Durante il triennio del governo di Unidad Popular, la NCCH attraversò una fase che fu allo- ra interpretata come una crisi del movimento, dovuta al mutato scenario politico, in cui la canzone sociale avrebbe dovuto superare una vocazione prevalentemente contestataria per accompagnare ora, da una posizione di potere, un processo rivoluzionario o riformista di cambiamento32. Le sperimentazioni e le intense collaborazioni tra esponenti della NCCH e di
generi quali il rock progressivo lasciano intravedere un travaglio non solo politico, ma anche genuinamente estetico. In quella fase di rottura e ridefinizione dei precedenti equilibri, il col- po di stato militare dell’11 settembre 1973 intervenne come una cesura definitiva, provocando un distacco materiale tra gli artisti esuli e il loro milieu, i loro colleghi rimasti in Cile e il loro pubblico, che seguiranno a produrre e consumare musica anche sotto la dittatura.
30 Ad es., la combinazione di cuatro e maracas come citazione della musica colombiano-venezuelana, anche in composizioni originali cilene. Ad es. in Lo que más quiero (Isabel Parra) [INTI-ILLIMANI 1974], citazione di uno stile di joropo, o in Retrato de Sandino con sombrero (Hugo Lagos) [QUILAPAYÚN 1982], dove invece rappresen- ta solo un richiamo timbrico.
31Ad es. l’uso della quena e del charango in composizioni di carattere dotto, come Un canto para Bolívar (Orrego Salas) [QUILAPAYÚN 1982] e Transiente (Patricio Wang) [QUILAPAYÚN 1984], ma anche l’associazione della zampoña andina al ritmo del ballo tondo sardo in Danza de Cala Luna (Horacio Salinas) [INTI-ILLIMANI 1984]. Al di là degli esempi, si tratta di una pratica estesa e sistematica.
32 Esempi di questo dibattito, oltre al già citato volumetto di Barraza (1972), si trovano in A.SKÁRMETA, «¿Qué cantar?», La Quinta Rueda, 1, 1972; INTI-ILLIMANI, «¿Terrorismo musical?» e O.RODRÍGUEZ, «Lo que cantábamos en ese tiempo», entrambi pubblicati in La Quinta Rueda, 4, 1973; F.BARRAZA, «Nueva Canción. Personaje sin carnet», La Quinta Rueda, 5, 1973.
Come è noto, il golpe militare dell’11 settembre 1973 comportò l’esilio per molti cittadini cileni, tra cui non pochi intellettuali e artisti che avevano partecipato attivamente al processo di trasformazione sociale promosso dal governo di Unidad Popular. La NCCH restò tagliata in due tronconi, con molti dei suoi esponenti di maggior spicco dispersi nella diaspora. Alcuni artisti – come i gruppi Inti-Illimani e Quilapayún – furono sorpresi dal golpe mentre si trova- vano rispettivamente in Italia e in Francia, impegnati in un tour internazionale promosso dal governo cileno. Altri li raggiunsero nei mesi successivi: Isabel e Ángel Parra, Héctor Pavez, Patricio Manns, Payo Grondona, Osvaldo Rodríguez, i gruppi Aparcoa e Tiempo Nuevo, Ser- gio Ortega, Charo Cofré e Hugo Arévalo. In breve tempo, nuove formazioni di artisti si costi- tuirono nel nuovo contesto: Karaxú, Trabunche, Karumanta, Taller Recabarren, Millantú,
Vientos del Pueblo, e altri ancora. Due importanti gruppi del Canto Nuevo del interior, Illapu
e Ortiga, intrapresero la via dell’esilio alcuni anni più tardi. Un caso a parte è rappresentato dal gruppo folk-rock Los Jaivas, che lasciò il Cile per scelta propria33. Nonostante le rivendi- cazioni di continuità fra la canzone del interior (che si riarticolò col nome di Canto Nuevo) e quella dell’esilio che emergono dalle dichiarazioni dei musicisti nella diaspora34, il baricentro
del movimento si trovò spostato al di fuori del Cile fino alla metà degli anni 80 e oltre, con- vertendosi in uno dei più efficaci strumenti per catalizzare il favore dell’opinione pubblica mondiale nei confronti della causa democratica cilena e latinoamericana (McSherry 2016: 3)35.
