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Straniero irregolare e lavoro: un terreno senza tutele?

VII. Ambito di indagine e scopo del lavoro

2. Straniero irregolare e lavoro: un terreno senza tutele?

Una specifica attenzione merita la tutela del lavoratore non regolarmente soggiornante, soprattutto a seguito dell’introduzione del reato di ingresso e soggiorno irregolare sul territorio. Le garanzie anzidette risultano infatti fortemente limitate non soltanto perché si tratta di un lavoratore “al nero”, e quindi invisibile al sistema previdenziale statale, ma anche perché, proprio a seguito dell’entrata in vigore della l. 94/2009, risulta essere un soggetto ancora più vulnerabile, stretto come è nel timore di essere segnalato all’autorità giudiziaria, e quindi maggiormente restio a denunciare eventuali abusi e situazioni di sfruttamento.

Una delle questioni principali che riguarda la tutela del lavoratore irregolare riguarda il suo diritto alla retribuzione. Negli ultimi anni, infatti, sempre più spesso i giudici del lavoro sono stati chiamati a tutelare stranieri privi di regolare permesso di soggiorno che non avevano ricevuto alcuna retribuzione, o una retribuzione congrua, per il lavoro prestato. Al riguardo le posizioni giurisprudenziali non sono state tuttavia uniformi.

195 Si veda Corte cost. sent. n. 45 del 1965, nella quale la Corte affermò che nel principio formulato

dall’art. 4 della Costituzione è contenuta una direttiva in forza della quale il legislatore è abilitato a circondare “di doverose garanzie e di opportuni temperamenti” le ipotesi di licenziamento. Sul punto cfr. anche sent. n. 27 del 1969 riguardo alla tutela accordata alle lavoratrici che contraggono matrimonio.

196 Il datore di lavoro deve cioè astenersi dal compiere atti che possano produrre danni e svantaggi ai

lavoratori, cioè lesioni di interessi economici, professionali e sociali sia in riferimento all’area dei diritti di libertà e dell’attività sindacale finalizzata all’obiettivo strumentale dell’autotutela degli interessi collettivi, sia per quanto riguarda l’area dei diritti di libertà finalizzati allo sviluppo della personalità morale e civile del lavoratore.

197 In forza dell’art. 37 Cost., anche la donna straniera lavoratrice deve infatti avere gli stessi diritti e, a

parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore, il quale prevede inoltre che «le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione». E tale disposizione non può non applicarsi anche alla donna immigrata in forza degli artt. 2 e 3 Cost.

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Da ultimo d.lgs. 81/2008. A carico del datore di lavoro si pone, in generale, un dovere di protezione del lavoratore, come chiarito da Corte cost. sent. n. 312 del 1996 nel quale si sottolinea che la cogenza dei valori espressi dall’art. 41 della Costituzione, secondo il quale l’iniziativa economica privata non può svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, è certamente tale da giustificare una valutazione negativa, da parte del legislatore, dei comportamenti dell’imprenditore che, per imprudenza, negligenza o imperizia, non si adoperi, anche al di là degli obblighi specificamente sanzionati, per ridurre l’esposizione al rischio dei propri dipendenti.

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Già prima dell’entrata in vigore del reato, l’ostacolo principale è stato ravvisato nell’incapacità di coloro che sono privi del permesso di soggiorno di far valere i loro diritti in giudizio, a causa della mancanza di “libertà” nell’esercizio del diritto asseritamente discendente dalla loro non legittima presenza in Italia. Non sono pertanto mancate discutibili decisioni giurisprudenziali che hanno dichiarato inammissibili le pretese del lavoratore straniero irregolare199, considerando inoltre il fatto che il rapporto di lavoro de facto instauratosi con persona irregolarmente soggiornante avrebbe causa illecita, in quanto contrastante con norme imperative ex art. 1343 c.c.

