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L’EVOLUZIONE DELLA CONDIZIONE FEMMINILE

Nel documento Lucilio: un intellettuale del II secolo a.C. (pagine 157-163)

LUCILIO E LA SOCIETà ROMANA DEL II SECOLO a.c.

1. I MUTAMENTI ECONOMICI E SOCIAL

1.2. L’EVOLUZIONE DELLA CONDIZIONE FEMMINILE

Lucilio fornisce importanti informazioni sull’evoluzione della condi­ zione della donna nel II secolo a.C.

Diversi frammenti, infatti, mettono in evidenza la sempre maggiore libertà che, a partire dalla seconda guerra punica, le donne romane andavano via via acquisendo. Ad esempio il fr. XV 13 Ch. (504-5 M.) descrive una donna sposata che si fa bella per piacere ad altri uomi­ ni:

Cum tecum est, quidvis satis est; visuri alieni sint homines, spiram, pallas, redimicula promit

Quando è con te, si accontenta di qualunque cosa;

se la devono visitare altri uomini, tira fuori anello, mantello, nastri

Si tratta di una donna frivola che si accontenta di non importa quale indumento (quidvis satis est), quando è con suo marito (tecum); ma se aspetta una visita (alieni visuri sint homines) fa di tutto per ap­ parire e per piacere.

Il fr. XVI 6 Ch. (519-520 M.), in cui un anonimo personaggio ripete una formula testamentaria, rimanda invece ai nuovi diritti successori acquisiti dalle matronae romane:

Legavit quidam uxori mundum omne penumque quid mundum <atque penum>? quid non?

quis dividet istuc?

Un tale lasciò in eredità alla moglie tutti gli oggetti di toeletta e le provviste di viveri. Ma che cosa sono gli oggetti di toeletta e le provviste di viveri? Che cosa no?

Chi troncherà una tale discussione?

Lucilio si riferisce ad un testamento fatto a favore di una vedova dal marito defunto, distinguendo il mundus, oggetto di toeletta, dal

penus, provviste di viveri1. Secondo Charpin2, lasciare una tale eredi­

tà alla sua donna, significa forse per il marito dare la possibilità di re­ cuperare più oggetti possibili dai creditori o da degli altri legatari; è sicuramente un modo per dare vita ad una lunga serie di cause di eredità.

Molto interessante è poi il fr. VIII 5 Ch. (302 M.), in cui il poeta, at­ traverso l’uso del termine vinibua, attesta che alle donne era consen­ tito perfino bere:

1 Secondo la testimonianza di Aulo Gellio, fonte del passo, la definizione delle parole

mundus e penus è stata oggetto di interminabili discussioni tra i giureconsulti e nei

tribunali: Penus quoque, inquit, variis generibus dictum et varie declinatum est. Nam

et hoc penus et haec penus et huius peni et penoris veteres dictaverunt. Mundum quoque muliebrem Lucilius in Satyrarum sextodecimo non virili genere ut ceteri sed neutro appellavit his versibus... Sed ut faciam te aequiore animo ut sis, ne illi quidem veteris iuris magistri qui sapientes appellati sunt, definisse satis recte existimantur quid sit penus. Nam Q. Scaevolam ad demostrandam penus his verbis usum audio ‘Penus est, inquit, quod esculentum aut poculentum est. Quod ipsius patrisfamilias aut liberorum patrisfamilias eius, aut familiae quae circum eum aut liberos eius est opus non facit, causa paratum est, ut Mucius ait, penus videri debet. Nam quae ad edendum bibendumque in dies singulos prandii aut cenae parantur, penus non sunt; sed ea potius quae huiusce generis longae usionis gratia contrahuntur et recondun­ tur, ex eo quod non in promptu sint, sed intus et penitus habeantur, penus dicta sunt’. (GELL. IV 1, 3).

Vinibuas

Ubriacone

Nello stesso ambito si inquadra il fr. VI 7 Ch. (238-9 M.), in cui sono riportate le parole di una donna che è balbuziente (balba) per­ ché ubriaca:

… thaunomeno inquit balba, sororem

lanificam dici siccam atque abstemiam ubi audit

… sono sorpresa – dice la balbuziente – quando sente dire che sua sorella che fila lana è sobria e astemia

La donna è sorpresa di apprendere che sua sorella (sororem), dedi­ ta come le matrone di un tempo ai lavori femminili (lanificam), non si è ubriacata. È chiaro l’intento dello scrittore di creare una contrappo­ sizione fra il nuovo ruolo che la donna romana andava assumendo al­ l’interno della società contemporanea e la donna domiseda e lanifica dei tempi in cui erano ancora vivi i valori del mos maiorum.

Questa antitesi sembra essere un Leitmotiv che percorre l’intera opera. Ad esempio, nei frr. XXX 87 Ch. (993-4 M.) e XXX 91 Ch. (992 M.), che – come ipotizza Garbugino3 – nell’originale luciliano dovevano

figurare uno di seguito all’altro, l’autore, alludendo alle mille ragioni che una donna può accampare per giustificare la propria assenza da casa, ribadisce il punto di vista tradizionalista che voleva la moglie

domiseda4:

Aut cum iter est aliquo et causam commenta viai

aut apud aurificem, ad matrem, cognatam, ad amicam

3 G. GARBUGINO, Il XXX libro di Lucilio, in Studi noniani X, Genova 1985, 145 ss. 4 C.I.L. VI 11602; vd. anche P

O quando deve andare in qualche luogo e ha inventato una scusa per uscire: dall’orefice, dalla madre, da una parente, da un’amica

