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La svolta e i difficili anni 80: «sembrano tornati, in realtà non sono mai andati via»

Capitolo II: Musica andina e Nueva Canción Chilena nel contesto italiano: ricezione, narrazioni e rifiut

2.7 La svolta e i difficili anni 80: «sembrano tornati, in realtà non sono mai andati via»

Il passaggio tra gli anni 70 e 80 significò una svolta nella storia del paese, marcata da av- venimenti quali le contestazioni giovanili del 1977 e l’omicidio di Aldo Moro. Gli “anni di piombo” registrarono il mancato sorpasso delle sinistre e l’arresto di una intensa temperie ri- formista. Nella nostra microstoria, la compagine musicale cilena in Italia in questo periodo si assottiglia, riducendosi ai soli Inti-Illimani e al duo Cofré – Arévalo, mentre le nuove pubbli- cazioni discografiche italiane in questo settore si concentrano unicamente attorno agli Inti-

Illimani e, per la MA, a Los Calchakis. Su quest’ultimo versante, nel frattempo iniziano a cir-

205 F.BORGONOVO, «Le manette gli svuotano il Consiglio e Ignazio fa il corista agli Inti Illimani», Libero, 5 giugno 2015, p. 7.

206 Un’altra espressione di rifiuto, tra estetico e ideologico, emerge da due interviste di Paolo Giordano al can- tautore rock italiano Enrico Ruggeri (P.GIORDANO, «Alzo ancora i Decibel, era dura essere punk tra i fan degli Inti Illimani», Il Giornale, 16 dicembre 2016 [http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/alzo-ancora-i-decibel-era- dura-essere-punk-i-fan-degli-inti-1343224.html] e «Ritorna la band di culto: La rabbia non ha età è questione di Decibel», Il Giornale, 10 marzo 2017 [http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/ritorna-band-culto-rabbia-non-ha- et-questione-decibel-1373463.html]).

colare in Europa i gruppi “autoctoni”207 (Ruphay, Kollamarca, Bolivia Manta…) senza mai

però diventare un fenomeno di consumo di massa.

Dal 9 al 16 maggio 1978, al Teatro Tenda di piazza Mancini a Roma, va in scena Canto per

un seme, riproposizione di Canto para una semilla, una cantata di Luis Advis su testi di Viole-

ta Parra che gli Inti-Illimani e Isabel Parra avevano già presentato e registrato una prima volta in Cile, nel 1972. La prima rappresentazione ha luogo la sera dello stesso giorno in cui viene rinvenuto il cadavere di Aldo Moro. Una coincidenza, certamente, ma significativa, in quanto dà la misura della trasformazione in atto nel paese: la risposta alla narrazione musicale cilena non potrà essere la stessa di prima. O meglio: rischierà di rimanere la stessa, in quanto cristal- lizzata, senza evolvere naturalmente e accompagnare l’evoluzione artistica e politica del gruppo cileno.

Dopo l’album Inti-Illimani 6, più complesso dei precedenti sul piano musicale, ma anche decisamente sbilanciato a favore di un messaggio politico contingente e resistenziale, la scelta di riprendere la Canto para una semilla significava un ritorno ad una più congeniale vena ele- giaca, riconfermando il legame con le radici nobili della NCCH – Violeta Parra – e nello stesso

tempo mostrando una vocazione musicale classica, grazie all’uso della “grande forma” (la

cantata popular) e alla scrittura raffinata di Luis Advis. La contestuale pubblicazione in disco

dell’opera consentiva al gruppo di prendere tempo in vista di una successiva operazione di- scografica più personale e innovativa (l’ottavo disco, Canción para matar una culebra) e lo allineava alle scelte analoghe dei Quilapayún e degli Aparcoa, che più o meno nello stesso tempo riproponevano nuove versioni discografiche delle loro antiche produzioni “colte” cile- ne: Santa María de Iquique e Canto general, rispettivamente. La scelta di tradurre in italiano le parti recitate dell’opera (lette dall’attrice Edmonda Aldini) indicava il pubblico locale come destinatario esplicito del progetto.

La critica rispose positivamente e prese nota dell’equilibrio tra la tensione etica e la delica- tezza rara della poesia e della musica, proclamando il superamento di una precedente fase spesso imbrigliata riduttivamente nello stereotipo della “protesta”.

