieme delle musiche latinoamerica- ne diventa strumento per una trama complessa di attività relazionali, come ricorda Salvatore Siciliano, a proposito della sua esperienza con il gruppo Agricantus di Palermo [Fig.6]:

SS: Questa dimensione della musica condivisa, per le tensioni che riesci a vivere con lei, o che lei

ti dà, o perché i contenuti che stai sviluppando con gli altri sono contenuti condivisi che mettono in gioco le parti, insomma, importanti di te… La musica diventa un’occasione. Quella è stata la na- scita di quell’ensemble, di quel gruppo, gli Agricantus, quando appunto ci siamo incontrati. […] Sono stato accolto e, nel momento in cui abbiamo cominciato a lavorare insieme, il gusto della musica latinoamericana è stato condiviso immediatamente, si è orientato verso questo modo di poter comunicare. In quel momento comunicavamo tutto quello che rappresentava la musica latinoamericana, anche per noi. Questo è l’inizio ed è qualcosa che poi è rimasto assolutamente come fil rouge […]. Quindi nel settembre, alla fine dell'estate del 79, io mi ritrovai con questo gruppo – io ero un po’ più grande – e immediatamente fu una bellissima scoperta: «allora dobbiamo fare tutto insieme… Facciamo, facciamo!» Tant’è che ci lanciammo in una cosa abba- stanza – come dire? – tenera, che fu la Cantata Santa Maria de Iquique, già a dicembre dello stes- so anno. Immaginati con quale foga ci ritrovammo a lavorare insieme e a farne una riproduzione con tratti anche abbastanza personalizzati, modificando il canto, le percussioni, creando nuove atmosfere con le percussioni poco prima del cantato, dopo il recitativo... Insomma, avevamo già messo mano ad una rielaborazione dell’opera di Luis Ádvis, per il grande piacere di condividere, per il trasporto che sentivamo verso questa musica.36

Salvo Siciliano trasmette molto bene in questa ricostruzione il fervore, la tensione operati- va che anima un gruppo di quel genere alle sue prime armi. Il gruppo si instaura come organi- smo che media tra la dimensione dell’individuo singolo e il resto del mondo. Un mondo che può assumere velocemente una scala inusitata per degli adolescenti, partendo da dimensioni domestiche, fino ad includere entità tanto diverse come lo sono istituzioni e partiti politici, collettivi di esuli latinoamericani, musicisti e altri referenti culturali a livello nazionale e in- ternazionale, tra cui personaggi iconici come gli stessi Inti-Illimani o i Quilapayún. Il gruppo diventa un laboratorio attivo di ricerca e una sorta di “comitato” capace di proporsi verso l’esterno – ad esempio sul terreno della solidarietà politica – agendo di conseguenza al tempo stesso come un formidabile agente nella formazione dei suoi giovani componenti.

Cercherò di illustrare il funzionamento laboratoriale dei gruppi nei prossimi paragrafi. Vor- rei concludere questo, invece, con un testo che mostra come il potenziale formativo e “inizia- tico” di questi collettivi sia ben presente alla memoria condivisa dei GIMCA. Basilio Scalas, fondatore del Grupo Allende di Assemini [Fig. 5] – una cittadina industriale nell’interno della

35 Massimiliano Stefanelli, intervista del 25/06/2019. Il gruppo in questione è il romano Inti Mayá (poi ribat- tezzato Los Aymarás e ancora AmorAmerica).

Sardegna – si sofferma sul battesimo del fuoco della novella formazione37. La sua narrazione è improntata ad una voluta letterarietà e costituisce un buon esempio di sguardo retrospettivo sui “tempi eroici” degli inizi, senza nulla togliere alla piena plausibilità dei fatti narrati e al valore testimoniale circa le condizioni performative e il carattere delle relazioni con il territo- rio.

Nel 76 abbiamo fatto il primo concerto dal vivo. A San Nicolò Gerrei. E fu un debutto tosto. Malgrado il nome molto impegnativo, Grupo Allende, il più anziano di noi aveva diciannove anni, il più giovane sedici. Accompagnati da una bizzarra carovana formata da due “Cinquecento” e una “Centododici”, queste di proprietà e guidate dalle compagne del circolo ARCI di appartenenza, più la “Seicento” familiare affidata ad Aldo, pochi anni più di noi, ma già conoscitore del partito e del mondo, ci sentivamo pronti per la prima data di una tournée che ne prevedeva venti. Caricati gli strumenti e l’impianto Lem, incastrati negli spazi lasciati da questi, nel primo pomeriggio di un sabato di mezza estate, affrontammo i cinquanta chilometri di strada collinare che ci separavano dalla nostra prima Festa dell’Unità. Il cachet tolte le spese era intorno ai venticinque euro [sic] a testa, in nero si direbbe oggi. Un miscuglio di felicità e paura dell’ignoto ci accompagnò nel viaggio interrotto da un’unica sosta per la doverosa razzia di pere selvatiche, che in quella stagione abbondavano da quelle parti. Arrivati in paese e bevuta la prima birra, i compagni del luogo non nascosero una certa inquietudine per le voci che davano i fascisti allertati contro la festa. Non avevamo, a parte Aldo, una grande pratica di scontri politici, però conoscevamo quelli di quartiere e noi eravamo di Montelepre, venivamo dal quartiere popolare di un paese povero, Assemini. Non ci fu difficile entrare nel ruolo degli eroi. Rassicurammo i compagni: che vengano pure i porci fascisti, sapremo come accoglierli. In realtà i fascisti furono più vigliacchi di quanto ci aspettassimo e ad uno scontro a viso aperto preferirono la sassaiola dal buio della campagna che iniziava a pochi metri dal palco. I rari carabinieri presenti nella piazza fecero capire agli organizzatori che loro erano lì per evitare che noi creassimo problemi di ordine pubblico e non certo per proteggerci. Secondo le usanze il concerto iniziò all’ora del dopo cena, che varia da paese a paese ed è di solito deciso dagli anziani che cominciano ad occupare i primi posti disponibili. Non passò molto prima che qualcuno di quei sassi che si erano limitati a sibilare minacciosi, colpisse con gran frastuono la batteria. A quel punto, smessi i panni artistici, optammo per una difesa attiva verbale e materiale, gli slogan classici contro i fascisti si mischiarono agli insulti contro i camerati e chi li aveva generati, la contraerea indusse i nemici a diradare gli attacchi, ma non fu sufficiente a salvare la serata. Durante il viaggio di rientro l’adrenalina avanzata si esaurì in fretta per fare spazio alla stanchezza malinconica che ti lascia una sconfitta. Senza alcuna solennità, senza avere la minima idea di come, decidemmo che quella sarebbe stata l’ultima volta che qualcuno, fascista o no, ci avrebbe impedito di portare a termine un concerto. Così è andata.38

37 Basilio Scalas ha preferito la forma della narrazione scritta a quella di un’intervista personale. Il risultato è stato un racconto a puntate, sulla sua pagina Facebook, della prima tournée del gruppo, una ventina di concerti, prevalentemente nei Festival dell’Unità della zona, durante l’estate del 1976. Il gruppo si scioglierà al termine dell’estate, per ricostituirsi poi, in tutt’altro contesto storico, ventitré anni più tardi. Il testo qui riportato corri- sponde alla prima “puntata” del racconto.

38 Basilio Scalas, testo pubblicato sulla pagina Facebook https://www.facebook.com/basilio.scalas (11/02/1976).