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La Corte non fa uso della scienza

Nel documento Scienza e tecnica davanti alle Alte Corti (pagine 90-95)

L’uso della scienza

4. La Corte non fa uso della scienza

Seguendo ora la tassonomia che si ci è proposti di adottare75 è possibile distinguere

una pluralità di casi diversamente articolati in cui della scienza si percepisce, in particolar modo, la mancanza. Con ciò intendendo quei casi che, pur rientrando a pieno titolo in quelle che abbiamo definito nel primo capitolo come questioni scientifiche controverse e che, alla luce del primo paragrafo del presente capitolo, hanno meritato o probabilmente avrebbero meritato un’adeguata istruttoria scientifica, non sono stati esaminati dalla Corte costituzionale sotto il profilo scientifico.

4.1. La Corte non fa uso della scienza per ragioni processuali dirimenti

Innanzitutto può essere individuata tutta una serie di casi in cui è evidente di trovarsi in presenza di una questione scientifica controversa, tuttavia vi sono ragioni che impedi- scono, alla Corte di arrivare ad esaminare il merito.

E’ il caso della decisione dell’ordinanza 24 giugno 1993, n. 292 in cui la questione viene dichiarata manifestamente inammissibile stante la non conversione del decreto legge oggetto di impugnazione. La norma censurata prevedeva il rinvio obbligatorio dell’esecu- zione della pena per i soggetti affetti da HIV e non per altre malattie per cui «la scienza medica riconosce i medesimi caratteri di gravità, irreversibilità ed ingravescenza», così ri- sultando sospetta di discriminazione.

In questo caso la Corte costituzionale lascia intendere che vi sarebbe un margine per valutazioni scientifiche, come spesso è accaduto e accadrà in materia di HIV e AIDS, ma questioni di natura giuridica ne hanno precluso l’esame. Riprova ne è che in decisioni successive76, a seguito della riproposizione del decreto, in termini pressoché analoghi, la

Corte dichiarerà l’illegittimità della norma.

75 Cfr. premesse metodologiche.

76 Sentenze 18 ottobre 1995, nn. 438 e 439. In questo caso la Corte non manca di mettere in luce

come la tutela della salute dei malati di AIDS in sede carceraria sia stata perseguita dal legislatore anche su impulso di «talune autorevoli valutazioni espresse in sede scientifica».

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Ma prima ancora della declaratoria di illegittimità costituzionale, in un altro caso ri- guardante la medesima disciplina77 la Corte farà prevalere e riterrà assorbenti – per pro-

nunciare una non fondatezza – argomenti legati alla tutela della salute nell’ambiente car- cerario, senza svolgere quel raffronto che il giudice a quo suggerisce tra HIV altre patologie dotate delle medesime caratteristiche di gravità, irreversibilità ed ingravescenza nei con- fronti delle quali, il favor mostrato nei confronti dei soggetti infetti da HIV, rappresenta una discriminazione.

La Corte infatti pur ribadendo «l’auspicio di un pronto intervento del legislatore» volto a appianare le evidenti problematicità sul piano costituzionale (che, un anno dopo, porte- ranno alla già cennata declaratoria di illegittimità costituzionale) non ritiene di prendere in considerazione la sussistenza di malattie accomunate dai medesimi caratteri che si trovano in altre patologie, ritenendo che sia una questione di mera opportunità di politica legisla- tiva e non uno sconfinamento dall’alveo di un corretto uso della discrezionalità.

Noto è il caso respinto con l’ordinanza 24 luglio 2003, n. 279 in quanto appartenente alla celebre «saga Di Bella». La decisione emerge in quanto la Corte da ampio spazio alle ricostruzioni della consulenza tecnica avutasi nel giudizio a quo, ove il consulente ha rico- nosciuto una stabilizzazione del quadro clinico a seguito dell’assunzione del multitratta- mento, ragion per cui chiedeva che le spese fossero addossate al Servizio sanitario nazio- nale.

Ma fatto ciò i giudici non entrano in alcun modo negli aspetti scientifici della que- stione, limitandosi a correggere il giudice a quo, offrendo a questi un’interpretazione orien- tata e rispettosa del dettato costituzionale.

Probabile tuttavia supporre che gli aspetti scientifici siano stati presi quantomeno ve- latamente in considerazione, diversamente desterebbe stupore che il giudice delle leggi – anche a costo di sollevare davanti a se una questione di legittimità costituzionale – si sia limitato a suggerire la via costituzionale per la prosecuzione del trattamento in presenza di una sua totale inefficacia e dannosità.

Ancora, nell’ordinanza 9 novembre 2006, n. 369, la Corte costituzionale, in tema di divieto di diagnosi preimpianto, dichiara la manifesta inammissibilità della questione non avendo il giudice a quo impugnato altre potenziali fonti del divieto in esame, ovvero altri

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articoli della stessa legge e l’intero testo legislativo, essendo esso rinvenibile anche dai suoi criteri ispiratori78.

