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Due generi musicali interdipendenti

Capitolo II: Musica andina e Nueva Canción Chilena nel contesto italiano: ricezione, narrazioni e rifiut

3.1 Due generi musicali interdipendenti

A differenza di quanto accade per la NCCH, i mezzi di comunicazione dell’epoca restitui-

scono una documentazione piuttosto labile della coeva circolazione delle musiche andine, al di fuori del campo della stessa NCCH. Benché tale circolazione abbia avuto una sua indubbia consistenza (per esempio nella discografia presente all’epoca sul mercato italiano), sembra che l’opinione pubblica non abbia associate quelle musiche ad una narrazione di riferimento paragonabile a quella, prevalentemente etico-politica, associata alla NCCH. In mancanza di

documenti per una cronaca della fortuna critica, la ricostruzione di uno spazio di circolazione musicale andino nel contesto italiano richiede un approccio diverso da quello precedentemen- te impiegato per la NCCH: sarà necessario procedere accostando e confrontando i caratteri del-

le produzioni musicali, nonché indizi di vario genere, per ricavare dal particolare un profilo più generale. Un apporto utile e originale viene inoltre dalla contestuale ricostruzione della vicenda dei GIMCA, la cui memoria è qui considerata come fonte per lo studio della ricezione in quegli anni, dai loro tentativi di attribuzione di senso all’oggetto musicale che li aveva affa- scinati, e dallo studio della loro produzione musicale e della loro performance.

Come si è visto in precedenza, tra la fine dei 60 e l’inizio dei 70 fa capolino sul mercato italiano il filone discografico delle flûtes indiennes, di origine prevalentemente francese, pro- mosso dal successo internazionale del Cóndor pasa (1970), ma è solo attorno al 1973, in coincidenza con il boom musicale cileno, che prende l’avvio una circolazione rilevante di MA.

Che non si tratti di una semplice coincidenza cronologica e che invece i due generi siano stret- tamente interdipendenti è ricavabile da una somma di elementi: l’andamento parallelo delle rispettive produzioni discografiche in Italia; la trattazione della MA sulla stampa, prevalente- mente assorbita all’interno di quella sulla NCCH; la sovrapposizione tra i due ambiti nella ri-

cezione popolare; il racconto testimoniato dai GIMCA.

Il grafico riassume i dati corrispondenti al numero di titoli di MA e di nueva canción (cile-

na e latinoamericana) pubblicati/stampati in Italia tra il 1965 e il 1986237. Vi si riconoscono con chiarezza i limiti cronologici di un’autentica esplosione delle musiche latinoamericane tra il 1973 e il 1978, in piena coincidenza con l’espansione del folk come genere musicale nei circuiti dell’industria culturale italiana. Pur tenendo conto che il corpus considerato non in- clude i titoli di importazione (ossia non stampati in Italia, ma ugualmente reperibili in negozi specializzati) e che il semplice numero di titoli non è necessariamente proporzionale al volu- me di vendite di ciascun genere, il grafico rivela comunque una dinamica parallela tra i generi e ci suggerisce che essi insistessero su un unico bacino di fan e acquirenti, come conferma anche la memoria delle persone.

Affermare che in Italia la MA abbia conosciuto un’ampia diffusione di massa attraverso la

NCCH significa affermare almeno due diverse realtà: a) che il movimento cileno ha reso popo-

lari un repertorio e una strumentazione andini che esso stesso veicolava; b) che la NCCH eser- citò un effetto trainante su altre MA – prima di tutto quella “francese” e successivamente quel- la “autoctona” – le quali, grazie all’interesse suscitato dalla precedente, godettero di maggior attenzione e presenza sul mercato discografico. In questo, il mercato italiano mostra una so- stanziale differenza rispetto a quello francese, dove le musiche di ispirazione andina precedet- tero di oltre tre lustri l’arrivo degli esuli cileni e dove forse, come sostiene Rodríguez Aedo, questi ultimi poterono giocare proprio la carta dell’esotismo per creare uno spazio musicale di resistenza alla dittatura e di sopravvivenza nell’esilio grazie alla familiarità del pubblico fran- cese con la MA (Rodríguez Aedo 2015). In Italia accadde semmai l’inverso. Fu infatti

l’entusiasmo per la NCCH, e in particolare per il sound andino degli Inti-Illimani, ad aprire la strada ad una diffusione più ampia dei Calchakis e di altri interpreti similari. Detto ciò, resta comunque da determinare in quale misura possa aver giocato un fattore di esotismo intrinse- co, sonoro, nella fascinazione della NCCH presso un pubblico come quello italiano, estraneo ai

presupposti culturali nazionali della NCCH.

