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Condizioni di accesso dello straniero all’abitazione

VII. Ambito di indagine e scopo del lavoro

2. Condizioni di accesso dello straniero all’abitazione

Il testo unico disciplina l’accesso dello straniero all’abitazione all’art. 40 graduandolo secondo diverse forme a seconda del titolo di soggiorno posseduto dallo straniero. In particolare si prevede a realizzazione di centri accoglienza252 per gli stranieri regolarmente soggiornanti che siano temporaneamente impossibilitati a provvedere autonomamente alle proprie esigenze alloggiative e di sussistenza. Lo straniero regolarmente soggiornante può comunque accedere anche ad alloggi sociali, collettivi o privati, nell’ambito di strutture alloggiative, prevalentemente organizzate in forma di pensionato, aperte ad italiani e stranieri, finalizzate ad offrire una sistemazione alloggiativa dignitosa a pagamento, secondo quote calmierate, nell’attesa del reperimento di un alloggio ordinario in via definitiva.

Soltanto gli stranieri titolari di carta di soggiorno e gli stranieri regolarmente soggiornanti in possesso di permesso di soggiorno almeno biennale e che esercitano una regolare attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo hanno, invece, diritto di accedere, in condizioni di parità con i cittadini italiani, agli alloggi di edilizia residenziale pubblica e ai servizi di intermediazione delle agenzie sociali eventualmente predisposte da ogni regione o dagli enti locali per agevolare l’accesso alle locazioni abitative e al credito agevolato in materia di edilizia, recupero, acquisto e locazione della prima casa di abitazione253.

Tale previsione risponde, con ogni evidenza, alla necessità che la concessione di certe agevolazioni ai non cittadini sia ancorata alla durata della loro permanenza in Italia e quindi al livello di non precarietà di tale residenza. È stato tuttavia osservato254 come il criterio del possesso di un permesso biennale, a differenza del

252 La predisposizione di tali centri è affidata alle regioni, in collaborazione con le province e con i

comuni e con le associazioni e le organizzazioni di volontariato. Tali centri sono finalizzati a rendere autosufficienti gli stranieri ivi ospitati «nel più breve tempo possibile» e provvedono, ove possibile, ai servizi sociali e culturali idonei a favorire l’autonomia e l’inserimento sociale degli ospiti. In particolare, al comma 3 del sopracitato articolo si prevede che «per centri di accoglienza si intendono le strutture alloggiative che, anche gratuitamente, provvedono alle immediate esigenze alloggiative ed alimentari, nonché, ove possibile, all’offerta di occasioni di apprendimento della lingua italiana, di formazione professionale, di scambi culturali con la popolazione italiana, e all'assistenza socio- sanitaria degli stranieri impossibilitati a provvedervi autonomamente per il tempo strettamente necessario al raggiungimento dell’autonomia personale per le esigenze di vitto e alloggio nel territorio in cui vive lo straniero».

253 Sul punto si veda Tar Lazio, Sez. II, Sent. n. 8217 del 28 giugno 2006, per il quale è legittima la

determinazione del Comune che ha dichiarato inammissibile la domanda presentata dal ricorrente nell’ambito della procedura concorsuale per l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica e motivata in relazione all’assenza del diritto di reciprocità con il Paese del quale il ricorrente è cittadino. Il bando era stato infatti pubblicato prima dell’entrata in vigore dell’art. 40, comma 6, del testo unico, introdotto dalla l. 189/2002, che riconosce il diritto di accesso all’edilizia pubblica senza distinzioni a tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti. In riferimento agli stranieri titolari di un permesso di soggiorno scaduto, cfr. Tar Lombardia, Sez. III di Milano, Sent. n. 767 del 12 aprile 2005, per il quale è legittimo il provvedimento comunale di rigetto dell’istanza di assegnazione di un alloggio comunale opposto ad una famiglia extracomunitaria, pur se in situazione di disagio e precarietà. I coniugi, infatti, sono titolari di un permesso di soggiorno scaduto, mentre l’art. 40, comma 6, del d.lgs. 286/98 consente l’accesso all’edilizia residenziale pubblica, a parità di condizioni con i cittadini italiani, ai soli titolari di carta di soggiorno, ovvero di un permesso di soggiorno almeno biennale per l’esercizio di attività lavorativa subordinata o autonoma.