L’esilio cileno si distinse nella diaspora politica latinoamericana per l’altissimo grado di empatia con le società e le popolazioni ospitanti, l’intensità dell’impegno militante profuso dagli esuli in un costante lavoro di denuncia degli orrori della dittatura (García, Y.M. 2013), la cultura associativa (Bolzman 2002: 100) e la capacità organizzativa (Sznajder – Roniger 2007): tutti fattori determinanti nella mobilitazione internazionale a favore della causa, alme- no durante gli anni 70. La diaspora si caratterizzò anche per la considerevole attività culturale, in risposta all’oscuramento imposto dai militari nell’interno del paese36. La produzione musi- cale della NCCH fu forse la parte più visibile di quella fioritura culturale, ma non l’unica. Sen-
za volerne negare il carattere tragico e traumatico, l’esperienza dell’esilio fu un’occasione straordinaria di crescita culturale e di sprovincializzazione (Norambuena 2008).
33 Un elenco nutrito è offerto da Rodríguez Aedo (2015: 152; 2014a: 235).
34 Si vedano le dichiarazioni di diversi artisti, raccolte in Orellana (1978) e l’intervista agli Inti-Illimani in P. KREBS, «No nos exilien de nuevo. Entrevista», La bicicleta, 35, 1983.
35Meno evidente nel contesto della manifestazione massiva della solidarietà internazionale, ma non meno de- gna di essere ricordata, è la presenza di altre espressioni musicali cilene, non altrettanto direttamente associate alla storia e alla dimensione politica di Unidad Popular. Tra i musicisti accademici assassinati dai militari si ri- corda il compositore e docente universitario Jorge Peña Hen. L’esilio colpì esponenti della música docta, come Gustavo Becerra, Gabriel Brncic, Fernando Alegría, Maximiliano Valdés e numerosi altri. Sull’esperienza dell’esilio nella musica cilena di ambito accademico la Revista Musical Chilena, (n° 199 e 200, del 2003) ha pubblicato diversi contributi, in occasione del trentennale del colpo di stato militare.
36Dati parziali parlano di oltre mille libri pubblicati in 37 paesi, di 178 film, 200 riviste e circa 300 dischi (Pin- to Luna 2012: 8; Prognon 2008; Rodríguez Aedo 2015).
Un’ambivalenza riassunta efficacemente come «itinerario del saber y del dolor» (Castillo Di- dier 2003: 112). Tra gli artisti della NCCH, il poeta e cantautore Osvaldo “Gitano” Rodríguez
visse l’esilio come una condanna senza redenzione (Morris 2006), mentre gruppi come Inti-
Illimani e Quilapayún seppero capitalizzare consapevolmente la costruttiva interazione con il
contesto culturale ospitante (Carrasco 2003b; Cifuentes 1989; Salinas 2013).
Lo storico Ariel Mamani (2013) propone una periodizzazione dell’esilio in tre fasi:
1. 1973-1977: periodo segnato dalla diaspora e dall’intensità delle attività di resistenza at- traverso la denuncia, nonché, sul piano personale, dal trauma dell’allontanamento. In questa fase una intensissima e faticosa attività concertistica inibisce la ricerca artistica. 2. 1977-1981: diminuisce tanto la tensione solidale come la committenza musicale. Si as-
sume la prospettiva di una lunga durata dell’esilio: predominano sentimenti di tristezza e riflessione e si arriva, in diversi casi, a una rottura della militanza politica di partito. 3. 1981-1989: nuovo impulso alla ricerca estetica, con conseguenze importanti sulla poe-
tica e sulla performance di alcuni artisti. Cambia il profilo della militanza e si disegna- no nuove e diverse prospettive di ritorno in patria.
Durante la prima fase i numerosi artisti esuli militanti attinsero ai propri repertori di ispira- zione folklorica e politica, che si prestarono egregiamente ai nuovi compiti di denuncia e inci- tamento alla resistenza e alla solidarietà internazionale, contribuendo a consolidare un imma- ginario politico che divenne familiare ai pubblici europei (Mamani 2013: 27). Ne è una prova il successo dei due più noti inni della sinistra cilena, El pueblo unido jamás será vencido e
Venceremos. In parallelo, all’interno delle comunità d’esilio emersero progressivamente anche
narrazioni resistenziali di sapore nazionalistico: Laura Jordán (2014) ha individuato un revival della cueca, la danza nazionale cilena, fino ad allora poco frequentata dalla NCCH a causa del-
le sue connotazioni sciovinistiche.