La decisione è stata ritenuta come altamente discrezionale, in quanto nello strumenta- rio della Corte non mancano tecniche idonee a consentirle di allargare il petitum, quale l’illegittimità consequenziale. E’ evidente pertanto l’eco di una ‘political questions’79, dottrina

d’oltreoceano di cui il giudice costituzionale si è avvalso per selezionare discrezionalmente le questioni su cui prendere posizione.

Da notarsi che questa è la prima decisione della Consulta sulla legge 40 del 2004 in materia di PMA, legge che poi avrà più volte modo di essere portata alla sua attenzione. In quasi tutti gli altri casi la Corte adotterà un atteggiamento diverso, entrando nel merito e analizzando funditus le questioni.

Tra i casi esaminati (ma altri potrebbero essere richiamati), pronunce processuali, è evidente la divergenza: solo nel primo la soluzione appare necessitata, ma già nel secondo c’è l’idea di una «sopravvalutazione di possibili cause di inammissibilità» tramite cui la Corte pare «abbia voluto evitare di assumere una chiara posizione sul merito di una con- troversa questione di legittimità costituzionale».80

Interessante ad ogni modo vedere come questo atteggiamento sia riscontrato, tanto per l’HIV che per la PMA, nelle ‘prime decisioni’ (salvo significative eccezioni) nelle ri- spettive tematiche, tanto che lasciano supporre a una sorta di timidezza del giudice ad intervenire in questioni scientifiche. Timidezza che poi vien meno a seguito della ripro- posizione di analoghe questioni, per cui un silenzio potrebbe rivelarsi imbarazzante.

4.2. La Corte non fa uso della scienza pur analizzando il merito della questione

78 Per questo la decisione è stata criticata in dottrina, e anche la Corte tornerà sui suoi passi dieci

anni dopo. Critici A.MORELLI,Quando la Corte decide di non decidere. Mancato ricorso all’illegittimità

conseguenziale e selezione discrezionale dei casi, in Forum di quaderni costituzionali, 17 novembre 2006; L.

TRUCCO,La procreazione medicalmente assistita al vaglio della Corte costituzionale, in Giurisprudenza italiana,

fasc. 7, 2007, pp. 1618 e ss.

79 L’analogia è approfondita da S.PENASA,Le "scientific questions" nella dinamica tra discrezionalità

giurisdizionale e legislativa. Uno studio comparato sul giudizio delle leggi scientificamente connotate nelle giurisdi- zioni nazionali, sovranazionale e internazionali, in Biolaw Jorunal, fasc. 1, 2016, in part. pp. 6 e ss.

80 Così G.D’AMICO,Scienza e diritto, cit., pp. 179-180 che individua le ragioni di una simile condotta

in presupposti scientifici controversi in grado di acuire una spaccatura nell’opinione pubblica o nel collegio medesimo.

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In materia di radiotelevisione la Corte – dopo aver fatto credere, con la sua giurispru- denza degli anni 70, che fosse vicina la piena apertura del settore ai privati – con la sen- tenza 21 luglio 1981, n. 148 ha un arresto sulla base di argomenti che vogliono prendere distanza dalla scienza, tanto che la Corte stessa li definisce come «indipendent[i] dalla ve- rifica della attuale situazione della disponibilità delle frequenze di trasmissione e dei costi da sopportare»81.

Questi «ulteriori argomenti», così li chiama la Corte, rappresentati da fattori di ordine economico che fanno «permanere i rischi di concentrazione oligopolistica», si palesano come totalmente dominanti. Ne consegue che la scienza non entra nelle valutazioni nep- pure come argomento retorico, dandosi prevalenza ad altri fattori.

Ciò per la verità stupisce, ben potendo il fenomeno scientifico – com’è successo in decisioni precedenti82 – avere un adeguato spazio. A discolpa della Corte non può neppure

essere invocata la mancanza di riferimenti ai dati tecnici, essendo al contrario gli atti delle parti ben nutriti di essi.

Vi è poi una serie di casi con ad oggetto le vaccinazioni83, i rimborsi e gli indennizzi

che in caso di danni da questi sono dovuti. Senza addentrarsi nel merito delle singole questioni, può essere qui rapidamente ricordato che esse hanno riguardato la vaccinazione antipoliomelitica (sentenza 26 febbraio 1998, n. 27), quella avverso l’epatite B (sentenza 16 ottobre 2000, n. 423), contro il morbillo, la parotite e la rosolia (sentenza 26 aprile 2012, n. 10784) e, da ultimo, con riguardo alla vaccinazione antinfluenzale (sentenza 14

dicembre 2017, n. 268)85.

