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Fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni Alcune ipotesi de iure

VII. Ambito di indagine e scopo del lavoro

9. Fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni Alcune ipotesi de iure

condendo

Come abbiamo visto, l’accesso all’abitazione costituisce uno dei settori in cui maggiormente si registrano differenti discipline regionali e locali. Del resto già prima della riforma del Titolo V, la Corte costituzionale aveva riconosciuto l’esistenza di

amministrativo: un confronto giurisprudenziale, Lecce 19-20 gennaio 2009, per il quale «prima ancora delle comprensibili preoccupazioni del corretto riparto di competenze in materia di LEP, è di importanza capitale oggi la chiara definizione dell’estensione soggettiva della clausola costituzionale in parola. In altri termini, se i LEP “riflettono” le coordinate assiologiche fondamentali della nostra Costituzione, legandosi al problema del contenuto essenziale dei diritti e di qui alla dignità della persona, non è possibile limitarne l’applicazione ai soli cittadini». Infatti, prosegue, «se i diritti umani sono necessariamente universali (oltre che indivisibili, interdipendenti, intergenerazionali e ragionevoli), non è logicamente accettabile che ne sia precluso il godimento agli stranieri mediante una definizione selettiva – ma sarebbe meglio dire discriminatoria – dei LEP concernenti tali diritti». Sul punto si veda anche C.BUZZACCHI, ult. op. cit., 352.

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Corte Cost. sent. 282/2002.

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Cfr. B.NICOTRA, Diritto degli immigrati alla non discriminazione nell’accesso alle prestazioni di assistenza sociale, in Diritti dell’Uomo cronache e battaglie, 1/2006, 69 e ss., per la quale il rispetto del principio di eguaglianza e non discriminazione costituisce un “livello essenziale” di garanzia peraltro già tutelato dall’art. 3 della Costituzione. In generale sul punto A.D’ALOIA, Diritti e Stato autonomistico. Il modello dei livelli essenziali delle prestazioni, in Le Regioni, 2003, 1063 e ss.

96 Cfr. Corte cost. sent. 248/2006. Sul punto M.B

ELLETTI, Livelli essenziali delle prestazioni, in corso di pubblicazione su Enc. Giur. Treccani, precisa come questa azione di “miglioramento” da parte della Regione dei livelli definiti dal legislatore statale debba comunque essere conforme al principio di ragionevolezza, richiamando a tal fine la più volte citata sent. 432/2005 in relazione all’individuazione dei beneficiari di una prestazione.

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una competenza legislativa regionale in materia di edilizia pubblica abitativa, specificando, a proposito della stessa, che «si verte in una materia attribuita in via generale alla competenza legislativa regionale»97, salva la «formulazione dei “criteri generali” da osservare nelle assegnazioni»98. La materia costituisce quindi un interessante terreno di studio per valutare l’operatività della competenza statale in materia di livelli essenziali delle prestazioni e trattamento degli stranieri presenti sul territorio.

A tal fine occorre quindi partire dal quadro costituzionale di riferimento, per poi ipotizzare l’ambito del possibile (e auspicabile) intervento statale.

In relazione al primo profilo, la Corte costituzionale ha chiarito che la materia dell’edilizia residenziale pubblica – alla quale viene riconosciuto espressamente il carattere di “trasversalità” – si estende su tre livelli normativi: il primo riguarda la determinazione dell’offerta minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei ceti meno abbienti, che rientra nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettera m), Cost.; il secondo riguarda la programmazione degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica, che ricade nella materia «governo del territorio», ai sensi dell’art. 117, comma 3, Cost.; infine il terzo, rientrante nel quarto comma dell’art. 117 Cost., riguarda la gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari o degli altri enti che a questi sono stati sostituiti per opera della legislazione regionale99.

Ai fini della nostra indagine, occorre chiarire in quale ambito competenziale possa essere ricondotta la determinazione dei criteri di assegnazione degli alloggi.

Al riguardo, nella sentenza 94/2007, la Corte ha chiarito che al primo dei suddetti ambiti di intervento (e quindi alla competenza in materia di LEP) possa essere ricondotta anche la fissazione dei principi che valgano a garantire l’uniformità dei criteri di assegnazione su tutto il territorio nazionale100. Nella successiva sentenza 166/2008, la Corte precisa che la determinazione dei livelli minimi di offerta abitativa per categorie di soggetti particolarmente disagiate viene concretamente realizzata attribuendo loro una posizione preferenziale, che possa assicurare agli stessi il soddisfacimento del diritto sociale alla casa compatibilmente con l’effettiva disponibilità di alloggi nei diversi territori, e che «tale determinazione ovviamente non può essere solo quantitativa, ma anche qualitativa, nel senso che, nel momento in cui si determina l’offerta minima destinata alle categorie sociali economicamente disagiate, occorre stabilire anche le caratteristiche di questi alloggi»101. Tuttavia, tra le due pronunce, che sembrano porsi in linea di continuità, si pone la già citata ordinanza 32/2008, nella quale la Corte riconduce la determinazione dei criteri di accesso agli alloggi alla competenza regionale di cui al quarto comma dell’art. 117, la quale investirebbe, «la gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale

97 Sul punto cfr. Corte cost. sent. nn. 221/1975; 140/1976; 217/1988. 98 Sul punto Corte cost. sent. nn. 727/1988 e 486/1995.

99 Cfr. sentenza 94/2007. 100

Come già chiarito in Corte cost. sent. 486/1995 cit.

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pubblica e, conseguentemente, coinvolgerebbe anche l’individuazione dei criteri di assegnazione degli alloggi dei ceti meno abbienti»102.