Aut operatum aliquo in celebri cum aequalibus fano

O per fare dei sacrifici con le compagne in qualche tempio affollato

Lo stesso tema è ripreso nel fr. XXX 93 Ch. (995 M.), in cui Lucilio allude ad una matrona romana dimentica dei suoi doveri, all’opposto della mulier domiseda che era per tradizione lanifica5:

Lana, opus omne perit; pallor, tiniae omnia caedunt

La lana, ogni lavoro va in rovina; la muffa e le tarme distruggono tutto

Strettamente connesso è il fr. XXX 88 Ch. (1056-7 M.), in cui il poeta fa riferimento ad una donna sposata che non si occupa diretta­ mente della casa, ma si serve di schiavi specialisti come lo zonarius6 e

il gerdius, “tessitore”7:

… curare domi sint

gerdius, ancillae, pueri, zonarius, textor

… stare bene attenti che in casa ci siano il tessitore specialista,

le serve, i giovani servitori, il fabbricante di cinture, il tessitore generico

Al medesimo contesto è poi riconducibile il fr. XXX 90 Ch. (1045-6 M.), il quale richiama il fatto che nel II secolo a.C. la donna romana

5 LIV. I 57, 9: (sc. Lucretiam) nocte sera deditam lanae inter lucubrantes ancillas in

medio aedium sedentem inveniunt.

6 P

LAUT. Aul. 516: sonarius.

7 Quale fosse la differenza tra i termini textor e gerdius è difficile a stabilirsi, perché

nei glossari essi sono considerati sinonimi: C.G.L. II p. 262, 55, Goetz γερδιὸς ἤτοι ὑφαντὴς textor ed HESYCH. s. v. γερδιός· ὑφαντής.

non si occupa più direttamente dell’educazione dei figli, demandan­ dola alle nutrici:

… sperans aetatem <in> eamdem

haec proferre potesse et mansum ex ore daturum

… sperando che fino alla stessa età possa portare avanti le sue occupazioni e dare il cibo sminuzzato dalla bocca

Le nutrici sminuzzavano il cibo prima di introdurlo nella bocca dei bambini piccoli: omnes tenuissimas particulas atque omnia minima

mansa ut nutrices infantibus pueris in os inserant8, “gli mettano in bocca solo bocconcini piccolissimi e tritati minuti, come fanno le nu­ trici con i bambini piccoli”. La nutrice a cui allude Lucilio si augura, abbastanza ingenuamente, che il bimbo rimanga piccolo il più a lun­ go possibile per continuare ad imboccarlo, mantenendo così quella attività, che le consente di sopravvivere.

Di notevole interesse, infine, è il fr. XXX 92 Ch. (991 M.), in cui si fa riferimento a una nobile e ricca signora che nella società bene del­ l’epoca incarna il nuovo ideale di donna:

Euplocamo digitis discerniculumque capillo

Per le dita della benchiomata e una spilla per i capelli

In opposizione a questo nuovo modello di donna, che gode di mag­ giore libertà, non si cura della casa e dei lavori femminili, non si oc­ cupa direttamente dell’educazione dei figli e ad ama ornarsi con mo­ nili di lusso, Lucilio, in altri frammenti, rievoca la donna attiva e lani­

fica dei tempi antichi.

8 C

Il fr. VIII 8 Ch. (312 M.), ad esempio, contiene l’enumerazione di quelle parti della casa la cui cura deve essere affidata ad una brava massaia:

Pistrinum adpositum, posticum, sella, culina

Il forno posto vicino, la porta posteriore, la latrina, la cucina

I frr. VIII 9 Ch. (298 M.) e VIII 10 Ch. (299 M.) descrivono i lavori femminili cui era solita dedicarsi la donna romana di un tempo:

Intus modo stet rectus, foris subteminis panus

Dal momento che all’interno la bobina di filo è fissata correttamente, essa è fissata correttamente all’esterno

Lentet opus

Il lavoro procede lentamente

Infine, il fr. XXVI 51 Ch. (681 M.) menziona parecchi oggetti utili ad una buona padrona di casa:

Cribrum, incerniculum, lucernam, in laterem, in telam licium

Un vaglio, uno staccio, una lucerna, un filo per la spola, per la trama

Il cribrum e l’incerniculum sono rispettivamente il vaglio e lo staccio: secondo Charpin9, il primo serve a passare i prodotti solidi, il secondo

i prodotti liquidi. La lucerna, la lampada ad olio, è anch’essa tipica in­ combenza della donna, che deve occuparsi dell’illuminazione della ca­

sa10. I termini licium, later e tela riguardano la tessitura: licium è il filo

del telaio che serve ad alzare e ad abbassare alternativamente la fila dell’ordito; later è un mattone di piccole dimensioni, che le tessitrici usavano come peso per tendere i fili dell’ordito.

I passi luciliani che abbiamo visto dimostrano dunque che nei co­ stumi tradizionali delle donne romane si sono insinuate da tempo, in­ sieme con il lusso, le frivolezze più varie: il poeta sembra criticare la

matrona contemporanea che ha rovesciato il modello della moglie uni­ vira, fedele, modesta, riservata e relegata all’interno dello spazio do­

mestico, la norma ideale nella società romana della prima epoca re­ pubblicana.

1.3. IL RIFIUTO DELLA RELIGIONE TRADIZIONALE E IL PROBLEMA

Nel documento Lucilio: un intellettuale del II secolo a.C. (pagine 157-163)