L’immaginario andino della NCCH poggia essenzialmente su due diverse operazioni di na- tura musicale: a) il “prestito” di una serie di elementi (timbri, scale, ritmi, standard melodico- armonici, ecc.) che i compositori della NCCH incorporano liberamente all’interno di una origi-
nale morfosintassi di carattere latinoamericano; b) l’inclusione nei propri repertori di numero- si brani di origine folklorica e popolare andina. Della prima, che riguarda la formazione del linguaggio musicale della NCCH e supera i confini dell’andino, mi occupo in altre parti di que-
sto capitolo; per illustrare la seconda, propongo invece di seguito l’esempio di un brano del folklore peruviano, conosciuto con il titolo Ramis, che attraverso una catena di passaggi arriva all’ascolto italiano nel 1973. L’esempio scelto è certamente parziale – ogni brano ha una sto- ria distinta e un solo esempio non esaurisce la varietà dei percorsi e delle dinamiche di trans- culturazione – ma ha il pregio di attraversare l’intero ventaglio dei contesti fin qui trattati e offrire l’opportunità di un confronto con la versione realizzatane da uno dei gruppi italiani esaminati nel seguito del lavoro62.
Le origini di Ramis risalgono ad una creazione anonima, un sicuri della regione di Conima (Dipartimento di Puno, Perù) presente almeno dagli anni 40 del Novecento nel repertorio di un gruppo storico del luogo, Qhantati Ururi, conosciuto (e ancora oggi eseguito) col titolo di
Hortensia63 1. L’estetica propria di questo genere di interpretazioni è quella del consort
monostrumentale di flauti di Pan, con accompagnamento ritmico dei tamburi e armonizzazio-
62Nella discografia degli Inti-Illimani compresa tra il 1973 e il 1978 (i primi otto dischi Lp dell’esilio), le circa trenta versioni di brani di carattere andino rappresentano poco meno di un terzo del repertorio totale. Nella di- scografia dei Quilapayún la consistenza è di poco inferiore. Rispetto alla totalità di questo repertorio, l’esempio di Ramis – riproposta di un testo musicale già tradotto nel contesto regionale ad un sistema eurocolto – rappre- senta solo uno dei percorsi possibili. Spesso la fonte della ripresa è una registrazione etnografica pubblicata su disco. In rari casi il tema folklorico è semplicemente riprodotto: ad es. Solo de quena [INTI-ILLIMANI 1976]. Di norma, il materiale melodico originale viene invece armonizzato secondo l’estetica cosmopolita e adattato all’organico strumentale dei gruppi. Nel repertorio degli Inti-Illimani è il caso di Tema de la Quebrada de Hu-
mahuaca [1975a] e Carnavalito de la Quebrada de Humahuaca [1976], che il gruppo riprende da un disco etno-
grafico curato da Leda Valladares [VALLADARES s.d.], lo stesso da cui i Quilapayún ricavano, attraverso un as- semblaggio di melodie, il loro Yaraví y huayno [QUILAPAYÚN 1975a]. Con Titicaca (Ibid.) i Quilapayún non solo armonizzano in chiave cosmopolita un altro tema tratto dalla registrazione etnografica di un sicuri peruviano, ma lo inseriscono in una struttura più ampia, con l’invenzione di una nuova sezione melodica a contrasto (si veda qui sotto la sezione VII.2 della terza parte). Nello stesso disco figura poi Chacarilla, versione abbastanza pros- sima all’originale di una canzone popolare boliviana d’autore, del gruppo Los Payas. La fonte è all’origine un prodotto discografico popular, che però viene appreso dai Quilapayún attraverso la mediazione orale del gruppo
Illapu. Altri temi provengono da un ambito che potremmo definire di nueva canción andina, come accade con Vasija de barro [INTI-ILLIMANI 1976] e con il repertorio per charango solista degli Inti-Illimani: Estudio para
charango e Campanitas [Ibidem], Subida [1973b] e Mis Llamitas [1973a], tutte composizioni di autori boliviani
contemporanei. Il limitrofo repertorio di proyección folclórica argentina fornisce materiale per arrangiamenti che introducono sonorità altiplaniche assenti nella fonte: come esempi, si possono indicare il bailecito Sirviñaco [1976], la vidala A vos te ha’i pesar [1976] e il huayno Huajra [1975a]. Altri brani sono infine tratti da ambiti di musica d’autore di generi popolari nazionali criollos e mestizos dei paesi andini (ad esempio, Dolencias [1975a].
