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Perché piacque: ricezione estetica tra 1973 e 1979

Capitolo II: Musica andina e Nueva Canción Chilena nel contesto italiano: ricezione, narrazioni e rifiut

2.4 Perché piacque: ricezione estetica tra 1973 e 1979

Fin qui ho ripercorso alcune dinamiche che hanno caratterizzato l’accoglienza della NCCH

nel contesto italiano lungo gli anni 70, soprattutto in rapporto a temi extramusicali attorno ai quali si è costruita una relazione tra la musica degli esuli e il contesto di ricezione. In questa sezione mi propongo invece di mettere meglio a fuoco il versante estetico di quella ricezione, così come emerge dalle pagine della stampa di allora.

Per L’Unità, la testata che dedica il maggiore spazio alla NCCH, l’aspetto estetico appare per lo più secondario rispetto a quello della testimonianza politica. Sono rare, per esempio, le

167 Sui festival torinesi del 1965 e 1966, ai quali aveva preso parte anche il cileno Juan Capra, si veda Tomatis (2016c) che accompagna un’antologia di scritti dell’epoca di diversi autori.

168 Si veda la premessa di DI STEFANO al programma del Primo festival della canzone popolare Victor Jara, Torino, 1977.

169 Fanno eccezione l’articolo di G.ALAJMO «Musiche per un popolo oppresso» (Il Gazzettino, 29 maggio 1978) e l’intervista di Tina Merlin a Atahualpa Del Cioppo, direttore del gruppo teatrale uruguaiano El galpón (t. MERLIN,«Fanno cultura, dunque sono sovversivi», L’Unità, 5 giugno 1978, p. 6).

recensioni dedicate alle novità discografiche. Nel caso degli Inti-Illimani, l’attenzione dei commentatori all’aspetto musicale e performativo, quando espressa, si concentra su alcuni topici ricorrenti: da un lato, la capacità del sestetto di coniugare tradizione (che si ritiene in- carnata da «composizioni antiche come la terra» e «una strumentazione rigorosamente autoc- tona»), impegno estetico («laboriose esecuzioni» e «efficaci rielaborazioni») e attualità tema- tica (l’impegno politico-sociale)170; dall’altro, si insiste sulla professionalità che li distingue,

assieme ai Quilapayún, anche nel confronto con altri gruppi musicali della nueva canción la- tinoamericana171, imponendosi all’attenzione critica anche all’estero172. Della nuova proposta

degli Inti-Illimani si comprende il livello estetico alto, inscindibile dal portato etico:

Essi si sono subito distinti per un’alta qualificazione professionale: cantanti e strumentisti ad un tempo sensibili e aggiornati, il loro prodotto sonoro appare oggi di una levigatezza assoluta e di una grande ricchezza timbrica nel mutevole avvicendarsi degli strumenti […] complesso fenomeno musicale le cui componenti sociali, storiche, politiche, etnologiche, poetiche e umane sono inscin- dibili e si fondono tutte in un amalgama dai connotati assolutamente originali e, qui più che altro- ve, in termini di dura, urgente perentorietà. […] sanno, come pochi altri, dare vita ad un incontro in cui godere musica e respirare libertà: musica della libertà. La più bella…173

A differenza de L’Unità, il quotidiano torinese La Stampa è un giornale “borghese” che, non rispondendo a esigenze di partito, non si prefigge di promuovere gli eventi politici nella cui cornice si svolgono le performance dei cileni e dedica perciò maggiore attenzione agli aspetti musicali e culturali, allargando lo sguardo al folk latinoamericano in genere. Mimmo Càndito, che firma la maggior parte di questi articoli, si dimostra in genere correttamente in- formato e sensibile ad aspetti chiave dell’identità culturale della NCCH, quali il dialogo tra

linguaggi folk e accademici174. In una sua interessante recensione parallela di Canto de pue-

blos andinos, il terzo disco italiano degli Inti-Illimani, e della discografia latinoamericana del-

la etichetta Arion, Càndito175 mette a fuoco due importanti questioni di fondo: innanzitutto avverte il rischio di una fruizione della NCCH come mero strumento politico, che faccia smar-

rire il senso e la lezione di un movimento che «proponeva, invece, anche un approfondimento storico e teorico sulla musica popolare, un lavoro di riqualificazione politica della espressività delle classi subalterne, nel recupero delle tradizioni autoctone della cultura india». Seconda- riamente, rileva una distanza metodologica di fondo tra gli approcci al folk andino espressi dagli Inti-Illimani e dai gruppi come Los Calchakis: laddove per Càndito i primi riescono a

170 D.G., «Gli Inti-Illimani fra tradizione e ricerca», L’Unità, 7 febbraio 1974, p. 9.

171 D.G., «Quinteto tiempo», L’Unità, 31 marzo 1974, p. 9; «I cileni del Quilapayun per la prima volta in Ita- lia», L’Unità, 18 febbraio 1975, p. 9.