Tale ricostruzione è stata fortemente criticata in dottrina200, e anche in giurisprudenza è stato più volte evidenziato come in tali casi il contratto riceva di fatto esecuzione anche in carenza del permesso di soggiorno, dovendosi applicare in via estensiva la tutela prevista dall’art. 2126 c.c., il quale, come noto, prevede che la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi da illiceità dell’oggetto o della causa201. Quest’ultima ricostruzione sembra dunque sicuramente più rispondente ai principi sanciti dall’art. 36 Cost.

La tutela giurisdizionale di tali situazioni offre tuttavia lo spunto per un’ulteriore considerazione. Non si può far a meno di rilevare come tutelando le proprie ragioni in sede giudiziaria lo straniero irregolare corra il rischio di essere segnalato alla Procura penale. È infatti indubbio che il giudice, nell’esercizio delle sue funzioni, sia obbligato, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., a denunciare il reato appreso nell’ambito della propria attività. Più in generale, quindi, per l’effetto dell’obbligo di denuncia previsto dal suddetto articolo, lo straniero privo di titolo di soggiorno si potrebbe vedere pregiudicate le proprie facoltà difensive e compromessa l’effettività della tutela giurisdizionale, poiché la sua partecipazione alle udienze lo esporrebbe all’identificazione da parte della polizia giudiziaria e alla presentazione immediata a giudizio innanzi al giudice di pace per rispondere del reato in questione. Infatti, lo straniero irregolare che veda violati i propri diritti si troverebbe di fronte al “dilemma tra azionare detti diritti ed essere denunciato per il reato di soggiorno illegale o rinunciarvi, rimanendo privo di qualsiasi tutela”202. Tali considerazioni

199 Cfr. sentenza n. 62 emessa il 5.2.2008 del giudice del lavoro presso il tribunale di Como, per il

quale nella formula «libero esercizio di diritti» adottata dall’art. 75 c.p.c. «la parola “libero” indica evidentemente che l’esercizio non sia ostacolato da norma giuridiche» e dunque che «libero deve essere inteso nel senso di legittimo», il quale richiama a tal proposto Corte di Cassazione n. 9407 del 2001, che tuttavia non pare supportare la tesi sostenuta nella sentenza.

200 S.C

AMPILONGO, I1 diritto alla tutela giurisdizionale del lavoratore straniero privo del permesso: due decisioni a confronto, in Dir. Imm. e Citt., 2/2008, 79 e ss.

201

Cfr. Tribunale di Padova, sentenza n. 737 del 19.10.2007. Sul punto anche Cass. n. 10128/1998.

202

Cfr. ordinanza del Tribunale di Voghera del 20.11.2009, con la quale è stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art.10 bis del d.lgs. 286/1998, in combinato disposto con l’art. 331 c.p.p., per asserita violazione degli artt. 2, 3 comma 1, 10 commi 1 e 2, 24 commi 1 e 2, e 117, comma 1, Cost., nella parte in cui non prevede una deroga all’obbligo di denuncia del reato previsto e punito dalla stessa norma nei confronti dell’autorità giudiziaria adita dallo straniero privo di titolo di soggiorno per la tutela di diritti di rango costituzionale. La questione è stata sollevata nell’ambito del ricorso promosso da un cittadino egiziano privo di regolare permesso di soggiorno per l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato e la condanna del datore di lavoro al pagamento delle differenze retributive e al risarcimento dei danni patiti in conseguenza di infortunio occorso durante lo svolgimento dell’attività lavorativa. Il ricorrente non compariva però all’udienza designata

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ovviamente investono non soltanto l’ambito lavorativo, ma tutti gli ambiti della vita dello straniero irregolare nei quali egli potrebbe aver necessità di tutelare i propri diritti in giudizio203.

In dottrina204 è stata quindi avanzata l’ipotesi di ritenere che il divieto di segnalazione previsto per l’accesso alle prestazioni sanitarie dall’art. 35, comma 5, del testo unico, debba essere esteso (dal legislatore o da una sentenza additiva della Corte costituzionale) a tutte le ipotesi di un diritto fondamentale. Secondo quest’impostazione, si tratterebbe infatti di una necessità imposta dalla Costituzione, poiché, in assenza di una tale integrazione, la tutela dei singoli diritti che essa dichiara inviolabili perderebbe qualsiasi effettività.

