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L’EVOLUZIONE DELLA POLITICA ESTERA LE GUERRE DI CONQUISTA IN ORIENTE

Nel documento Lucilio: un intellettuale del II secolo a.C. (pagine 112-116)

TRASFORMAZIONI POLITICHE SOCIALI ED ECONOMICHE

1. L’EVOLUZIONE DELLA POLITICA ESTERA LE GUERRE DI CONQUISTA IN ORIENTE

Nella prima metà del II secolo a.C. si ebbe nella politica estera ro­ mana una importante svolta, che segnò il decollo della città come po­ tenza internazionale in grado di riunire diverse civiltà.

Dopo la sconfitta di Annibale a Zama ad opera di Publio Cornelio Scipione Africano (202 a.C.), Roma infatti volse il suo interesse a Oriente, dove fiorivano i regni ellenistici sorti dallo smembramento dell’impero di Alessandro Magno.

La politica espansionistica romana in Oriente iniziò con l’intervento nella contesa che contrapponeva la Macedonia alle città greche. Fa­ cendosi promotore della loro esigenza di autonomia, il console Tito Quinzio Flaminino, appartenente a una famiglia che, come quella di

Scipione Africano, era da tempo su posizioni filoelleniche, stabilì una serie di alleanze con le città greche contro la Macedonia. Sconfitto nel 197 a.C. a Cinoscefale il re di Macedonia Filippo V (che in precedenza aveva appoggiato Annibale e si era scontrato con Roma nella prima guerra macedonica, 212-205 a.C.), Flaminino pose fine alla seconda guerra macedonica.

Nel 191 a.C. ebbe inizio la guerra contro la Siria di Antico III: bat­ tute una prima volta le truppe siriache alle Termopili dall’esercito ro­ mano guidato da Manio Acilio Glabrione, i Romani sconfissero gli av­ versari nel 189 a.C. a Magnesia. Artefice della vittoria sull’esercito di Antioco fu il console Lucio Cornelio Scipione, fratello di Scipione Afri­ cano, che ebbe il cognomen onorifico di Asiaticus.

Le condizioni di pace vennero definite nel trattato di Apamea del 188 a.C. Gli avversari politici degli Scipioni, giudicando non sufficien­ temente dure le imposizioni proposte da questi, mandarono a sosti­ tuirli Cneo Manlio Vulsone e un’ambasceria di dieci senatori.

Nel 171 a.C. Perseo, figlio di Filippo V, sfidò nuovamente Roma, che, nonostante l’opposizione del gruppo politico capeggiato da Cato­ ne il Censore, diede inizio alla terza guerra macedonica. Nei primi anni di guerra i comandanti romani si distinsero, più che per il loro genio strategico, per le rapine commesse ai danni di molte città gre­ che. Qualche modesto successo militare di Perseo venne dunque sa­ lutato con enorme entusiasmo dai “democratici”. La svolta si ebbe nel 168 a.C.: Perseo fu costretto dal nuovo comandante romano, il conso­ le Lucio Emilio Paolo, ad accettare battaglia campale nella località macedone di Pidna, dove il suo esercito fu sconfitto.

Circa vent’anni più tardi, Roma dovette intervenire di nuovo in Oriente. Nel 149 a.C. un tale Andrisco, che si spacciava per figlio di Perseo, suscitò la rivolta in Macedonia e contemporaneamente la Lega Achea riaprì la guerra in Grecia. Furono i soliti tentativi velleitari: An­ drisco fu sconfitto nel 148 a.C. dall’esercito del pretore Quinto Cecilio Metello (il quale ebbe il cognomen onorifico di Macedonicus) e la città di Corinto fu rasa al suolo nel 146 a.C. dalle legioni guidate dal con­

sole Lucio Mummio. Tutta la Grecia perse la sua indipendenza e di­ venne provincia Romana, col nome di provincia d’Acaia.

1.2. L’ESPANSIONE NEL MEDITERRANEO

La seconda metà del II secolo a.C. segnò per Roma il culmine delle conquiste mediterranee.

Nel 146 a.C., anno della distruzione di Corinto e della riduzione della Grecia a provincia romana, Roma annientò la sua rivale storica: Cartagine. Nel 149 a.C., dopo che la città fenicia, esasperata dai so­ prusi, aveva dichiarato guerra al sovrano numida Massinissa senza chiedere l’autorizzazione di Roma, Catone il Censore riuscì a convin­ cere il Senato a dichiarare la terza guerra punica.