L’altra sera, seppure per poco, al Teatro Tenda di Roma, la voce di Isabel Parra e la musica degli Inti-Illimani hanno sciolto la drammatica tensione che, solitamente, accompagna le interpretazioni del complesso. […] Gli Inti-Illimani, affiancando l’impegno che li ha voluti per anni solo cantori di Unidad Popular, hanno dimostrato di possedere un’ampia gamma di possibilità espressive, so- prattutto nell’armonizzazione delle voci […] il gruppo ha riscoperto la piacevolezza di un ordito musicale fatto di sfumature e di accordi dolci. [...] Una buona novità, quindi […], occasione da non perdere per accostarsi ad una cultura che proclama la dignità dell’uomo, la libertà di essere fe- lici; che sferza la miseria e denuncia lo sfruttamento. La mediazione politica, per fortuna, non scat- ta immediata, non procede per meccanismi di autoidentificazione, finalmente non ricalca i logori

207 Uso il termine virgolettato, o nella forma spagnola (autóctono) in quanto non impiegato con intenzione de- notativa, ma come etichetta impiegata da una corrente di interpreti della musica andina per connotare la propria scelta di ispirarsi ad una musica comunitaria rurale, di cui essi però in realtà non fanno parte.

schemi degli slogan. La cantata vive dentro di noi, scortica la diffidenza, ricaccia indietro l’indifferenza […] è un seme di speranza.208

Analoghi riconoscimenti raccoglie anche la versione discografica, pubblicata in LP nel

1978, con il titolo Canto per un seme (elegia)209, e così pure il successivo e ottavo disco ita-

liano, Canción para matar una culebra, che per molti versi costituisce un punto di svolta nell’evoluzione artistica del gruppo210. Valga per tutte la recensione di Mario Colangeli, sul

Radiocorriere TV, in cui si riconosce l’apparizione di un linguaggio diverso e più ricco: si os-

serva il passaggio in secondo piano delle sonorità andine a favore di quelle centroamericane, con maggior protagonismo degli strumenti a corda, e soprattutto un diverso impegno sul testo poetico e musicale, che si traduce in «atmosfere delicate e brani carichi di nostalgie». Per Co- langeli «gli Inti hanno maturato in questi anni di esilio, speranze, dolori, esperienze sonore che hanno trasportato nelle loro canzoni, come testimonia la stupenda Retrato (Ritratto) che pur non essendo né un inno né una marcia, è un autentico gioiello musicale»211.

Finita l’epoca della tensione solidaristica in favore del Cile, benché il tiranno sia ancora al potere e di conseguenza l’esilio ancora non volga al termine, gli Inti-Illimani – alla pari di molti altri esuli cileni – si rassegnano a “disfare le valigie” e a cercare una ragion d’essere professionale che superi la funzione della testimonianza. L’Unità se ne occupa in occasione del primo concerto al fianco della napoletana Nuova Compagnia di Canto Popolare, di un concerto all’interno di un importante convegno dedicato alla figura del poeta Pablo Neruda e ai suoi rapporti con l’Italia o per una settimana della cultura cilena in esilio, celebrata a Orvie- to; per le musiche composte da Horacio Salinas per una messinscena lorchiana diretta da Ma- riano Rigillo; per la colonna sonora del film La tierra prometida – una pellicola di Miguel Littín la cui produzione venne interrotta dal golpe del 1973 e che veniva ora trasmessa dalla RAI –o per quella del film di Gian Butturini Il mondo degli ultimi212.

208 M.ANSELMI, «Canto di speranza e di allegria per gli Illimani», 12 maggio 1978. Il testo dell’articolo mi è stato fornito da Biancastella Croce, conservato in un archivio personale di fotocopie e ritagli di giornale, con indicazione della data, ma privo di quella della testata. Mi sembra probabile che si tratti dell’edizione romana de

L’Unità, dato che Anselmi lavorava per il quotidiano del PCI,ma l’articolo non compare nell’edizione nazionale. 209 M.CÀNDITO, «L’“altra” America di Violeta Parra», La Stampa, 23 giugno 1978, p. 7; LUZZATTO FEGIZ, «Sulle tracce delle Orme», Corriere della sera, 10 luglio 1979, p. 16.

210 Le novità sono molte: la partecipazione autorale di Patricio Manns; l’uso di testi di poeti ispanoamericani consacrati; una nuova e più articolata scrittura strumentale; l’introduzione della dissonanza. Infine, entrano con decisione i ritmi afroamericani. Il disco, che conferma alcune tendenze presenti nei precedenti e ne abbandona altre, è il vero punto di inizio di un percorso di creazione originale.

