LUCILIO E LA SOCIETà ROMANA DEL II SECOLO a.c.
1. I MUTAMENTI ECONOMICI E SOCIAL
1.1. L’INCREMENTO DEL COMMERCIO E LA NASCITA DEL CETO EQUESTRE
Lucilio registra il crescere dell’importanza nella società romana del suo tempo del commercio, come dimostrano, ad esempio, i frr. VIII 15 Ch. (318 M.) e VIII 16 Ch. (317 M.):
Verum et mercaturae omnes et quaesticuli isti
Ma il commercio in generale e quei modesti guadagni
Sallere murenas, mercem in frigidaria ferre
Conservare le murene sotto sale e portare la merce in ghiacciaia
Nel primo verso parla di persone che praticano il commercio in ge nerale; nel secondo descrive un pescivendolo mentre sistema le mure
ne che gli vengono consegnate: prima le mette in salamoia (sallere), poi le porta in ghiacciaia (in frigidaria)1.
Il poeta menziona anche le attività commerciali che nella Roma del II secolo a.C. costituivano per molti una fonte di guadagno alternativa a quella tradizionale dell’agricoltura. Il fr. XXVII 17 Ch. (722-3 M.), infatti, allude alla pratica del commercio navale, a proposito della quale denuncia la mala pratica dell’evasione fiscale:
Facit idem quod illi qui inscriptum e portu exportant clanculum ne portorium dent
Fanno lo stesso di quelli che clandestinamente fanno uscire dal porto la merce non scritta sui registri per non pagare il dazio
Come le greggi, che nella loro transumanza passavano dall’Apulia al Sannio, dovevano essere dichiarate ai pubblicani2, così le merci che
venivano imbarcate dovevano essere dichiarate per assolvere un dirit to doganale3. I due termini inscriptum e clanculum indicano le merci che non sono state dichiarate e che, di conseguenza, sono esportate di frodo per non pagare i dazi portuali (portorium). Il frammento con tiene una delle prime testimonianze dell’esistenza di uomini che, at traverso manovre delittuose, eludevano il fisco, accrescendo così il loro guadagno personale a scapito dell’interesse generale.
L’inizio dell’individualismo è fortemente condizionato dall’aumento della ricchezza nelle classi medie. Questo appare nel fr. XII 4 Ch. (428-9 M.), da cui emerge anche un profondo e brutale mutamento dell’atteggiamento dei cittadini – o di parte di essi – verso lo Stato:
Huic homini quaestore aliquo esse opus atque chorago publicitus qui mi atque e fisco praebeat aurum
1 MACR. Sat. III 17, 5. 2 VARRO Rust. II 1, 16. 3 CIC. Verr. III 171.
Quest’uomo ha bisogno di un qualche questore e corego che dai fondi pubblici e dalla cassa dello Stato metta a mia disposizione del denaro
Colui che parla è senza dubbio un uomo d’affari appartenente al ceto equestre4, la cui individualità sembra assumere – come osserva
Pennacini5 - un senso e una realtà nella misura in cui le istituzioni
dello Stato – i centri del potere: e per lui il potere è il denaro – entrano in rapporto con lui o comunque gli stanno di fronte, ponendosi, ai suoi occhi, come le fonti dei condizionamenti più significativi del suo esistere. Naturalmente l’antico rapporto tra il cittadino e lo Stato, se condo il quale il cittadino doveva tutto allo Stato, perché tutto aveva ricevuto da lui, è completamente mutato. La realtà è che attraverso lo Stato passa la via del denaro e della ricchezza che fa crescere l’Io: gli appalti di ogni genere furono lo strumento che sollevò molti umili Ro mani dall’anonimato della plebe all’individualismo degli equites.
Nella mente del personaggio un quaestor6 è classificato come colui
che può avere le funzioni di un coragus7, e lo Stato (publicitus) e il te
soro (fiscus) sono ceste dalle quali egli può, pur per mezzo di altri, at tingere. I finanziamenti statali (praebere aurum) entrano nella realtà di una concreta e attuale verifica perché si traducono in denaro che gli viene versato in mano.