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Al riguardo cfr ordinanza del 9.2.2009 del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia. Sul punto si veda anche infra nota 258.

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permesso CE per lungo soggiornanti, non soddisfi in modo ragionevole questa esigenza. Se infatti per il rilascio di quest’ultimo titolo è necessario, tra le altre cose, il «possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità», il permesso biennale è rilasciato discrezionalmente dal Questore qualora il lavoratore straniero sia titolare di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato o sia un lavoratore autonomo. Infatti, anche in presenza delle predette condizioni, la legge non obbliga il Questore al rilascio di tale titolo di soggiorno, ma lascia all’autorità amministrativa una mera facoltà255, per cui uno straniero al primo ingresso potrebbe in teoria avere un permesso di soggiorno biennale ed uno straniero residente in Italia da quattro anni un permesso annuale di volta in volta rinnovato. Sotto questo profilo, l’introduzione di una tale condizione di accesso potrebbe dunque ritenersi irragionevole.

I più recenti provvedimenti legislativi in materia di abitazione confermano tuttavia tale tendenza, introducendo requisiti aggiuntivi, rispetto a quelli previsti dall’art. 40 del testo unico, idonei a restringere la platea dei beneficiari di tali prestazioni.

A livello nazionale è stato approvato un piano nazionale di edilizia abitativa «al fine di superare in maniera organica e strutturale il disagio sociale e il degrado urbano derivante dai fenomeni di alta tensione abitativa». Il d.l. 112/2008, convertito con modificazioni nella 1. 133/2008, ha stabilito all’art. 11 che il piano casa sia rivolto all’incremento del patrimonio immobiliare ad uso abitativo attraverso l’offerta di abitazioni di edilizia residenziale destinate prioritariamente a prima casa per varie categorie di soggetti, tra le quali: “gli immigrati regolari a basso reddito, residenti da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nella medesima regione” (lett. g).

Nello stesso senso anche il comma 13 del medesimo art. 11, introdotto dalla legge di conversione, che, ai fini del riparto del Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione, stabilisce che i requisiti minimi necessari per beneficiare dei contributi integrativi devono prevedere per gli immigrati il possesso del certificato storico di residenza da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque nella medesima Regione256.

Le sopracitate previsioni si pongono in linea con una serie di limitazioni già sperimentate a livello regionale e locale proprio in materia di abitazione257, al fine di restringere la platea dei beneficiari a coloro che dimostrano un maggior radicamento sul territorio nazionale o regionale. Affianco al requisito dell’art. 40, comma 6, del testo unico viene quindi inserita quest’altra limitazione fondata sulla durata della residenza sul territorio, senza tuttavia chiarire se, per queste particolari misure, la residenza prolungata e il possesso di un permesso di soggiorno biennale o permesso CE per soggiornanti di lungo periodo siano requisiti congiunti o alternativi.

Sembra trovare questa via d’uscita la Corte costituzionale nell’ordinanza 76/2010, con la quale ha dichiarato la manifesta inammissibilità di una questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all’irragionevolezza della

255 In relazione ai requisiti per la concessione del permesso biennale, anche con riferimento ai

lavoratori stranieri autonomi, si rinvia comunque a quanto detto supra Introduzione § VI.

256 In riferimento a tali previsioni, in senso critico, cfr. M. V

RENNA, Il decreto legge n. 112 cit., 568 e ss., e C.CORSI, Il diritto all’abitazione cit., 147.