Al di là del cambio d’agenda che nei primi anni d’esilio impose agli artisti della NCCH una
revisione dei propri obiettivi e un ritmo di lavoro talmente intenso da provocare di fatto in molti di loro un periodo di stallo nella creazione musicale, il contesto di ricezione europeo condizionò pesantemente i percorsi dei singoli artisti e la linea di sviluppo complessiva del movimento. Nell’analisi di Bessière (1980), in Francia i mass-media, le organizzazioni politi- che, i promotori e l’industria culturale promossero gli artisti esuli in base ad interessi politici locali e a criteri selettivi condizionati da affinità di appartenenza partitica. Si generò su queste basi una “moda cilena” che declinò rapidamente dal 1976 in poi.
Nelle fasi successive, le conseguenze dell’esilio furono ancora più profonde. Una volta in- terrotto il vincolo diretto tra la creazione musicale e la realtà sociale cilena, che costituiva una fondamentale ragion d’essere della NCCH, ed esaurita ora anche la fase della solidarietà mili- tante, gli artisti dovettero confrontarsi (in certo modo per la prima volta) con le esigenze di una industria culturale europea e più in generale occidentale, riformulando il proprio pro-
gramma ideologico ed estetico per inserirsi nel mercato internazionale delle “musiche del mondo” (Rodríguez Aedo 2014a). Un ristretto numero di artisti (principalmente i gruppi Inti-
Illimani e Quilapayún) scelse di rivedere il proprio rapporto con la sfera politica, prendendo
le distanze dal partito comunista cileno, e proponendo di sé un’immagine di elevata profes- sionalità musicale, adeguata alle esigenze del milieu culturale europeo (Mamani 2013). Altri artisti, soprattutto quelli che avevano iniziato la loro carriera di musicisti professionisti solo nell’esilio, rimasero invece ai margini dell’industria culturale mediatica, continuando a soddi- sfare prevalentemente una domanda vincolata ai circuiti della solidarietà e alle comunità cile- ne della diaspora, rimanendo in generale fedeli ad un’estetica tradizionale e meno aperta all’influenza del contesto europeo (Rodríguez Aedo 2014a)37.
L’esilio provocò anche una dispersione geografica che ostacolò scambi e collaborazioni tra i musicisti esuli. Allo stesso tempo però amplificò l’originaria vocazione internazionalista del- la NCCH, inglobando nelle reti transnazionali della “diplomazia musicale” costituite ai tempi
di Unidad Popular (Rodriguez Aedo 2017) nuovi luoghi di produzione e diffusione della can- zone latinoamericana. Si allargarono anche orizzonti culturali e modi di produzione (Gomes de Sousa 2015), rendendo la NCCH partecipe di un più ampio sentire antimperialista mondiale,
in cui interagivano esuli generati da dittature diverse: Argentina, Brasile, Uruguay, Grecia, Iran, Palestina, Turchia, ecc. (Duarte – Fiuza 2015; McSherry 2016: 14).
Nella tabella che segue applico la scansione temporale dell’esilio proposta da Mamani alla produzione discografica dei due principali protagonisti storici della NCCH nell’esilio, i gruppi
Inti-Illimani e Quilapayún. Anche se il quadro è chiaramente parziale, sia perché i due gruppi
non esauriscono il panorama della NCCH sia perché la loro attività non si limitava alla disco- grafia, esso restituisce un’immagine abbastanza credibile della influenza esercitata sulla pro- duzione estetica dai fattori dell’esilio sopra esaminati.
37 Rodríguez Aedo propone una lista di artisti più periferici rispetto ai centri di produzione discografica e si sofferma in particolare sull’attività svolta in Svezia da Mariela Ferreira e Farncisco Roca (Rodríguez Aedo 2014a: 234-237).
Tabella 1: Inti-Illimani e Quilapayún: produzione discografica nell’esilio
Inti-Illimani Quilapayún
a) 1973 -1977: fase della denuncia e testimonianza
- Viva Chile! (1973)
- Inti-Illimani 2. La nueva canción chilena (1974) - Inti-Illimani 3. Canto de pueblos andinos (1975) - Inti-Illimani 4. Hacia la libertad (1975)
- Inti-Illimani 5. Canto de pueblos andinos, vol. 2
(1976)
- Inti-Illimani 6 (1977).