63Secondo Omar Ponce (comunicazione personale) esisterebbe la registrazione di una trasmissione radiofonica d’epoca di questo tema. Nell’impossibilità di accedere a quella registrazione storica, potrà servire una esecuzione recente dello stesso Qhantati Ururi disponibile online (https://vimeo.com/87701560), che consente di apprezzare in via di massima le caratteristiche del tema nella versione sicuri.
ni per voci parallele, di intonazione non temperata e variabile da uno strumento all’altro del
consort. Intorno agli anni 50 questo tema divenne oggetto di una captación [letteralmente
“cattura”, ripresa] da parte di Augusto Portugal Vidangos (1914-2005), un musicista di Puno appartenente alla élite colta urbana, che ne ricavò un «motivo costumbrista» (i.e. “regionali- sta”) con il titolo paesaggista di Ramis (dal nome di un fiume della regione, tributario del lago Titicaca)64. La nuova veste rispondeva ai canoni estetici ed ideologici di un indigenismo mu-
sicale che produceva versioni stilizzate di danze rurali attraverso un riuso del mero materiale melodico indigeno, riversato in una sintassi eurocolta (armonie triadiche, contrappunto, voci per terze) e riorchestrato per la estudiantina, un tipo di ensemble di carattere mestizo, che uni- sce strumenti a corda pizzicata, violini, quenas, fisarmonica, addolcendo così la sonorità ten- denzialmente acuta e – all’orecchio occidentale – stridente del sicuri, grazie all’aggiunta di parti nei registri medio e grave (Turino 1993: 125-6).
Una versione di Ramis (con tutta probabilità opera dello stesso Portugal Vidangos) venne registrata nel 1963 in un LP dalla estudiantina Theodoro Valcárcel [CENTRO MUSICAL THEO- DORO VALCÁRCEL 1964] 2. Sarà questa la porta della disseminazione successiva del brano,
sia in Perù – dove conosce numerose riprese, tra cui la più celebre è forse quella per chitarra solista del maestro ayacuchano Raul García Zárate – sia nel mondo, attraverso la versione diffusa, a partire dal 1973, dal gruppo cileno Inti-Illimani.
Colpito dalla bellezza musicale di Ramis, Horacio Salinas (2013) racconta di averne rica- vato un arrangiamento per gli Inti-Illimani limitandosi a ridistribuire, con minimi adattamenti, le parti dell’estudiantina tra gli strumenti del gruppo: quena, una coppia di sicus, charango, chitarra, bombo e sonagli. L’ascolto rivela però degli altri cambiamenti: l’adozione di una sca- la naturale, anziché la minore melodica dell’originale (differenza percepibile solo all’attacco del tema, ma ugualmente caratterizzante); la scelta di un tempo più vivace, da 1/4=138 a 1/4=152; la soppressione della ripetizione delle scale introduttive e della voce alla terza infe- riore in alcune parti dell’introduzione e del tema 3. Il brano sarà registrato su disco una prima volta in Cile, nell’ LP Canto de pueblos andinos [INTI-ILLIMANI 1973a], e una seconda volta, a pochi mesi di distanza, nel primo disco dell’esilio italiano, Viva Chile! [INTI-ILLIMANI
1973b].
Il pezzo mantiene il fascino della melodia originale, con l’attacco ad effetto delle scale in- troduttive, i ritorni da capo e le variazioni nella ripetizione, secondo la struttura frasale AAB- BCC. Ne conserva anche la ricchezza polifonica: la seconda voce, affidata ai sicus, non si li- mita a raddoppiare il tema alla terza inferiore, come accadeva nella maggior parte della musi- ca andina cosmopolita, ma presenta un andamento più autonomo, con alcuni passaggi con- trappuntistici. Allo stesso tempo ne recupera – a livello simbolico – la matrice amerindia, af- fidando la melodia alle sonorità degli aerofoni andini, con i sicus in esecuzione dialogata. Il
64Informazioni ricavate principalmente da Ponce Valdivia (2008) e da comunicazioni personali dello stesso musicologo.
tempo accelerato, se da un lato cancella l’incedere cadenzato e avvolgente della danza, ne raf- forza d’altra parte l’energia intrinseca dell’esecuzione. Il risultato è dunque diverso tanto dal modello indigenista, quanto dal suo “progenitore” indigeno, pur veicolando sedimenti dell’uno e dell’altro.