A prescindere dalla tesi che sarà adottata, considerando anche il fatto che la questione è attualmente pendente dinanzi alla Corte costituzionale205, preme evidenziare come in tale occasione il legislatore, nel bilanciamento tra le esigenze della sicurezza e i diritti fondamentali dello straniero abbia inteso dare priorità alle prime, secondo una logica che tratta lo straniero irregolare, che si trattiene in Italia lavorando in nero e subendo drammaticamente i rischi dell’immigrazione illegale, come un soggetto che si pone egli stesso in una condizione di minorata tutela che lo Stato ha inteso arginare sia prevedendo sanzioni per chi approfitta di tale condizione dello straniero206, sia sanzionando lo straniero che si pone in tale condizione.

Sul tema è intervenuta anche l’Unione europea che con la recente direttiva 2009/52/CE, del 18.6.2009, ha introdotto una serie di norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Al riguardo, tra le altre misure, è stato specificamente previsto l’obbligo per il datore di lavoro di corrispondere al lavoratore illegalmente impiegato ogni retribuzione arretrata207, comprese le imposte e i contributi previdenziali che il datore di lavoro avrebbe pagato in caso di assunzione legale del cittadino di un paese terzo.

Peraltro è la stessa direttiva a prevedere che gli Stati membri possano rilasciare permessi di soggiorno di durata limitata, commisurata a quella dei relativi procedimenti nazionali, ai cittadini di paesi terzi che sono stati oggetto di condizioni lavorative di particolare sfruttamento o sono stati minori assunti illegalmente e che cooperano nei procedimenti penali nei confronti dei datori di lavoro.

per l’interrogatorio libero delle parti nel timore di essere identificato ed espulso, in conseguenza dell’obbligo del giudice di segnalazione e denuncia dello stesso ricorrente in relazione al reato di immigrazione clandestina. La questione è tuttora pendente.

203 In generale sul punto S. C

ARNEVALE, Stranieri al processo: meccanismi di esclusione e accertamento penale, in O. GIOLO –M.PIFFERI (a cura di), Diritti contro. Meccanismi giuridici di esclusione dello straniero, Giappichelli, Torino, 2009, 111 e ss.

204

Sul punto L. MIAZZI, G. PERIN, Legge n. 94/2009: peggiora anche la condizione dei minori stranieri cit., 208, secondo i quali un diritto non può ritenersi inviolabile se dal suo esercizio possono discendere conseguenze pregiudizievoli per i suoi titolari.

205

Cfr. ordinanza del Tribunale di Voghera del 20.11.2009 cit.

206 Cfr. art. 12 del testo unico.

207 Cfr. art. 6 della direttiva, il quale specifica inoltre che il livello di remunerazione concordato è

considerato pari almeno alla retribuzione prevista dalle leggi applicabili sui salari minimi, dai contratti collettivi o conformemente a una prassi consolidata nei relativi settori occupazionali, salvo prova contraria fornita dal datore di lavoro o dal lavoratore, nel rispetto, ove opportuno, delle disposizioni nazionali vincolanti in materia salariale. La questione sarà ripresa anche infra Capitolo 2, § 3.5b.

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Inoltre, ai fini di agevolare le denunce, gli Stati membri dovrebbero provvedere affinché siano disponibili meccanismi efficaci per consentire ai cittadini di paesi terzi assunti illegalmente di presentare denuncia nei confronti dei loro datori di lavoro, sia direttamente sia attraverso terzi designati dagli Stati membri, quali sindacati o altre associazioni o un’autorità competente dello Stato membro, qualora previsto dalla legislazione nazionale. In questo senso non sembra che il timore di subire una denuncia personale possa facilitare lo straniero irregolare a denunciare il proprio datore di lavoro.

La direttiva tuttavia non è stata ancora attuata ed anzi è stato stralciato dalla legge comunitaria 2009 l’articolo che conteneva la delega al governo per la sua attuazione208.