Quali rappresentazioni dell’andino circolano dunque in Italia? Ricordiamo brevemente che la presenza andina dentro la NCCH comporta tanto una consistenza di materiali musicali (tim-

bri, ritmi, scale, ecc.) quanto una rappresentazione dei popoli nativi andini, funzionale al di- scorso progressista e latinoamericanista proprio del movimento e assai diversa da quella – in qualche modo più antropologica o “archeologica” e venata di esplicito esotismo – veicolata dalle MIA francesi. La contingenza dell’esilio aggregò a quella presenza ulteriori sovrasensi, riconoscibili fin dal primo approccio italiano alla NCCH.

L’album Viva Chile! degli Inti-Illimani, registrato a Milano pochi giorni prima del golpe nel corso della tournée italiana e pensato come un campionario musicale del nuovo Cile e del-

237 Il corpus considerato conta oltre 120 titoli (LP) pubblicati in Italia, secondo quanto ricavato dai dischi stes- si, ovvero desunto, con le dovute cautele, dai cataloghi Opac Sbn e Discogs (https://www.discogs.com/).

le diverse esperienze del gruppo, era la loro carta di presentazione. Nella sua conformazione si fondono in parti uguali canzoni di netto carattere politico militante (Venceremos, Simón Bo-

lívar, La segunda independencia, Cueca de la CUT, Canción del poder popular) e brani ascri-

vibili al folklore (e al neo-folklore) andino (Ramis, Longuita, La fiesta de San Benito, Subida) o evocativi di atmosfere andine (Alturas). Completano il programma un altro brano strumen- tale originale, Tatatí, e una canzone di Violeta Parra, Rin del angelito. Il precipitare degli eventi ne cambiò radicalmente il significato originario, come giustamente ricorda Claudio Rolle:

Da porto di arrivo in cui veniva raccolta e presentata una ricca esperienza di sei anni di lavoro, di crescita e di cambiamenti, a porto di partenza della lotta contro la dittatura che si stava radicando in Cile, quell’album acquistava, senza esserselo proposto, un carattere fondatore della resistenza alla dittatura. (Rolle Cruz 2010:54)

Ai mutamenti sia formali sia semantici derivanti dall’incorporazione di quel repertorio di folklore nell’alveo stilistico della NCCH si sommava ora un ulteriore transfert in virtù del qua-

le espressioni della tradizione di Perù, Bolivia o Ecuador si trasformarono presso il pubblico italiano in immagini sonore associate alla resistenza del popolo cileno. Gli Inti-Illimani svol- sero in questo senso un ruolo di mediazione tutt’altro che neutro. Accorpando nello stesso re- pertorio musica urbana a sfondo sociale e vario folklore latinoamericano, e imprimendo ad entrambi il sigillo stilistico peculiare del gruppo, favorirono nella ricezione locale una sovrap- posizione di discorsi: la valenza politica si riflesse sull’intero repertorio e, viceversa, fu per- cepita come “andina” qualunque musica in cui appena risuonassero una quena o un charan-

go238.

Nelle fasi successive della loro produzione discografica italiana, gli Inti-Illimani opteranno per una più netta distinzione tra un repertorio di “folklore” (i.e. MA) e uno di nueva canción,

dedicando interamente al primo i due album intitolati Canto de pueblos andinos, mentre la “andinità” nel secondo si riduceva agli elementi timbrici e a qualche modulo ritmico e melo- dico, ormai strutturalmente incorporati nel linguaggio musicale della NCCH. È però vero che i repertori così separati nella discografia tornavano a fondersi nelle esibizioni dal vivo che, nu- merosissime e capillarmente diffuse su tutto il territorio nazionale, costituirono un momento importante della ricezione popolare.