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previsione del permesso di soggiorno biennale per l’accesso ai contributi affitto258. A parere della Corte, il giudice remittente avrebbe, infatti, del tutto omesso di accertare (ed indicare) se le previsioni del d.l. 112/2008 fossero o meno applicabili nel giudizio principale, quali requisiti aggiuntivi a quello contemplato nel testo unico259.

Quello che pare indubbio è tuttavia l’eccessiva durata della residenza richiesta per l’accesso a tali benefici, basti pensare che dopo 10 anni di residenza legale sul territorio lo straniero potrebbe richiedere addirittura la cittadinanza260. Sebbene tale requisito non limiti in assoluto l’accesso dello straniero a tali prestazioni, è tuttavia evidente come la residenza continuata sul territorio sia una condizione selettiva idonea a favorire prevalentemente i cittadini italiani rispetto agli immigrati261.

258 Il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, nell’ordinanza del 9.2.2009 cit., sosteneva

che la subordinazione per gli stranieri dell’accesso al contributo per l’affitto al possesso di un permesso di soggiorno almeno biennale sarebbe stata irragionevole e si sarebbe prestata ad ingiuste disparità di trattamento in violazione dell’art. 3 Cost. In particolare, il giudizio a quo muoveva dal ricorso presentato dal tribunale amministrativo regionale lombardo da una cittadina immigrata per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione, del decreto di rigetto della domanda di contributo affitto comunale per l’anno 2007, nonché del bando emesso dal Comune di Milano per determinare i criteri di assegnazione della provvidenza in questione e della delibera regionale che aveva suggerito l’adozione dei suddetti criteri. Tali atti avevano infatti adottato come criterio per l’ammissione dei cittadini extracomunitari al beneficio quello previsto dall’art. 40, comma 6, del d.lgs. 286/1998, e quindi il possesso di un permesso di soggiorno di durata almeno biennale.

259 Inoltre, sotto un ulteriore profilo, la Corte costituzionale ritiene che la questione sia

manifestamente inammissibile poiché nell’ordinanza di rimessione si censura il citato art. 40, comma 6, «nella parte in cui non tiene conto del periodo complessivo di permanenza» del lavoratore extracomunitario nel nostro Paese - prospettando, quindi, la necessità di una disciplina modulata avendo riguardo anche alla pregressa presenza in Italia – lasciando tuttavia indeterminato il contenuto del richiesto intervento additivo e non indicando una soluzione costituzionalmente obbligata. La Corte costituzionale trascura, invece, un terzo aspetto esaminato nell’ordinanza di remissione e concernente la discrezionalità riservata all’amministrazione nel rilascio del permesso di durata biennale, e quindi, di fatto, la conseguente subordinazione di certi diritti fondamentali alla discrezionalità amministrativa.

260 Cfr. l. 91/1992. 261 Sul punto cfr. A. G

UAZZAROTTI, Lo straniero cit., 98, che la definisce, sotto il profilo della presunta discriminazione dell’immigrato, una condizione “sospetta”, invidiando nella residenza continuata la «nuova frontiera della discriminazione».