211 M.COLANGELI, «Un ritratto con chitarra e nostalgia», Radiocorriere TV, 32, 1979, p. 71.

212 Nell’ordine: «Stasera appuntamento al Pincio: insieme “Inti” e “Nuova compagnia”», L’Unità, 3 luglio 1979; «Convegno a Napoli: Pablo Neruda “vivo e presente”», L’Unità, 2 ottobre 1979; «Dal 3 al 10 ottobre a Orvieto la cultura cilena in esilio», L’Unità, 1 ottobre 1983; A.SAVIOLI, «Lorca, fratello di Picasso», L’Unità, 7 settembre 1983; AG.SA., «Rivolta e morte di un sogno socialista», L’Unità, 23 agosto 1980; AL.C.«È così diffi- cile viaggiare nel “mondo degli ultimi”», L’Unità, 15 agosto 1984.

A questa raggiunta normalità italiana del gruppo cileno non fa però eco una conferma da parte del mercato, che risente pesantemente del clima di riflusso culturale e politico generale, nel quale tutta la produzione folk e militante risulta penalizzata. Le «musiche cilene, partigia- ne e dei carcerati» vendono sempre meno (Gorgolini 2004). Il Cile, come tema civile, non è più di moda e di conseguenza scema l’interesse per la sua espressione musicale:

In Europa, dove si sono rifugiati la maggior parte degli esuli, la tensione morale e politica è caduta forse al suo livello più basso. Non più manifestazioni di solidarietà nelle piazze, non più scioperi nei porti contro le navi dei militari. Perfino la musica, gli Inti Illimani, le canzoni di Violeta Parra, sono scese a precipizio negli indici di gradimento.213

Il problema non riguarda solo l’Italia. A metà degli anni 80, Eduardo Carrasco (direttore dei Quilapayún) scriverà a un amico:

En general los músicos chilenos están viviendo una crisis espantosa. Todo se ha ido terminando. Muchos grupos que existían hasta no hace mucho han desaparecido. Quedamos solamente los hi- stóricos. ¿Hasta cuando duraremos? Hermosa pregunta.214

Il quotidiano torinese La stampa documenta bene in queste date la flessione nella ricezione pubblica degli Inti-Illimani. Una cronaca di un concerto torinese del 1979 è significativamente titolata Sono vivi gli Inti-Illimani? Nonostante i giovani spettatori intervistati dal giornalista dichiarino di non avere dubbi sulla vitalità del complesso cileno, il clima generale sembra or- mai delineato:

Ma è un fatto che l’immagine dei sei musicisti andini in poncho rosso appartiene a un’epoca della quale (per quanto recente) ci si trova stupiti a domandare, scavalcati dagli avvenimenti, che cosa sia rimasto. Gli Inti Illimani ci si accorge di averli arrotolati un po’ come una vecchia bandiera, che si tiene nell’armadio per le grandi occasioni.215

In una recensione del medesimo concerto, il consueto Mimmo Càndito ne riscatta il valore artistico, riconoscendo al gruppo la capacità di rinnovarsi sul piano estetico, senza tradire il fondo etico dell’impegno, ma è chiaro, anche nelle parole dei musicisti riportate, che un’epoca si è chiusa (in effetti, in successivi articoli si parlerà degli Inti-Illimani coniugando i verbi all’imperfetto):

«Non vogliamo essere il museo di ciò che fummo», ha detto a un certo punto uno degli Inti. E la dignità di questo rifiuto si è espressa in una scrittura musicale che — nella melodia e nelle armo- nizzazioni — mostra d’aver guardato attentamente alla cultura europea dentro la quale il gruppo 213 S.COSTANZO, «Cinque anni Pinochet è solo», La Stampa, 11 settembre 1978, p. 9.

214 E. CARRASCO,«Comentarios de Eduardo Carrasco a Pablo Azócar sobre músicos chilenos en Europa». Lettera personale, 20 febbraio 1986. In Archivo de música popular chilena, CLQUI-COR-392. Consultabile on- line: http://amp.ing.puc.cl/index.php/comentarios-de-eduardo-carrasco-a-pablo-azocar-sobre-musicos-chilenos- en-europa.

vive oramai da sei anni, mentre la costanza dell’impegno terzomondista si mantiene con un acco- stamento, curioso e intenso, alla ritmica tradizionale della musica negro-africana.216

Nel corso degli anni 80 il gruppo pubblica una teoria di dischi che descrive una costante evoluzione della cifra estetica del gruppo, sempre più determinata dalla direzione e dalle composizioni di Horacio Salinas – Palimpsesto, Imaginación, De canto y baile, La muerte no

va conmigo (con Patricio Manns) – e che trova un’ulteriore conferma nell’album a tre voci Fragments of a dream, in collaborazione con i chitarristi John Williams e Paco Peña. Si con-

solida il riconoscimento internazionale del gruppo, dopo il successo ottenuto in Gran Breta- gna con la colonna sonora del documentario della BBC The flight of the condor (1982)217, e le collaborazioni con Peter Gabriel e John Williams. Un articolo su Popular Music (Horn 1987) consacra il gruppo come uno dei più prestigiosi nel campo della World Music.