81 Punto 2 del Considerato in diritto.

82 Si veda ex multis, sentenza 28 luglio 1976 n. 202 in cui, il punto 6 del Considerato in diritto

afferma che «ove si constati - come é ragionevole fare sulla base delle diffuse cognizioni tecniche e delle pratiche realizzazioni in atto esistenti - la ingiustificatezza, allo stato attuale, della tesi se- condo cui sussisterebbe una concreta limitatezza in ordine alle frequenze utilizzabili per le tra- smissioni radiofoniche e televisive, deve riconoscersi su scala locale che il relativo presupposto non possa ulteriormente essere invocato». Si vedano ancora sentenza 10 luglio 1974, n. 225; sen- tenza 11 luglio 1961, n. 46.

83 Sul tema M.TOMASI,Vaccini e salute pubblica: percorsi di comparazione in equilibrio fra diritti individuali

e doveri di solidarietà, in Diritto pubblico comparato ed europeo, fasc. 2, 2017, in part. pp. 472 e ss.;

84 Su cui si veda R.CHIEPPA,Ancora una giusta solidarietà, questa volta per i danneggiati da somministrazione

di vaccini semplicemente consigliata e promossa, ma nessuna iniziativa dello stato nei confronti delle imprese farma- ceutiche, in Giurisprudenza costituzionale, fasc. 2, 2012, pp. 1461 e ss.

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Apparentemente stupisce che, in questioni così intrise di elementi scientifici (il portato dirompente della scienza per la salute collettiva e i rischi per la salute individuale), non si rinvenga alcun espresso riferimento ad essi, ragionandosi invece di ragionevolezza e soli- darietà.

L’unico richiamo ‘forte’ alla scienza si ha comunque solo in chiave discorsiva, in quella che cronologicamente è l’ultima decisione della serie86 e che estende l’indennizzo a una

delle vaccinazioni oggi più comuni. In essa si legge che l’«estensione del riconoscimento del diritto all’indennizzo ricavabili dalla giurisprudenza ricordata non hanno mai compor- tato né comportano, da parte di questa Corte, valutazioni negative sul grado di affidabilità scientifica della somministrazione delle vaccinazioni».

La sensibilità sul tema, anche da parte dell’opinione pubblica e del dibattito politico, ha probabilmente indotto la Corte a concedere un inciso sul suo punto di vista sui vaccini, consapevole del rischio altrimenti vivo di una strumentalizzazione della sua giurispru- denza con cui ha nel tempo ampliato le ipotesi di indennizzo per danni da essi derivanti.

Emblematico esempio di mancata presa in considerazione del fenomeno scientifico è quello rappresentato dal «caso Ilva»87. Si ricorderà che il caso è stato già esaminato trat-

tando dell’accesso alla scienza, definendolo come il «più significativo [esempio, n.d.r.] di impulso in materia scientifica che l’ordinanza di remissione tenta di svolgere»88.

I tentativi del giudice a quo di impostare la questione in termini scientifici, sono tuttavia soffocati da una grande rilevanza del fattore tempo89. Nel caso di specie infatti molteplici

sono le argomentazioni del giudice a quo prospettate in termini scientifici su cui la Corte non prende posizione. Questo sembra derivare da un fattore parimenti estraneo al dato strettamente normativo, quale la durata temporalmente circoscritta del provvedimento legislativo (i 36 mesi in cui le attività dell’ILVA possono proseguire anche in violazione delle prescrizioni AIA).

86 Sentenza 14 dicembre 2017, n. 268. 87 Sentenza 9 maggio 2013, n. 85.

88 Par. 2.2. del presente capitolo.

89 Sul fattore tempo nel diritto costituzionale si veda L.CUOCOLO,Tempo e potere nel diritto costitu-

zionale, Milano, Giuffrè, 2009, in part. p. 139 e ss. Parla sostanzialmente di una ragionevolezza ‘a

tempo’ A.IANNUZZI,Istruttoria e valutazioni tecnico scientifiche, cit., p. 19. Critico nei confronti delle

conseguenze sistemiche di questo orientamento A.MALTONI,Nuove forme di intervento pubblico nella

gestione di imprese private: presupposti e limiti, in Diritto e processo amministrativo, fasc. 4, 2015, pp. 1079 e

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In questo modo la Corte, in virtù di una particolare caratterizzazione del dato norma- tivo, ovvero la sua durata temporalmente circoscritta, sembra affermare l’irrilevanza degli aspetti scientifici che invece vi si contrappongono90.

Dalle decisioni fin qui esaminate emerge chiaramente che la mancata considerazione del fenomeno scientifico non si collega in alcun modo a un particolare modello decisorio. Escludendo la scienza dal suo orizzonte la Corte si è talvolta fermata al rito, talaltra è arrivata al merito. In quest’ultimo caso non sembra esservi preferenza alcuna per decisioni di rigetto o di accoglimento.

Nel documento Scienza e tecnica davanti alle Alte Corti (pagine 90-95)

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