Nel percorso fin qui delineato (un itinerario condiviso da infiniti altri temi musicali analo- ghi al nostro sicuri) una musica identitaria della comunità rurale di Conima, nel dipartimento di Puno65, è andata stratificando significazioni diverse. Il discorso che presiede alla prima
conversione del tema è quello indigenista, che propone l’inclusione della componente nativa all’interno del paradigma culturale nazionalista peruviano, anche se
It was mestizo rather than indigenous identity that was at stake within indigenista circles, and the musical styles that resulted from their activities articulated this. […] Most crucially, the value and outlook of mestizo indigenistas were largely grounded in a Western-criollo orientation. Hence, in spite of their symbolic identification with indigenous society, their input into local musical life was strongly colored by their own criollo-mestizo aesthetics and social values. (Turino 1993: 126-7)
La seconda conversione effettuata dagli Inti-Illimani parte dunque da un materiale già transculturato, in cui il rapporto con le radici native è mediato da un filtro di matrice culturale ibrida e coloniale, e costituisce un’elaborazione perlomeno di secondo grado, basata su una fonte secondaria (il disco). Questo non impedisce che l’autore dell’arrangiamento lo percepi- sca come ancora pienamente rappresentativo dell’universo nativo andino:
Es una pieza expléndida, que muestra como pocas la característica música serrana del Perú. Es de Puno y, como todo huayno, se baila. Nos ilustra además con que fuerza la música transparenta el testimonio de una vida dura, de un dolor antiguo, y que cholos y cholas transforman en arte, no solo musical. (Salinas 2013: 59)
Nella storia degli Inti-Illimani, Ramis è anche il testimone di una congiuntura ricca di ele- menti mitici. Il gruppo di giovani studenti universitari cileni entrò in possesso del disco del
Centro Musical Theodoro Valcárcel nel 1970, durante un viaggio in Perù e Bolivia, uno dei
momenti fondativi della vocazione andina e latinoamericanista del gruppo e una formidabile occasione di scoperta di un mondo musicale pressoché ignoto nel Cile di allora. Inoltre fu un regalo di Sybila Arredondo, scrittrice cilena, da poco tempo vedova di José María Arguedas, scrittore e antropologo peruviano e nume tutelare della MA nel suo paese. Non sorprende
dunque che questo brano, estratto da quel leggendario disco peruviano, rivesta per gli Inti-
Illimani un significato particolare66.
Con l’arrangiamento del gruppo cileno, Ramis entra a far parte della koinè della MA inter-
nazionale, subendo così una nuova transculturazione. In Italia, questa versione del sicuri di Puno circola all’interno del “pacchetto” musicale cileno dell’esilio, di cui l’album Viva Chile!
65 Si tratta della comunità studiata da Turino nel suo libro Moving away from Silence (Turino 1993). 66 Dallo stesso Lp viene ricavato anche il brano Flor de Sancayo [INTI-ILLIMANI 1976].
è una prima ed esemplare espressione. In esso, musiche di provenienze e significati diversi vengono associate nella fruizione solidale e resistenziale, di modo che temi di impronta fol- klorica come Ramis o La fiesta de San Benito saranno ascoltati non tanto come una rappresen- tazione del mondo rurale e indigeno andino, quanto di un popolo in lotta contro dittature e oppressione. È con tutta evidenza la congiuntura a generare un sovrasenso politico anche in musiche di questo tenore. Considerato un “pezzo forte” del repertorio, sarà frequentemente riproposto anche da molti gruppi italiani67.