A partire dal 147 a.C. il corpo di spedizione romano fu guidato da Publio Cornelio Scipione Emiliano, figlio del vincitore di Pidna e nipo­ te adottivo di Scipione Africano, che per quell’anno fu eletto console in via straordinaria. Nella primavera del 146 a.C. il comandante di­ strusse la capitale punica. Per obbedire agli ordini del Senato, gli abi­ tanti furono ridotti in schiavitù o dovettero emigrare; la città fu incen­ diata; le rovine furono rase al suolo; sul luogo fu passato l'aratro e nei solchi fu sparso del sale e fu pronunciata una solenne maledizio­ ne contro una sua futura rinascita. Il territorio punico divenne la pro­ vincia romana di Africa con Utica come capitale.

Negli stessi anni i Romani furono impegnati in Spagna nella re­ pressione durissima di alcune popolazioni celtiberiche, che, dopo la creazione delle province di Spagna Citeriore (a nord) e Spagna Ulte­ riore (a sud), non si erano rassegnate al dominio romano e avevano intrapreso una dura resistenza.

La rivolta partì nel 197 a.C. dai Turdetani, nell’Hispania Ulterior, e si estese rapidamente all'altra provincia. Spesso Roma fu costretta ad inviare un console, con un intero esercito consolare: nel 195 a.C. il comando venne affidato a Catone il Censore. Il suo noto comporta­

mento moderato ed il rispetto verso i diritti dei provinciali favorirono la sottomissione (pur momentanea) dei Celtiberi.

La guerra continuò per anni, estendendosi a popolazioni al di fuori delle province, come i Lusitani, nella parte occidentale della penisola iberica. Tra i comandanti romani si succedettero, ricordiamo (fra il 191 e il 189 a.C.) Lucio Emilio Paolo e (fra il 181 e il 179 a.C.) Tiberio Sempronio Gracco, il padre dei famosi tribuni della plebe.

Dopo la conclusione della lunga e difficile guerra contro i Lusitani, guidati dall'abilissimo Viriato (147-139 a.C.), la lotta si concentrò in­ torno alla città celtibera di Numanzia, poco più a nord dell'attuale centro di Soria, nella Spagna settentrionale. Del bellum Numantinum siamo informati da Appiano, che riprende Polibio, il quale ebbe modo di farsi esperienza diretta, accompagnando l'Emiliano come amico e consigliere militare. Il comando fu affidato dapprima al console Quin­ to Cecilio Metello Macedonico (143 a.C.), al quale poi successero Quinto Pompeo (141 a.C.) e Popillio Lenate (139 a.C.): nessuno di essi riuscì a venire a capo della rivolta dei Celtiberi. Ma l'episodio più ri­ provevole si consumò nel 137 a.C. sotto le mura di Numanzia: il suc­ cessore di Popillio, il console Caio Ostilio Mancino, sconfitto, per evi­ tare la distruzione del suo esercito, fu addirittura costretto dai Nu­ mantini a firmare una pace umiliante per Roma. Il trattato siglato da Mancino - di cui si fece garante il giovane Tiberio Gracco, che godeva di fiducia in memoria del padre - fu peraltro disconosciuto dal Sena­ to.

La guerra numantina fu infine affidata al più abile comandante ro­ mano del tempo, Scipione Emiliano, appositamente eletto per la se­ conda volta al consolato nel 134 a.C., in deroga ad una legge che im­ pediva di iterare la massima magistratura. Al posto di regolari rinfor­ zi, Scipione portò in Spagna un certo numero di volontari e cinque­ cento persone a lui legate da vincoli di amicizia o di dipendenza: una specie di guardia del corpo privata, con il compito di proteggerlo men­ tre ristabiliva la disciplina nell'esercito. Questa coorte, fedele alla per­ sona del suo capo, gli garantiva l'incolumità personale ed era, in fon­

do, il prototipo della successiva cohors praetoria imperiale. Il nipote adottivo dell’Africano, dunque, condusse il conflitto da protagonista, affidando comandi ai suoi parenti o amici e decidendo personalmente di distruggere il centro dei Celtiberi senza consultare il Senato. Egli, infatti, stretta d'assedio Numanzia con forze preponderanti, la con­ quistò e la distrusse nel 133 a.C., come aveva fatto tredici anni prima con Cartagine.

Nello stesso anno della distruzione di Numanzia il re di Pergamo Attalo III morì senza figli, ma lasciò un testamento che trasmetteva il suo regno ai Romani, chiedendo che venisse garantita la libertà della città di Pergamo e ne fosse ampliato il territorio.

2. LA SITUAZIONE SOCIO-ECONOMICA DOPO LA CON­

Nel documento Lucilio: un intellettuale del II secolo a.C. (pagine 112-116)