172 S.BORRELLI, «Sempre alta la voce degli Inti-Illimani», L’Unità, 27 luglio 1974, p. 9. 173 VICE, «Gli Inti-illimani a Roma festeggiano il decennale», L’Unità, 20 luglio 1977, p. 9.

174 M.CÀNDITO, «Canzoni in esilio di gioia e di dolore», La Stampa, 12 settembre 1974, p. 8 e Id. «La voce del Cile libero con gli Inti Illimani», La Stampa, 6 aprile 1975, p. 11.

coniugare rigore e «gusto musicale elegante quanto fantasioso», i secondi mancano di equili- brio e risultano assai meno convincenti176.

Nel complesso, la critica di Càndito riflette il corredo teorico del folk revival italiano. Ciò risulta particolarmente evidente in questo testo dedicato ai concerti tenuti dai Quilapayún a Torino nel 1975, che vale la pena leggere per esteso:

Era la «Nueva Canción Chilena», un programma che – sulla spinta rigorosa delle ricerche dal vivo di Violeta Parra – voleva ritrovare le forme originali d’espressione delle classi proletarie, per recu- perare un patrimonio insostituibile di atteggiamenti, sensazioni, valori, cronache orali di vita e di fantasia. Su questo materiale sonoro, in un continuo rapporto creativo tra passato e presente, s’innestava un’operazione culturale (la riaffermata dignità di quelle tradizioni misconosciute o vio- lentate dalle classi egemoni) e allo stesso tempo politica (la nascita d’una nuova espressività con- sapevolmente proletaria). […] È stato un lavoro di raccolta di balli e canti contadini, su cui hanno poi compiuto un’elaborazione critica che – con nuovi testi o con arrangiamenti di nuova ricchezza sonora – ha creato un repertorio vastissimo di musica alternativa. […] Dotati d’un notevole senso di proporzione strumentale, con una finezza interpretativa che poco o nulla concedeva ai compia- cimenti dello spettacolo, ì Quilapayún hanno suonato, cantato, pronunciato brevi discorsi di lotta e di speranza. Bandiera del Cile oppresso, la carica suggestiva ed evocatrice dei loro canti ha raccon- tato la storia d’un paese e d’un continente, unendo al filo unico della battaglia per la liberazione i destini antichi e moderni dei popoli di Cuba, Colombia, Equador [sic], Bolivia. Le loro canzoni sono materia intrisa di dolore e di speranza, che supera nella tristezza struggente dei suoni della quena o nella irruente accensione del charango i confini e le cronache d’una sola nazione, per farsi patrimonio comune e ideologicamente illuminante. Il tessuto drammatico e gioioso delle strofe e la capacità di forte tensione emotiva della musica trovano una misura limpida e trascinante nello stile del settetto, dove la voce umana è spesso adoperata come strumento orchestrale.177

Il linguaggio di Càndito lo apparenta al folk revival: l’attenzione alla storia orale, il para- digma di un patrimonio tradizionale – ma progressivo in quanto controculturale – che si tra- duce in «nuova espressività consapevolmente proletaria», l’accettazione di una rielaborazione estetica del materiale popolare, se accompagnata da un rigore che nulla concede allo spettaco- lo. Rispetto a queste consonanze, la nota più originale rispetto ai canoni del canto sociale ita- liano risiede nella sottolineatura della carica struggente, emotiva, legata alla sonorità strumen- tale del gruppo cileno. Sonorità che in questo caso (come Càndito peraltro correttamente av- verte) è però anche l’espressione simbolica di un’ideologia latinoamericanista.

Anche Renato Scagliola, che seguì per La Stampa le manifestazioni del Festival Víctor Ja- ra del 1977, si mostra sensibile ai valori estetici, musicali e scenici, dei gruppi cileni Inti-

Illimani e Quilapayún, per concludere che «non bastano le motivazioni politiche, che pure

sono fortissime, a spiegare il successo della musica cilena, e quello particolare degli Inti Illi-

176 Sulla ricezione della MA, si veda il paragrafo 3.3 nel seguito di questo capitolo.

mani»178. Quasi a completare il ragionamento impostato ma non concluso da Scagliola, Ange- la Bianchini, nel recensire il volume che la Jaca Book dedicava alle canzoni degli Inti-Illimani (Delogu 1977), enuncia alcuni elementi che a suo avviso sostanziano un lavoro culturale di eccezionale serietà e ne giustificano un risultato di «solidarietà mai raggiunta dalla canzone politica»: una dimensione di epicità collettiva in cui si sublima il creatore individuale, la pro- fessionalità dei musicisti, capaci di unire il carattere latinoamericano a suggestioni europee, l’importanza e la qualità dei testi che «non sono mai propaganda, ma poesia»179.