• Non ci sono risultati.

Gli anni 50, tra esotismi e nuovi interessi

Capitolo II: Musica andina e Nueva Canción Chilena nel contesto italiano: ricezione, narrazioni e rifiut

1.2 Gli anni 50, tra esotismi e nuovi interessi

Quando ha inizio in Italia una apprezzabile circolazione di MA, e comunque di musiche di radice folklorica sudamericana diverse dal tango e dalla musica tropicale? Una prima e timida apparizione di musiche di provenienza andina con rilievo mediatico è da far risalire alla prima metà degli anni 50, periodo in cui si registra la presenza sulla scena italiana di alcuni artisti ricollegabili alla cultura musicale dei paesi andini. Si tratta dei Ballets de l’Amerique Latine, ideati e diretti dal coreografo ispano-argentino Joaquín Pérez Fernández, della cantante peru- viana Yma Sumac e della sua “imitazione” Jia Thamoa.

I Ballets de l’Amerique Latine erano uno spettacolo di musiche e danze folkloriche iberi- che e ibero-americane, in cui figuravano alcuni “quadri” andini, uno dei quali comprendeva la musica del celebre carnavalito El humahuaqueño. I Ballets riscossero un notevole successo in mezzo mondo, e a Parigi contribuirono a generare il nucleo di un filone folk latinoamericano, dal quale deriverà poco dopo la corrente delle flûtes indiennes. In Italia, dove tennero delle rappresentazioni nel marzo del 1953, ebbero pure recensioni positive, ma l’eco fu decisamen- te minore e non si ebbero conseguenze in loco108.

Sicuramente più nota al grande pubblico fu Yma Sumac (al secolo Zoila Augusta Empera- triz Chávarri del Castillo), soprattutto per la straordinaria estensione della sua voce. Originaria del Perù, la cantante apparteneva allo stesso star system nordamericano che produceva l’immaginario latino stereotipato di cui si è detto sopra, ma con la particolarità di introdurvi anche una componente andina, in una sorta di anticipazione delle fusion etniche e della World

Music. La sua personalità artistica era scientemente costruita sull’esotismo (a partire dalle pre-

tese origini regali incaiche) e di conseguenza la sua autenticità venne spesso duramente criti- cata in patria109. Nei suoi dischi, pubblicati anche in Italia, ritroviamo esempi di generi popo- lari peruviani, tanto dell’area criolla (marinera e vals) come di quella mestiza della sierra an- dina110. Risulta poco agevole determinare ora in che misura la figura di Yma Sumak abbia ef- fettivamente contribuito in quell’epoca alla costruzione di un immaginario andino presso il pubblico italiano. Apparentemente, la curiosità dell’opinione pubblica si appuntava soprattutto sulla sua esotica figura e sulle sue virtù canore, più che sulla diversità della musica. Non man- cano però espliciti riferimenti alla questione dell’autenticità dell’interprete e della sua arte. Un

reportage da Lima, apparso nel 1952 sul Corriere d’informazione, oltre a registrare lo straor-

dinario successo internazionale di vendite discografiche della diva (25 milioni di copie

108 A Milano e Roma, furono annunciate sulla Stampa (09/03/1953) e L’Unità (26, 27 e 28/03/1953). Una bre- ve recensione della presentazione torinese si può leggere in O.V., «Due appuntamenti con Tersicore», Corriere

d’informazione, 21 marzo 1953.

109 Tra le posizioni apertamente critiche nei suoi confronti, si veda quella di José María Arguedas (1977). Un giudizio sostanzialmente positivo è invece espresso da Zoila Mendoza (2015).