Come si è visto, anche in Italia la critica riconosce al gruppo meriti estetici e qualità di in- terpreti, ma parallelamente si apre una crisi di rappresentatività, e di affezione del pubblico, nella cornice più ampia di una presunta “morte del folk”. Il loro rinnovamento linguistico, che li colloca nella scena della emergente World Music, non trova risposta nel pubblico italiano, e determina uno spostamento dell’asse principale d’azione del gruppo al di fuori dello stivale. Le recensioni dei concerti italiani e delle nuove uscite discografiche fanno fede di questa evo- luzione artistica, accompagnata però dalla constatazione che – nonostante l’eccellenza dei musicisti e la buona risposta del pubblico dal vivo – la proposta musicale degli Inti-Illimani rimane ai margini del mercato italiano, confinata all’interno di un’etichetta inattuale di obso- leti cantori politici. Sono gli stessi musicisti a denunciare il paradosso per il quale «il pubblico che per primo ci ha decretato il grande successo è oggi il pubblico che meno ci conosce»218 . Lo scollamento tra le attese del pubblico – che continua a identificarli con il momento storico ormai concluso delle manifestazioni di piazza nei primi anni 70 – e l’alta qualità musicale che sostiene una proposta folk acustica e raffinata capace di affascinare il pubblico intergenera- zionale che ancora ne frequenta i concerti, sono le costanti di un loop narrativo pluriennale, che non varrà la pena trascrivere qui219. La cifra di questa lunga fase italiana della ricezione

216 M.CÀNDITO, «I nuovi canti degli Inti Illimani: “Non vogliamo diventare un museo”», La Stampa, 16 mar- zo 1979, p. 7.

217 In seguito alla popolarità ottenuta in Inghilterra, le musiche andine degli Inti-Illimani vennero scelte come musiche di scena per il balletto Ghost Dances di Christopher Bruce, che nell’estate del 1984 venne presentato anche all’Arena di Verona.

218 A.SOLARO, «Noi, l’Italia e Pinochet», L’Unità, 26 maggio 1986, p. 12.

219 MA.CA., «Gli Inti lllimani in concerto per tre giorni al Teatro Tenda», L’Unità, 13 ottobre 1983; M.GAM- BA, «Tournée senza fine», Radiocorriere TV, 45, 1983, pp. 37–38; M.LUZZATTO FEGIZ [M.L.F.], «Che sfida di chitarre!», Corriere della sera, 28 marzo 1984; E.P., «Gli Inti Illimani dopo la leggenda», Corriere della sera, 22 maggio 1985; F.PROTTI, «E le Ande si specchiarono nel Tevere», Il Giornale, 22 maggio 1985; A.ROBECCHI, «La poesia oltre la musica», L’Unità, 26 maggio 1986. In occasione dell’unica data italiana del tour con Wil- liams e Peña, a Napoli, la rivista Chitarre dedica loro un ampio e approfondito servizio (G.PONCE DE LEÓN, «In- ti-Illimani con John Williams e Paco Peña», Chitarre, giugno 1988). Sullo stesso evento: S.V., «Tornano alla grande gli Inti Illimani», Il Giornale di Napoli, 29 marzo 1988; F.VACALEBRE, «Brividi caldi alla chitarra», Il

del gruppo – quasi una risposta all’interrogativo di qualche anno prima: «sono vivi gli Inti- Illimani?» – potrebbe essere colta nelle parole di Laura Putti, su Repubblica: «sembrano tor- nati, in realtà non sono mai andati via»220.

Quando infine, nel settembre del 1988, se ne andranno per davvero221, per partecipare in Cile alla campagna referendaria che porterà alla fine della dittatura e alla transizione democra- tica, gli articoli dedicati ai loro ultimi concerti da esuli222, benché con affetto, ne raccontano la

vicenda come una parabola discendente e ci accorgiamo che nonostante lo sforzo di metterne in luce i nuovi valori musicali, nella ricezione nazionale poco o nulla è cambiato durante l’ultimo decennio.

2.8 Ritorni e permanenze (1989-2019): «La storia va avanti quando si hanno salde