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C

APITOLO

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I

DIRITTI SOCIALI DELLO STRANIERO NELLE FONTI SOVRANAZIONALI

SEZIONE I

SOMMARIO: 1. I diritti sociali dello straniero nella prospettiva internazionale – 2. Unione europea, diritti e immigrazione – 3. I diritti sociali dello straniero nelle fonti sovranazionali. – 3.1 Il diritto alla salute – 3.1a L’inviolabilità del diritto alla salute nelle fonti sovranazionali e i riflessi sul trattamento dello straniero – 3.1b L’assistenza sanitaria degli immigrati nel diritto dell’Unione europea – 3.1c Diritto alla salute e divieto di espulsione nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – 3.2 Il diritto all’assistenza sociale – 3.2a Il diritto all’assistenza sociale degli immigrati nel diritto internazionale – 3.2b Il diritto alle prestazioni economiche di assistenza sociale nella Giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – 3.2c Il diritto all’assistenza sociale di alcune specifiche categorie di stranieri – 3.2d Fonti sovranazionali e diritto interno: antinomie e rilievi critici – 3.3 Il diritto all’istruzione. – 3.3a L’istruzione del minore immigrato nel diritto internazionale. Dignità del minore e pieno accesso alla scuola – 3.3b Istruzione e Convenzione europea dei diritti dell’uomo: inserimento dei minori stranieri nelle classi e qualità dell’insegnamento – 3.3c Il diritto all’istruzione di alcune specifiche categorie di stranieri – 3.4 Il diritto all’abitazione. – 3.5 La condizione di lavoratore e i diritti sociali connessi a tale status – 3.5a Il diritto alla retribuzione e il trattamento del lavoratore irregolare nel diritto internazionale – 3.5b Il lavoratore immigrato nel diritto comunitario.

1. I diritti sociali dello straniero nella prospettiva internazionale

Come noto, l’art. 10, comma 2, Cost. prevede che la condizione giuridica dello straniero sia regolata dalla legge in conformità alle norme e ai trattati internazionali, i quali costituiscono quindi il necessario riferimento della disciplina legislativa nazionale in materia di immigrazione1, e al contempo il parametro di confronto delle eventuali inadempienze statali.

1 In generale sull’ambito di operatività dell’art. 10, comma 2, Cost., anche in riferimento all’art. 2

Cost., cfr. C. CORSI, Lo Stato e lo straniero cit., 99. Al riguardo si veda anche P. STANCATI, Le libertà, relazione al Convegno annuale 2009 dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti sul tema: «Lo Statuto costituzionale del non cittadino», Cagliari, 16-17 ottobre 2009, in corso di pubblicazione, disponibile on line su www.associazionedeicostituzionalisti.it, secondo il quale l’art. 117, comma 1, Cost., rafforza, inequivocabilmente, il disposto dell’art. 10, comma 2, «definendo con una intensità e compiutezza precettiva maggiore - avendo, cioè, riguardo alla qualità e natura del vincolo di conformità - quanto già tale ultima norma [l’art. 10 Cost., ndr] disponeva in ordine al rapporto intercorrente fra fonte legislativa e fonte internazionale». Infatti, a seguito della modifica operata dalla l. cost. 3/2001 all’art. 117 Cost., il primo comma di tale articolo prevede espressamente che la potestà legislativa statale e regionale sia esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. La Corte Costituzionale, con le note sentenze 348 e 349/2007, ha chiarito l’utilizzo di tale parametro di costituzionalità, alla luce del quale è possibile impugnare la legislazione statale e regionale per violazione di tali fonti sovranazionali. Sul punto cfr. A. GUAZZAROTTI, La Consulta “guarda in faccia” gli obblighi internazionali e la CEDU, in Studium Iuris, 3/2008, 275 e ss. Sull’operatività dell’art. 117, comma 1, Cost. si veda anche A. BONOMI, Il “limite” degli obblighi internazionali nel sistema delle fonti, Giappichelli, Torino, 2008.

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Per quanto riguarda il nostro ambito di indagine, si osserva che molte sono le fonti internazionali che condizionano, o dovrebbero condizionare, la condizione giuridica dello straniero sotto il profilo del godimento dei diritti sociali.

Al fine di razionalizzare l’esame che si intende compiere, nella vastità delle fonti di riferimento, si procederà tenendo in considerazione che il sistema delle fonti internazionali nella materia delle migrazioni può essere classificato secondo due macrocategorie: fonti che investono la tematica generale dei diritti umani e fonti che disciplinano specificamente la condizione giuridica del migrante2. Le prime sono convenzioni, dichiarazioni o principi generali che non disciplinano specificamente la condizione degli immigrati, ma che ciononostante, per la loro pertinenza alla persona in quanto tale, sono ovviamente idonee a condizionare la legislazione statale di riferimento3. Le seconde nascono, invece, per regolamentare appositamente la condizione dei migranti disciplinandone, talvolta, anche soltanto particolari aspetti o

status, come ad esempio quello di lavoratore4 o di rifugiato5.