Ripresa del repertorio e del modello estetico precedente:
• musica popolare e folklorica latinoamericana, con una predilezione per la MA;
• autori popolari cileni, in particolare Víctor Jara e Violeta Parra;
• autori cileni dotti: Sergio Ortega e Luis Advis Moderata accentuazione di tematiche di lotta e de- nuncia rispetto alla produzione precedente l’esilio
- El pueblo unido jamás será vencido (1975) - Adelante (1975)
- Patria (1976)
- La marche et le drapeu (1977)
Rilettura in chiave resistenziale del repertorio precedente con tematiche di lotta e denuncia. Nuove canzoni del gruppo ancora con tematiche di lotta e denuncia.
Limitata frequentazione del repertorio folklorico.
A differenza degli Inti-Illimani, che pubblicano solo nuove registrazioni, i Quilapayún
ripubblicano anche alcuni dischi precedenti e antologie compilatorie, qui omessi.
b) 1977 – 1981: fase di riflessione e cronaca d’esilio
- Canto per un seme (1978)
- Jag vill tacka livet (1979, con Arja Saijonmaa)
Due dischi dedicati a Violeta Parra, entrambi con traduzione nelle rispettive lingue europee ospitanti (italiano, svedese). Canto per un seme è una nuova versione della cantata presentata nel 1972.
Non introducono novità estetiche rilevanti, ma confermano lo stile consolidato del gruppo. Attraverso il richiamo a Violeta, “madre fondatrice”, ribadiscono tratti identitari della NCCH., mentre con le traduzioni la collegano al luogo d’esilio.
- Inti-Illimani 8. Canción para matar una culebra (1979)
Novità nel campo musicale: ritmi afroamericani, moderata sperimentazione compositiva; alta percentuale di composizioni del gruppo e inizio della collaborazione creativa tra Salinas e Manns. Riflessione sull’esilio e la prospettiva temporale. Tendenza all’intimismo e rinuncia a toni epici: temi della sconfitta e del ritorno in Cile.
- Cantata Santa Maria de Iquique (1978)
Nuova versione della Cantata, con testo recitato in francese.
- Umbral (1979)
- Darle al otoño un golpe de ventana, para que el verano llegue hasta Diciembre (1980)
Novità estetica e tematica. Riflessione sulla condizione dell’esilio, la distanza, l’assenza, la sconfitta.
Sperimentazione di linguaggi musicali contemporanei. Nessun tema esplicitamente folklorico.
Maggiore incidenza di composizioni di membri del gruppo. Collaborazione di compositori esterni dotti (Becerra, Ortega) e nuove versioni di canzoni d’autore (Patricio Manns, Víctor Jara).
- Alentours (1980)
Antologia di canzoni, in parte tradotte in diverse lingue europee
c) 1981 – 1988/89: fase di rinnovamento tecnico e tematico
- Palimpsesto (1981)
- Imaginación (1984) [musica strumentale. Solo tre
temi nuovi, composizioni del gruppo]
- De canto y baile (1986)
- Fragments of a dream (1987) [con i chitarristi
John Williams e Paco Peña]
Ripresa e sviluppo della riflessione sull’esilio e sul ritorno. Pochi testi con riferimenti di attualità politica. Testi di celebri poeti latinoamericani. Alcuni tributi espliciti all’Italia, nei testi e nella musica.
Pressoché tutte composizioni sono opera di musicisti del gruppo (Salinas, Seves).
Elaborazione di uno stile musicale di maggiore complessità, soprattutto per l’uso di poliritmie e metri dispari sia negli strumenti a corda sia nelle percussioni. Permangono alcuni riferimenti a forme folkloriche, più in generale a ritmi e colori popolari rivisitati. Si includono elementi di musiche
tradizionali/popolari non latinoamericane, in una prospettiva che rimanda esplicitamente alla World
Music.
- La revolucion y las estrellas (1982)
- Quilapayún chante Neruda (1983) [solo due
temi nuovi]
- Tralalí tralalá (1984) - Survario (1987)
Definitivo abbandono dell’epica di lotta socialista a favore di un nuovo umanesimo. Maturazione di un linguaggio musicale sperimentale, in buona parte attraverso composizioni del gruppo (autori: Carrasco, Lagos, Wang).
Composizioni estese e complesse (cantata
popular)38, linguaggi atonali, minimal music. Frequentazione di forme popular urbane (tango, bossa, reggae, salsa)
2 IL MODELLO MUSICALE ANDINO