Durante questo primo decennio, gli Inti-Illimani furono senza dubbio i principali dissemi- natori di MA nel paese, ma certo non gli unici. Repertorio andino (o evocativo delle Ande)

figura nella discografia e nei concerti dei Quilapayún, in misura minore, ma con caratteristi- che in parte analoghe: si fonde con il canto sociale nell’album El pueblo unido jamás será

238 Questo, nonostante un certo tentativo di fare chiarezza sulla propria operazione. Si veda al proposito la già citata intervista del 1975 a Realismo («Il dibattito culturale sotto “Unidad Popular”», Realismo, 6). La (con)fusione di andino e rivoluzionario era peraltro favorita anche da altri fattori culturali e da rappresentazioni associate, quali la vicenda del Che in Bolivia o la narrativa del romanziere peruviano Manuel Scorza. Si veda Rios (2008) e, sulla popolarità italiana di Scorza, Tedeschi (2006: 180).

vencido [QUILAPAYÚN 1975]; è dominante in Sudamerica oggi [1971/1976] e assente invece in Basta! [1974/1969]239. Il più folklorico e “andino” dei gruppi della NCCH, Illapu, figura nel

catalogo dello Zodiaco con un unico titolo – appunto, Musica andina [ILLAPU 1975]–ma non conta su una presenza dal vivo in Italia in questo periodo. Altri gruppi cileni meno conosciuti localmente, come Icalma, Trabunche, Nara Yana, Kamak Pacha Inti e altri, contribuiscono a diffondere MA più attraverso i concerti che attraverso i dischi. Ad essi si sommano diversi al-

tri gruppi non cileni, con repertori affini, come gli italo-argentini Americanta, e perfino il gruppo boliviano dei Ruphay, che introduce una precoce presenza di stili “autoctoni” e viene notato dalla stampa italiana.

Viceversa, la circolazione della musica andina “francese” in Italia è legata quasi esclusi- vamente ad una presenza discografica sul mercato, e assai poco alle esecuzioni dal vivo. A proposito di questa discografia, inizialmente costituita in prevalenza da ristampe locali di di- schi francesi, va osservato che, mentre per Los Calchakis e Los Incas era rilevabile dal corre- do paratestuale dei dischi una precisa personalità degli interpreti, per molti altri (Los Indios,

Los Indios de Siku, Los Kenakos) l’identità dei musicisti rimaneva spesso oscura o ambigua,

non figurando né foto, né i nomi, né alcuna nota di commento. Alcune di queste pubblicazioni rispondevano probabilmente al proposito di sfruttare al massimo una tendenza del mercato, senza rispettare vincoli contrattuali e di diritto d’autore. Per Los Calchakis – quasi sempre autori o arrangiatori dei brani – si seguì invece una strategia performativa opposta: non sola- mente le copertine dei dischi riportano spesso immagini degli interpreti e ne esplicitano i no- mi e gli strumenti suonati da ciascuno, ma evidenziano anche la personalità di Héctor Miranda come leader carismatico e garante del percorso culturale del gruppo240. Si percepisce chiara- mente la presenza di un pubblico di fan, la cui curiosità viene così alimentata da una strategia di taglio moderatamente divistico.

I dischi dei Calchakis, prodotti dall’etichetta francese Arion, fanno parte di una collana di folk internazionale (Universo Folklore) in cui figuravano numerosi altri titoli di area latinoa- mericana. La collana venne stampata anche in Italia dalla Ducale, licenziataria della Arion, che in seguito acquisì la proprietà della stessa Arion. La presenza dei Calchakis sul mercato italiano non fu dunque un fatto episodico e marginale. Los Indios, Los Kenakos ecc., appar- tengono invece ad un ambito di produzione budget-line (a basso prezzo e venduti anche nei supermercati e nelle bancarelle) ben rappresentato dalla casa discografica Joker241.

239 Un caso a parte è rappresentato dalla cantata Santa María de Iquique [Q

UILAPAYÚN 1974/1970], nella qua- le atmosfere chiaramente andine permeano diversi momenti di una composizione che segue percorsi diversi.

240 Per es. il retro di copertina di Flauti, arpe e chitarre indios, contiene dei cenni biografici di Miranda, a conclusione dei quali si legge che: «Héctor Miranda vive a Parigi in una casa circondata da un piccolo giardino pieno di piante che gli garantisce la necessaria tranquillità per poter continuare le sue ricerche pittoriche e i suoi studi sulla musica indiana-latinoamericana».

241 Sulle strategie aziendali della Joker, cfr. D.CAROLI, «Joker has last Laugh as Italian Budget Line Click»,