Da tali fonti emergono principalmente due linee di ricerca: da un lato, quella riguardante i diritti sociali in esse contemplati; dall’altro, quella concernente le disposizioni in materia di parità di trattamento e divieto di discriminazione, principi suscettibili di trovare applicazione anche nella materia in questione.

Sotto il primo profilo, indagheremo il livello di tutela offerto dalle fonti internazionali ai diritti sociali già analizzati nel capitolo precedente, i quali, per la loro stretta attinenza a beni essenziali della vita, trovano un’immediata codificazione

2 A tre grandi categorie si riferisce S.Q

UADRI, Le migrazioni internazionali, Editoriale Scientifica, Napoli, 2006, 84: la prima relativa alle norme internazionali a carattere convenzionale stipulate da un gran numero di Paesi, nonché norme a carattere vincolante, disciplinanti materie diverse dalle migrazioni, ma contenenti alcune disposizioni atte a disciplinarne alcuni aspetti. La seconda concernente norme internazionali a carattere convenzionale, stipulate da un gran numero di Stati e relative ad alcuni aspetti particolari delle migrazioni. La terza relativa a convenzioni internazionali stipulate da un numero esiguo di Stati, il più delle volte a carattere bilaterale, disciplinanti alcuni profili delle migrazioni.

3 Si pensi, ad esempio, alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, alla Convenzione

europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 (ratificata con legge 4 agosto 1955 n. 848), alla Carta sociale europea del 1961, riveduta nel 1996 (ratificata con legge 9 febbraio 1999, n. 30); al Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 (ratificato con legge n. 881 del 25 ottobre 1977) e al Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali sempre del 1966 (anch’esso ratificato con legge 25 ottobre 1977, n. 881), alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989 (ratificata con legge del 27 maggio 1991, n. 176), alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 2006 (ratificata con legge 3 marzo 2009, n. 18). Necessaria applicazione trovano poi le disposizioni contenute nelle convenzioni emanate contro le varie forme di discriminazione, quali: la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale del 1965 (ratificata con legge 13 ottobre 1977, n. 654), la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne del 1979 (ratificata con legge 14 marzo 1985, n. 132), la Convenzione OIL n. 111 del 1958 sulla discriminazione in materia di lavoro e occupazione (ratificata con legge n. 93/1963)

4 Così la Convenzione OIL n. 97 del 1949 sulla migrazione per motivi di lavoro (ratificata con legge 2

agosto 1952, n. 1305); Convenzione OIL n. 143 del 1975, riguardante le migrazioni in condizioni illegali e la parità di trattamento dei lavoratori immigrati - «Migrations in Abusive Conditions and the Promotion of Equality of Opportunity and Treatment of Migrant Workers» (ratificata con legge 10 aprile 1981, n. 158); la Convenzione europea sullo status giuridico dei lavoratori migranti del 1977 (ratificata con legge 2 gennaio 1995, n. 13); la Convenzione ONU sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie del 1990 (non ratificata dall’Italia).

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anche nelle principali fonti internazionali. Sotto il secondo profilo, indagheremo il principio di non discriminazione, così come codificato dalle fonti internazionali e interpretato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, e cercheremo di trovare un fondamento all’affermazione della Corte costituzionale italiana per la quale, come anticipato nel capitolo precedente6, tra le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute «rientrano quelle che, nel garantire i diritti fondamentali della persona indipendentemente dall’appartenenza a determinate entità politiche, vietano discriminazioni nei confronti degli stranieri, legittimamente soggiornanti nel territorio dello Stato»7.