È molto interessante osservare come le trasformazioni subite dal brano sul piano musicale siano state accompagnate da elementi di altra natura – verbale e visiva – che compongono il
dispositivo di enunciazione (Díaz 2013) di ciascuna versione. Il corredo paratestuale e icono-
grafico offerto dalle copertine degli LP in cui ciascun brano è inserito mostra come tutti gli
elementi del discorso siano tra loro piuttosto coerenti. Titoli e grafica dell’album del Centro
Musical Theodoro Valcárcel (curato dal compositore criollo Mario Cavagnaro) insistono
sull’aspetto dell’appartenenza geografica e culturale al Perù e più in particolare alla regione di Puno – di cui la estudiantina costituisce un’espressione tipica – evocata con molta forza dall’immagine iconica di un’imbarcazione di totora sul grande lago Titicaca [Fig. 1]. La con- cezione dell’andino proposta dalla NCCH ne sottolinea invece i caratteri transnazionali, di una
pluralità di pueblos andinos, su cui insiste la presentazione del disco, scritta dal direttore arti- stico della casa discografica Odeon cilena, l’argentino Rubén Nouzeilles:
A menudo se habla del folklore de tal o cual país, pretendiendo identificar los orígenes de la música de los pueblos latinoamericanos con las delimitaciones fronterizas de las diversas naciones, cuando sabemos sobradamente que los grupos raciales, con sus manifestaciones culturales propias, conforman un esquema de distribución casi totalmente independiente de las fronteras nacionales. La Cordillera de los Andes, sus cumbres, mesetas, laderas y valles fueron – y son – asiento de pueblos y culturas que felizmente, en proporción apreciable reflejan hoy en relación al pasado, una continuidad de costumbres y tradiciones que es necesario recoger, ordenar y difundir para que sepamos mejor quiénes y cómo somos realmente en nuestra gran Patria americana.68
Non solamente la veste musicale pan-andina e latinoamericanista proposta dagli Inti-
Illimani coincide con tali premesse. Anche l’immagine della copertina (di Jaime Reyes) – che
raffigura in forma stilizzata il volto di un suonatore di sicu con il tipico copricapo chullo – propone una rielaborazione dell’immaginario andino che evita tanto il documentarismo pae- saggistico e localista, quanto il richiamo esotico [Fig. 2]. Musica e grafica mostrano una “an- dinità” già acquisita al discorso latinoamericanista della NCCH. Nel successivo LP Viva Chile!,
concepito pochi giorni prima del golpe e pubblicato immediatamente dopo, l’immagine di co-
67 Ramis è stato spesso riproposto dai GIMCA mantenendo fedelmente la versione degli Inti-Illimani. Nel caso di studio dedicato al gruppo Taifa ne esamino invece una versione con tratti originali. Segnalo qui un adattamen- to insolito, proposto dal gruppo sardo-cileno Nazka, dove la sonorità andina è garantita dalla quena e dal cha-
rango, con l’integrazione di un violino, mentre il sicu è sostituito da un flicorno
(https://www.youtube.com/watch?v=tdmSLcsyFZc).
pertina [Fig. 3] riproduceva quella del libro di Barraza (1972) dedicato alla NCCH, in cui un
disegno di Larrea sintetizzava il carattere “nazionalpopolare” del movimento per mezzo dei simboli dell’uccello canoro, della chitarra e della bandiera nazionale cilena. I musicisti, ritratti in una foto sul retro della copertina dell’album, acquistavano un ruolo testimoniale di fronte al mondo [Fig. 4].
In conclusione, il caso di Ramis, oltre ad illustrare una dinamica di crossover69 frequente
nel passaggio tra MA e NCCH, offre lo spunto per alcune considerazioni:
a) la riproposta di musica folklorica (andina e non) da parte di gruppi come gli Inti-Illimani non è generalmente collegata ad un lavoro di ricerca sul campo, ma si fonda principalmen- te sull’utilizzo di fonti discografiche, anche se poi questa conoscenza indiretta viene in parte validata attraverso il viaggio e la frequentazione dei luoghi, dei contesti di prove- nienza delle musiche (Rodríguez Aedo 2016: 68-9)70;
b) nella loro riproposta di musiche folkloriche e popolari di un determinato luogo entro nuo- vi contesti, gli Inti-Illimani operano come dei pasadores, cioè dei “traghettatori” cultura- li71. Rodríguez Aedo (2016) sottolinea correttamente come la funzione non sia neutra,
semplice veicolo di un oggetto culturale, ma invece crei uno spazio terzo e comporti tra- sformazioni sia della realtà di partenza sia di quella di ricezione.
c) il crossover comporta generalmente una opacizzazione della fonte folklorica originaria, con la relativa perdita dei caratteri estetici “nativi”. Questo aspetto risulta ancor più signi- ficativo nel contesto di ricezione europeo, dove una rielaborazione di secondo o terzo gra- do della fonte folklorica si converte pressoché automaticamente in “originale”;
d) il crossover comporta risemantizzazioni che nascono dall’interazione tra musicisti, musi- che, pubblico e contesto, interessando un intreccio di orizzonti d’attesa, cultura, memoria individuale e collettiva di ciascun soggetto coinvolto.