Senza voler enfatizzare oltremodo il sintetico passo dell’ordinanza in questione, per indagare l’ambito di intervento statale ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. m), pare quindi doversi operare una distinzione tra quelli che sono i criteri di assegnazione e quelli che sono invece i principi che valgano a garantire l’uniformità dei criteri di assegnazione su tutto il territorio nazionale. In particolare se tra questi ultimi non potremmo ricondurre la durata quinquennale della residenza sul territorio comunale o regionale (potendola forse configurare come requisito in senso stretto), potremmo sicuramente far rientrare, più in generale, il principio secondo il quale non possono essere fissate discipline che favoriscano l’accesso in ragione della nazionalità (escludendo del pari i non cittadini o rendendo più difficoltoso il loro accesso) o richiedano una durata della residenza tanto prolungata da porsi in contrasto con la normativa comunitaria103.

Si ricorda infatti che, in riferimento agli stranieri soggiornanti di lungo periodo, l’art. 11 della direttiva 2003/109/CE impone parità di trattamento con i cittadini per quanto riguarda, tra l’altro, l’accesso a beni e servizi a disposizione del pubblico, nonché alla procedura per l’ottenimento di un alloggio (lett. f)104. Ed anche con riferimento ai cittadini comunitari e ai loro familiari, l’articolo 24 della direttiva 2004/38/CE stabilisce che ogni cittadino dell’Unione che risiede, in base alla direttiva stessa, nel territorio di uno Stato membro gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato nel campo di applicazione del trattato, e tale beneficio si estende anche ai familiari non aventi la cittadinanza dello Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente105.

Ne consegue quindi l’illegittimità di quelle discipline finalizzate ad attribuire punti aggiuntivi in ragione della cittadinanza o comunque a rendere maggiormente difficoltoso l’accesso dei lungo soggiornanti e dei comunitari (e loro familiari) agli alloggi di e.r.p. Come noto, infatti, parità di trattamento non significa soltanto porre i

102 Sul punto si rimanda più diffusamente a F. C

ORVAJA, Libera circolazione dei cittadini cit., 611 e ss., il quale peraltro evidenzia come si possa in ogni caso mantenere ferma la conclusione che la determinazione dei criteri generali di assegnazione sia tuttora una competenza statale, oggi coperta dall’art. 117, secondo comma, lett. m), sotto la quale potrebbero essere ricondotte le delibere del CIPE che fissano i requisiti generali di accesso all’e.r.p. adottate quando la relativa funzione era riservata allo Stato ed ora declinabili come limite alla legge regionale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. m).

103 Sul punto occorre comunque tenere presente che, ai sensi dell’art. 120 Cost., il Governo può

attivarsi quando lo richieda la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, e questo implica che i livelli essenziali debbano essere determinazioni autoapplicative (regole, standards quantitativi, ovvero anche requisiti organizzativi) suscettibili di essere immediatamente applicate dal Governo in caso di inerzia dei soggetti previsti. Infatti, come rilevato da A. SIMONCINI, Non c’è alternativa alla leale collaborazione. Dalla Corte le prime indicazioni su regolamenti del Governo e «livelli essenziali» nelle materie regionali, in Le Regioni, 2003, 1217, se i livelli essenziali fossero norme vaghe, principi direttivi, finalità od obiettivi non quantificabili in base ad indicatori certi, si creerebbe infatti uno spazio troppo ampio per il potere sostitutivo del Governo, non vincolato ad un «fare» o «provvedere» specifico e strettamente necessario per realizzare la prestazione, oltre evidentemente a trasformare in potestà «concorrenti» anche quelle residuali del comma 4 dell’art. 117. Pertanto, secondo l’A., la struttura enunciativa dei livelli essenziali deve essere tale da renderli auto applicativi anche in ragione del potere previsto dall’art. 120 Cost.

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Si veda supra Capitolo 3, § 4.

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soggetti nelle medesime condizioni di accesso, ma anche evitare tutte quelle discipline apparentemente neutre che sono tuttavia idonee a pregiudicare in misura maggiore gli interessi dei soggetti appartenenti ad un medesimo gruppo/categoria (cosiddette discriminazioni indirette).

In materia di edilizia residenziale pubblica, appare quindi evidente come la fissazione di taluni principi da parte dello Stato possa essere finalizzata oltre che a garantire uno standard uniforme nel godimento dei diritti fondamentali degli stranieri sul territorio, anche a fornire alle autonomie locali e regionali alcuni parametri di riferimento affinché le discipline da queste ultime adottate siano in linea con i vincoli europei. Tanto più che, come abbiamo già evidenziato, le inevitabili connessioni che il diritto alla casa ha con il rilascio del permesso di soggiorno, il suo rinnovo, il rilascio del permesso CE per soggiornanti di lungo periodo ed il ricongiungimento familiare fanno sì che l’esercizio di tale competenza in materia di LEP si ponga a completamento di quella di cui all’art. 117, comma 2, lett. a) e b), in materia di condizione giuridica dello straniero e immigrazione.

Tale possibilità sembra confermata anche dalla giurisprudenza amministrativa.. In particolare, in una recente decisione il TAR Lombardia ha avuto modo di precisare che: «l’esigenza di garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale ai ceti meno abbienti il godimento di livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali deve trovare specifica attuazione nella determinazione dei requisiti richiesti per l’accesso all’ERP», facendone derivare la possibilità per lo Stato di identificare i soggetti che versano nelle condizioni di disagio economico, sociale e abitativo anche in riferimento alla previsione dei requisiti attinenti alle soglie reddituali o alla mancanza di disponibilità di altri immobili e, più in generale, di quelli indicatori dello stato di bisogno abitativo106. Secondo il giudice amministrativo, quindi, l’ambito di intervento statale in materia di LEP e edilizia residenziale si estenderebbe fino ricomprenderebbe anche la possibilità di stabilire requisiti di accesso uniformi su tutto il territorio.