6. LA VITA A ROMA
6.2. IL RIFIUTO DELLA POLITICA ATTIVA E L’ACCUSA DI VIOLA ZIONE DELLA LEX THORIA
Lucilio si interessò agli avvenimenti politici del suo tempo, ma non intervenne mai nella vita politica: non volle neppure accettare, come abbiamo visto, la carica redditizia di publicanus Asiae. Questa scelta colloca il poeta in una posizione assolutamente originale rispetto a tutta la tradizione romana: egli fu il primo letterato che, pur potendo vantare ricchezza, prestigio, amicizia, elevata estrazione sociale, pre ferì invece scegliere una vita assolutamente indipendente1, come sem
bra dichiarare nel fr. XXVII 1 Ch. (688-9 M.):
Rem populi salute et fictis versibus Lucilius,
quibus potest, inpertit, totumque hoc studiose et sedulo…
Allo Stato Lucilio rivolge il suo saluto e i versi nati dalla sua fantasia, per come meglio può, e tutto ciò con zelo e sincerità…2
Il distacco dalla vita politica coincideva con gli ideali culturali che erano sbocciati in seno al “circolo” scipionico e venivano ora affer mandosi in quest’età; ideali che portavano gli intellettuali a vivere e a produrre in piena indipendenza, rovesciando il rapporto cultura-stato quale era stato inteso fino a qualche decennio prima.
Tuttavia pare che in un’occasione Lucilio potrebbe aver dovuto par tecipare alla vita pubblica: una discussione in Senato, nel corso della quale egli veniva accusato di aver fatto pascolare il suo bestiame sul terreno demaniale, in violazione della legge Thoria. Cicerone in un passo del De oratore (II 284) dice: In senatu, cum ageretur de agris pu
blicis et de lege Thoria et premeretur Lucilius ab iis qui a pecore eius depasci agros publicos dicerent, “Non est”, inquit (scil. Appius maior ille), “Lucili pecus illud, erratis” - defendere Lucilium videbatur -: “ego
1 L’effettiva autonomia di Lucilio è stata oggetto di discussione da parte degli studio
si e continua ad esserlo ancora oggi.
liberum puto esse: qua libet pascitur”, “In Senato, si discuteva sull’a ger publicus e sulla lex Thoria, e alcuni attaccavano Lucilio, dicendo
che il suo bestiame pascolava sull’ager publicus. Allora (Appio il vec chio) disse: - Quel bestiame non è di Lucilio, voi sbagliate! - e sembra va difendere Lucilio. - Penso che sia allo stato brado, dato che pascola dove vuole!-”.
Zucchelli3 ipotizza che il poeta si trovasse presente a quella discus
sione quale inviato dei Suessani o dei socii nominis Latini a patrocina re la loro causa. Lucilio, infatti, era un ricco proprietario terriero e la sua origine italica doveva certo schierarlo accanto a quei socii italici che si sentivano vittime della legge agraria di Tiberio Gracco, in quan to venivano privati dell’ager publicus, di cui si erano tacitamente im possessati.
I. Mariotti4 sostiene che Lucilio poteva essere presente in Senato
pur non essendo senatore. Secondo lo studioso, si dovrebbe tener conto del fatto che, nell’ambito del secondo libro De oratore, i para grafi 217-289 hanno un carattere ben definito: si tratta della nota di gressione di Cesare Strabone intorno al ridiculum, inserita nell’esposi zione di Crasso sulla inventio. I paragrafi 217-234 formano una spe cie di introduzione: Cesare sostiene che l’umorismo è un dono natu rale; alcune battute sulla possibilità di stabilire delle norme segnano il passaggio alla trattazione vera e propria, che comincia col paragrafo 235. Questo esame dei vari aspetti del ridiculum costituisce una se zione autonoma e in sé conclusa, formata dai paragrafi 235-289. Lu cilio – il poeta – è citato espressamente al paragrafo 253: ut illud Afri
cani, quod est apud Lucilium, “come è il motto dell’Africano riportato
in Lucilio”; segue il v. H. 83 Ch. (1280 M.), che il Cichorius5 ha attri
buito al libro undicesimo: “Quid Decius? Nuculam an confixum vis fa
cere?” inquit, “Che fai Decio? Vuoi trafiggere Nucula? - disse”. In De orat. II 268, ut Asello Africanus obicienti lustrum illud infelix, “come