Traspare, dunque, l’intenzione di Lucilio di mettere in evidenza tut ti i segnali di un profondo cambiamento economico, di una società in
4 Potrebbe trattarsi di un publicanus, o forse, secondo un’interpretazione più comi
camente satirica, di un decoctor, “bancarottiere”.
5 A. PENNACINI, L’immaginario e la cultura degli avi, “Aufidus” 2 (1987), 35 ss.; vd. an
che A. PENNACINI, Funzioni della rappresentazione del reale nella satira di Lucilio (in
appendice il lessico Luciliano del reale), in Atti della Accademia delle Scienze di Tori
no, 2, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche 1967-1968, 102, 325 ss.
6 Il quaestor aveva una parte notevole nell’amministrazione dell’aerarium populi Ro
mani.
7 Coragus (dalla forma dorica χοραγός), già in PLAUT. Persa 159 ss. e Trin. 858, indica
propriamente il fornitore di scene e costumi finanziato dagli edili. Egli praebeat or
namenta (PLAUT. Persa 159 ss.) come in Lucilio praebet aurum. I. MARIOTTI, Studi luci
liani, cit., 61 ss. sostiene che, in realtà, i choragi fornivano denaro delle casse pub
bliche per tutti i bisogni dell’organizzazione teatrale da loro patrocinata, tanto che il termine passò ad indicare genericamente chi sostiene le spese di un’iniziativa, per es. di una cena (SVET. Aug. 70, 1: del resto già in greco χορηγός era usato in questo
grande fermento, all’interno della quale si sta formando una classe media simile in parte a quella che noi oggi chiamiamo borghesia, a cui il poeta stesso apparteneva.
Testimonianze relative all’ascesa del ceto dei cavalieri si trovano nel fr. XXX 41 Ch. (1078 M.), in cui Lucilio, menzionando l’equus publi
cus, divenuto nel II secolo a.C. lo status symbol dell’ordo equester,
sottolinea l’esistenza di un ordine organizzato separato dai senatori:
Publico <equo> lege ut mereas praesto est tibi quaestor
Per servire con un cavallo pubblico, secondo la legge, il questore è a tua disposizione
Il passo evoca un cittadino che si arruola nella cavalleria: secondo i termini della legge, egli riceve una somma di diecimila assi per l’ac quisto del cavallo8 e una indennità annuale per il suo mantenimento9.
Lucilio, infine, sembra volere richiamare l’attenzione del lettore sul la crescente acquisizione di potere da parte del ceto equestre attraver so l’attacco alla lex Calpurnia de pecuniis repetundis del 149 a.C. da parte di un commensale, che partecipa alla cena offerta dal banditore Granio a Lucio Licinio Crasso ricostruita nel libro ventesimo. Nel fr. XX 3 Ch. (573-4 M.) questo anonimo personaggio infatti dice:
Calpurni saeva lege in Pisonis reprendi eduxique animam in primoribus naribus…
Andai in collera a proposito della severa legge di Calpurnio Pisone e tirai l’anima sulla punta del naso…
Calpurnio Pisone Frugi fece votare nel 149 a.C. una legge che ri marrà celebre per la sua severità (Calpurni saeva lege… Pisonis), per
8 LIV. I 43, 9: ad equos emendos dena milia aeris ex publico data. 9 LIV. XXVII 11, 14: stipendia… quae equo publico meruerant.
ché istituiva, a titolo permanente, la commissione senatoriale incari cata di giudicare i delitti de repetundis. Composta di una delegazione di Patres, essa rivendicava ai magistrati le somme che avevano inde bitamente estorto alle province. Come abbiamo già accennato, nel 123 a.C., sotto il tribunato di Caio Gracco, la lex Sempronia iudiciaria riservò ai cavalieri il privilegio esclusivo di sedere nei tribunali perma nenti sottraendolo così ai senatori.
Attraverso le critiche di questo commensale – probabilmente un uomo pubblico – Lucilio allude al fatto che nella seconda metà del II secolo a.C. i cavalieri stavano pian piano raggiungendo l’obiettivo fon damentale che si erano prefissi: avvicinarsi alla classe superiore, ov vero svolgere le attività politiche dei senatori.