110 Nel catalogo Parlophone italiano del 1954 figurano i seguenti generi: marinera, festejo limeño, triste ton-

dero, inka son, wayno, danza, danza india del Cuzco, huaryna [sic] cuzqueño, pasacalle, canción india (DISCHI PARLOPHON. Catalogo Generale 1954).

dell’Inno al dio Sole, è il dato riferito dal giornalista), ne menziona i tratti “incaici”: il sangue regale, la lingua madre quechua, e «i canti quelli antichi, tramandati dalla tradizione orale» o quelli composti dal marito, Moisés Vivanco, «ispirandosi ad antiche leggende e a musiche po- polari peruviane»111. Ma l’anno seguente un secondo reportage da Lima, questa volta sulla

Stampa, fornisce ai lettori italiani una lezione di critica all’esotismo imperante:

Relatività. — In una serata mi trovo, per caso, al fianco un peruviano di cui non ho capito bene il nome, ma deve essere qualche cosa come Morel. Per superare un attimo di silenzio gli dico che Ima Sumac, la famosa cantante, che si ritiene discendente in linea diretta dell’ultimo imperatore inca Atahualpa, è arrivata a Lima. Morel mi guarda diffidente. Come un sasso che cade nel vuoto, continuo a dirgli del grande successo che Ima Sumac ha avuto in Europa e nell’America del Nord, con la sua voce che può percorrere quattro ottave e cinque note, superando così il fenomeno della cantante tedesca Erna Sack. Finalmente quel Morel si decide a rispondere e dice: «No es una ver- dadera artista, sino una simple cantante», e continua a spiegarmi che ella ha saputo sfruttare abil- mente il lato esotico che gli incompetenti credono di sentire nel suo canto. Morel sostiene che tutte le canzoni di Ima Sumac sono mistificate, niente altro che roba buona per gli stranieri che nemme- no sanno dove cominci la verità della musica peruviana112.

Il tema dell’inautenticità della Sumac offre a sua volta un pretesto alla costruzione tutta ita- liana del personaggio di Jia Thamoa, una cantante italo-peruviana oggi dimenticata, pur es- sendo stata piuttosto popolare nei primi due anni di vita della televisione pubblica italiana, e scomparsa nel nulla all’inizio del 1956113.

L’occasione per il fiorire di una vocazione fu offerta da un disco di Yma Sumak […] Jia udì Yma cantare e da una cosa fu colpita: dal fatto che le canzoni della sua compatriota non erano quelle ve- re, quelle originali, ma arrangiamenti più o meno abili per permettere alla cantante per dare prova, davanti ai microfoni specialmente, della gamma della sua voce. Jia amava troppo e rispettava le canzoni che la madre Rosa e le altre donne del suo villaggio le avevano insegnato nella sua felice fanciullezza per poter tollerare un simile sacrilegio. Le venne in mente anche di possedere una bel- la voce e decise […] che sarebbe diventata una cantante come la Sumak e a miglior diritto della sua compaesana114.

Come Jia Thamoa cantasse i temi popolari peruviani non è dato di sapere115. Tutto lascia intuire che fosse piuttosto una copia – in chiave provinciale e domestica – dell’esotismo

111 G.PILLON, «Una sola gola e molti cantanti», Corriere d’informazione, 16 luglio 1952, p. 3.

112 E.EMANUELLI, «Quaderno peruviano. Il prigioniero della cortesia», La Stampa, 12 luglio 1953, p. 3. 113 Di Jia Thamoa non viene mai rivelato dalla stampa il vero nome. Agli inizi del 1956, la giovane donna an- nuncia che donerà un occhio al marito – un ingegnere italiano conosciuto in Perù –, affetto da una retinite, per salvarlo dalla cecità, e che l’intervento si effettuerà in Giappone. Pur avendo annunciato allo stesso tempo nuovi progetti di programmi per la RAI, il suo nome scompare del tutto dalle cronache degli anni successivi. Nessuno sembra essersi più interessato agli sviluppi di questa vicenda (Gavagnin 2018).