quando l’Africano rispose ad Asello che gli rinfacciava quell’infelice
3 B. ZUCCHELLI, L’indipendenza di Lucilio, cit., 84 ss.
4 I. MARIOTTI, F. DELLA CORTE, W. KRENKEL, L’età di Lucilio, cit., 258 ss. 5 C. CICHORIUS, Untersuchungen zu Lucilius, cit., 311.
lustro”, la fonte è certamente Lucilio, anzi il libro undicesimo delle
Satire, come dimostra Gellio6: Lucilii ex XI versus sunt: Scipiadae ma
gno improbus obiciebat Asellus/lustrum illo censore malum infelixque fuisse7, “Dal libro undicesimo di Lucilio: quel disonesto di Asello rim proverava al grande Scipione che il lustro della sua censura era stato sciagurato e infelice”. Al medesimo libro undicesimo appartiene il fr. XI 10 Ch. (418-20 M.): Quintus Opimius ille… /et formosus homo fuit
et famosus, utrumque/primo adulescens, “Quel famigerato Quinto
Opimio… fu un uomo bello e malfamato; entrambe le cose al tempo della sua gioventù”. Dello stesso contesto luciliano faceva parte la pronta risposta di un Decio, che si legge in De orat. II 277: cum Q.
Opimius consularis, qui adulescentulus male audisset, “Quinto Opi
mio, ex console, che da ragazzo aveva goduto di una cattiva reputa zione”, con quel che segue fino a nam me ad famosas vetuit mater ac
cedere, “mia madre mi proibisce di frequentare donne di cattiva repu
tazione”. Da queste ultime parole Marx ha ricostruito il verso nam ve
tuit me ad famosas accedere mater. Il paragrafo 281 della sezione de ridiculis del De oratore ciceroniano: cum obiurgavit Albium Granius,
“quando Granio riprese Albio” (95 M.) – che si riferisce al famoso pro cesso intentato da Albucio contro Scevola – deve provenire dal libro secondo di Lucilio8.
In conclusione, nella medesima sezione 235-289 del De oratore i frizzi dei paragrafi 253, 268, 277, 281 provengono da Lucilio9, con
ogni probabilità tutti dai libri undicesimo e secondo, cioè dai libri del la seconda raccolta di Satire, databile fra il 128 e il 107 a.C.; nel pa ragrafo 284 si parla di un Lucilius in riferimento ad una battuta pro nunciata in Senato nel corso della discussione sulla lex Thoria, forse nel 114 a.C., senza dubbio fra il 118 e il 111 a.C.: viene naturale rico noscere in quel Lucilius il poeta di Suessa. Oltre tutto i dati cronologi ci rimandano all’epoca della seconda raccolta luciliana, e pare del tut
6 GELL. IV 17, 1. 7 L
UCIL. XI 8 Ch. (394-5 M.).
8 C. CICHORIUS, Untersuchungen zu Lucilius, cit., 246 ss.
to verosimile che in una satira abbia raccontato la sua disavventura il poeta stesso: ille velut fidis arcana sodalibus olim/credebat libris, ne
que si male cesserat usquam/decurrens alio, neque si bene10, “come a
fedeli compagni, ai libri egli soleva affidare i suoi segreti, né altrove ri correva se le cose gli andavano male, né se gli andavano bene”.
Resta, però, incerto se nel passo ciceroniano si parli del poeta e non piuttosto di un altro Lucilio, della stessa famiglia o anche di un altro ramo11. Terzaghi12, ritenendo assai improbabile la presenza di Lucilio in Senato, dal momento che non era senatore e non partecipò mai ad azioni pubbliche, ipotizza che la testimonianza ciceroniana si riferisca o al fratello del poeta, che era senatore, o ad un altro Lucilio, del quale non si può dire altro.