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IL CONSOLIDAMENTO DELL’ORDINE EQUESTRE: LA NASCITA DI UNA CLASSE CAPITALISTICA

Nel documento Lucilio: un intellettuale del II secolo a.C. (pagine 131-134)

TRASFORMAZIONI POLITICHE SOCIALI ED ECONOMICHE

3. LA CLASSE DIRIGENTE ROMANA DOPO LE GRANDI VIT­ TORIE MILITAR

3.3. IL CONSOLIDAMENTO DELL’ORDINE EQUESTRE: LA NASCITA DI UNA CLASSE CAPITALISTICA

La ricchezza della giovane potenza imperiale non si concentrava soltanto nelle mani dei membri dell'aristocrazia. Come abbiamo già accennato, le nuove possibilità per il commercio estero romano nel Mediterraneo, lo sfruttamento dei giacimenti di materie prime e della massa di forze produttive nelle regioni conquistate, il costante incre­ mento delle risorse finanziarie di Roma grazie alle enormi quantità di denaro e di tesori depredati ed estorti portarono ad uno sviluppo, fino ad allora inimmaginabile, del commercio, dell'attività imprenditoriale e dell'economia monetaria: conseguenza di tutto ciò fu la formazione di uno strato imprenditoriale forte e di grande peso.

Gradualmente gli appartenenti a questo strato cominciano a rag­ grupparsi nell'ordine equestre come ordo proprio, anche se questo processo portò al consolidamento dell’ordo equester solo a partire dal periodo dei Gracchi. Il passo decisivo verso il consolidamento dell'or­ dine equestre fu la regolamentazione in base alla quale i senatori uscivano dalle centurie degli equites ed ogni cavaliere, che, dopo aver ricoperto una magistratura, diventava membro del Senato, doveva re­ stituire il proprio simbolo sociale, il cavallo pubblico (lex reddendo­

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rum equorum del 129 a.C.). Il cavallo pubblico1 diventò, quindi, lo sta­

tus symbol di un ordine organizzato separato dai senatori. Presto si

aggiunsero anche nuovi status symbols che contribuirono al rafforza­ mento dell'identità dell’ordo equester, cioè l'anello d'oro, la striscia purpurea stretta sulla veste (angustus clavus) in contrapposizione a quella larga (latus clavus) propria dei senatori, e speciali posti d’onore in occasione di manifestazioni pubbliche (definitivamente regolati dal­ la lex Roscia nel 67 a.C.)2.

Già a partire dalla seconda guerra punica fu chiara l'importanza di questo strato sociale. La ricchezza degli equites era ad un tempo fon­ diaria, finanziaria e mobiliare. Organizzati sulla base di un censo di 400.000 sesterzi, essi comprendevano figli e fratelli di senatori, ricchi proprietari terrieri (agricolae), publicani, faeneratores (o argentarii),

negotiatores, banchieri, ricchi commercianti ed affaristi.

I publicani erano persone facoltose che formarono società impren­ ditoriali e accettarono appalti statali3. Queste società di appalti pub­

blici (societates publicanorum) si occupavano del vettovagliamento dell'esercito, di lavori pubblici come la ricostruzione, la manutenzione e il restauro di edifici, strade e ponti; presero in appalto le miniere statali, l'esazione dei dazi commerciali, la riscossione delle tasse ed in questi settori economici non si poté più fare a meno di loro4. Secondo Polibio5, che ha descritto l'attività dei publicani con molta chiarezza,

tali imprenditori provenivano dalle vaste masse popolari; questa sua opinione era giusta almeno nel senso che molti imprenditori erano di bassa estrazione. I publicani, dunque, seppero ripartire la partecipa­ zione agli affari in societates che distribuivano piccole quote ai priva­ ti, mostrandosi, almeno all'inizio, più dei rivali ellenistici capaci di ri­

1 Solo un numero ridotto di cavalieri poteva avere l’onore del cavallo donato dalla

pubblica spesa. Esistevano infatti gli equites Romani equo publico e i semplici equi­

tes Romani equo privato.

2 Sull’ordine equestre nel II secolo a.C. vd. G. ALFÖLDY, Storia sociale dell’antica

Roma, cit., 76 ss. 3 L IV. XXIII 49 ss. e XXIV 18, 10. 4 LIV. XLV 18, 3. 5 POL. VI 17, 2 ss.

durre i rischi; si misero in condizione di essere costantemente infor­ mati per tempo circa l'ammontare delle imposte fissato dal fisco, così da poter fare offerte adeguate; furono infine in grado (grazie anche alla forza delle loro associazioni, prime fra tutte a costituirsi in entità giuridiche) di pattuire sempre le condizioni di appalto con i censori; e poterono così accrescere a dismisura i loro patrimoni6.

Accanto ai publicani (che, pure, concedevano a loro volta prestiti a breve scadenza impiegando il denaro delle imposte) un secondo grup­ po si sviluppò, a Roma e in Italia, ai cui membri toccò il nome di ne­

gotiatores: fossero grandi capitalisti o più modesti faccendieri, la loro

attività consisteva essenzialmente nel prestito ad alti tassi di interes­ se, cioè nell'usura. Altri prestatori di denaro appartenenti all'ordine equestre erano i faeneratores o argentarii, che, assieme ai banchieri, ai ricchi commercianti e agli affaristi, già Plauto (morto nel 184 a.C.) descriveva vivacemente nelle sue commedie.

Esclusi dalle cariche pubbliche, gli equites erano comunque inte­ ressati ad entrare a far parte del tribunale permanente (quaestio per­

petua) che, creato nel 149 a.C. con la lex Calpurnia de pecuniis repe­ tundis, perseguiva le estorsioni (de repetundis) che i magistrati delle

province avessero perpetrato ai danni delle comunità o dei singoli. La

quaestio perpetua rimase di esclusiva pertinenza dei senatori fino al

123 a.C., anno in cui con la lex Sempronia iudiciaria Caio Gracco ne riservò il controllo ai cavalieri.

Poiché per legge i senatori erano stati esclusi dagli appalti statali e dagli affari commerciali in grande stile, si verificò in breve tra i cava­ lieri e la classe senatoria una scissione che dapprima fu di genere professionale, poi assunse carattere sociale e infine anche importanza politica. Ai senatori si contrapposero questi affaristi, militarmente come cavalleria, socialmente come ordine equestre. L'ordine senatorio si tenne in saldo possesso magistrature e Senato, i cavalieri assunse­ ro l'esercizio degli affari commerciali e bancari di natura privata. Così

6 Per approfondire il discorso sui publicani può essere utile l’articolo di F. DE

si ebbero in Roma due poteri: quello politico e quello economico e, come per lo più avviene, il secondo influenzò spesso e pesantemente il primo.

4. L’INFLUSSO GRECO SULLA SOCIETÀ E LA VITA

Nel documento Lucilio: un intellettuale del II secolo a.C. (pagine 131-134)