114 S.B., «Il suo occhio per il marito», Tempo, 12 gennaio 1956, p. 63.

115 I suoi dischi, anch’essi pubblicati dalla Parlophone, risultano irreperibili negli archivi, ad eccezione di uno [THAMOA 1954], conservato presso L’ICBSA, che però non contiene titoli peruviani, bensì una versione di El hu-

mahuaqueño, qui con il titolo della cover italiana Torna la primavera, benché sia cantato in spagnolo. Sul lato B

dell’altra più famosa diva e che le dichiarazioni di autenticità siano solo una costruzione nar- rativa116. In ogni caso, a prescindere dalla genuinità delle sue dichiarazioni, la cantante ebbe modo di interpretare nei dischi e ai microfoni della RAI un repertorio effettivamente peruvia- no, cantando tra l’altro al fianco di un giovane Luis Alva, sotto la bacchetta di Tino Crema- gnani117.

Queste poche presenze esauriscono – allo stato attuale della ricerca – la consistenza di una disseminazione musicale proto-andina italiana, nello stesso arco di tempo in cui invece in Francia si incubavano le flûtes indiennes e si esibivano figure di folkloristi latinoamericani di ben altro peso, come Violeta Parra, Atahualpa Yupanqui, Leda Valladares e María Elena Walsh. Anche se limitate, le presenze in Italia forniscono un primo materiale per la costruzio- ne di un nuovo immaginario folk latinoamericano, distinto da quelli del tango e della musica tropicale, e partecipano ad un più generale risveglio d’interesse nei confronti del subcontinen- te, che tocca la politica, l’economia e la cultura. Alla metà degli anni 50 l’Italia imbocca infat- ti la via di una crescente industrializzazione e comincia a vedere oltreoceano non più solo una meta dei propri flussi migratori, ma possibili mercati e aree di investimento. Titoli giornalisti- ci come Il Sud-America non è soltanto un continente pittoresco e strano118 rispondono a una domanda di conoscenza su una realtà geoculturale che sta diventando oggetto di iniziative po- litiche e istituzionali, come il viaggio del Presidente Gronchi in America Latina, nel 1961. Pa- rallelamente, per la prima volta si delinea un campo letterario latinoamericano con personalità propria, grazie alle prime traduzioni di autori come Neruda e Borges (Tedeschi 2006).

Nel paese, ancora semi-industrializzato e semi-rurale (Forgacs 2000: 22), le presenze mu- sicali folk latinoamericane non sembrano andare a costituire ancora un “campo musicale” au- tonomo e identificabile, rimanendo quali immagini frammentarie di un caleidoscopio, per lo più di carattere festivo e ludico, con tratti di bizzarria, stranezza, curiosità. Manca un tema extramusicale forte, capace di agglutinare le diverse espressioni attorno ad un referente comu- ne, necessario per percepirle come un genere. Al massimo, si intuisce in qualche commento la percezione di una diversità di quelle musiche rispetto alla vena mainstream dei balli latini in voga. Così, ad esempio, il recensore119 dei Ballets osserva con soddisfazione che lo spettacolo di Pérez Fernández è ben altra cosa rispetto al consueto «folklore da music hall», anche se poi

italiana: 1900-2000” curato dall’Istituto Centrale per i beni sonori ed audiovisivi: cfr. http://www.canzoneitaliana.it/catalogsearch/result/?q=thamoa.

116 Altre dichiarazioni dello stesso genere, in G.G., «Ritrattini: Jia Thamoa», Radiocorriere TV, n. 51, 1954, p. 13.

117 Il concerto radiofonico è quantomeno annunciato per il 27 ottobre del 1954 dal Radiocorriere TV (n. 43, 1954, p. 24). Cremagnani fu un direttore d’orchestra con esperienza nel contesto peruviano, dove diresse opera e collaborò tra gli altri con il compositore Daniel Alomía Robles, l’autore delle musiche della zarzuela di tema indigenista El cóndor pasa… (1913).

118 P.PAVOLINI, «Il Sud-America non è soltanto un continente pittoresco e strano», La Stampa, 29 agosto 1957, p. 3.

cadrà nella trappola, credendo di riconoscere nel coreografo e ballerino – bonaerense di origi- ne gallega – un «profilo indio»120.