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I poteri istruttori della Corte EDU

Nel documento Scienza e tecnica davanti alle Alte Corti (pagine 151-154)

La Corte europea dei diritti dell’uomo e la scienza

2. I poteri istruttori della Corte EDU

La Corte EDU dispone di vasti poteri istruttori, seppur con un impianto normativo che è stato definito «rudimentale»14. Le ragioni di questa critica possono essere ricondotte

ad almeno due fattori: la necessità che ha la Corte di agire in situazioni estremamente complesse, anche alla luce della presenza di ordinamenti caratterizzati essi stessi da un alto tasso di complessità, nonché la concreta collocazione della Corte a Strasburgo, assai di- stante da molti dei paesi soggetti alla sua giurisdizione che, non per questo, possono man- care di rispettare la Convenzione15. Problematicità, entrambe, che non sembrano poter

12 Art. 1, protocollo 16 alla CEDU.

13 I fatti in causa avevano infatti già dato origine a Corte EDU, quinta sezione, Mennesson c. France,

del 26 giugno 2014.

14 P.L.MCKASKLE, The European Court of Human Rights: what it is, how it works, and its future, in University of San Francisco of Law Review, fasc. 4, 2005. Ma è anche vero che l’aggettivo può essere

forse rivolto agli strumenti concretamente posseduti e non anche alle loro – scarse – regole appli- cative. E’ infatti noto che le corti internazionali mal sopportano di vedersi imbrigate da regole processuali astrattamente idonee a impedirgli un pieno accertamento dei fatti. Sul punto cfr. D.V. SANDIFER,Evidence before International Tribunals, Procedural Aspect of International Law Series,

University Press of Virginia, Charlottesville, 1975, pp. 121-123.

15 Di questo avviso E. MALFATTI, I “livelli” di tutela dei diritti fondamentali nella dimensione europea,

Giappichelli, Torino, 2013, p. 129. Peraltro a ciò pare collegarsi la possibilità di delegare un mem- bro della Corte a svolgere indagini direttamente nello Stato membro, ma tali indagini sono ap- parse come assai costose e limitatamente efficaci. Al riguardo cfr. M.B. DEMBOU, “Fishing off” cases:

the radical solution to the problem of expanding ECHR caseload, in European human rights law re- view, fasc. 4, 2002, p. 618 e ss.

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essere risolte con le scarne disposizioni in materia istruttoria della Convenzione e dei suoi allegati.

Se dei profili istruttori si cura già la medesima Convenzione all’art. 38, concretamente gli strumenti si rinvengono nell’allegato al regolamento relativo alle inchieste, introdotto il 7 luglio 2003. L’ampiezza della portata emerge già dall’articolo A1, laddove si afferma che «La camera può, su richiesta di una parte o d’ufficio, adottare i provvedimenti istrut- tori ritenuti idonei a chiarire i fatti della causa. In particolare può invitare le parti a pro- durre prove scritte e decidere di sentire in qualità di testimone o esperto, o a qualsiasi altro titolo, le persone le cui deposizioni, affermazioni o dichiarazioni le sembrino utili per l’esecuzione del suo compito».

Il secondo comma estende la portata del primo, in quanto i provvedimenti istruttori non sono limitati a «chiarire i fatti della causa», ma possono estendersi – mediante l’espres- sione di un parere o di un rapporto scritto – a questioni che giudica pertinenti alla causa.

L’estensione dei poteri si percepisce altresì dal fatto che i giudici che vengono delegati all’istruttoria possono anche essere assistiti da persone o istituzioni estranee alla Corte ma da questa designate, affinché li supportino «nella maniera che ritiene appropriata».

E’ stato osservato che – a stretto tenore letterale – la Corte non potrebbe far affida- mento su informazioni preesistenti ma solamente sollecitarne la produzione, ad esempio invitando persone o istituzioni a esprimere un parere o fare un rapporto.16 Tuttavia, può

registrarsi che la Corte abbia forzato questo strumento, ritenendo il limite insussistente.17

Coerentemente con la collocazione sistemica della Corte si prevede altresì che gli Stati contraenti debbano accordare «le facilitazioni e la cooperazione necessarie per il corretto svolgimento della procedura», ossia collaborare per l’acquisizione di tutti quei fatti di cui necessita il giudice di Strasburgo.

La discussione orale, prevista all’art. 40 della CEDU e all’art. 63 del Regolamento della Corte, potrebbe rappresentare un valido strumento per la comprensione dei fatti per i giudici della Corte che, come s’è visto in apertura, potrebbero risentire della distanza –

16 Art. A1, co. 2 dell’allegato al Regolamento.

17 Di questo avviso K.C. SADEGHI, The European Court of Human rights: the problematic nature of the Court’s reliance on secondary sources for fact-finding, in Connecticut journal of International law, fasc. 4, 2009, p.130.

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fisica, ma non solo – con la controversia concreta. Della discussione orale si avvale so- vente la Grande Camera18, e non altrettanto le semplici sezioni19, ma non si registrano

significative differenze tra le due composizioni del collegio: nella sua concreta attuazione lo strumento risulta essere significativamente depotenziato20.

Se la Corte ritiene di non accontentarsi di quanto prodotto nei precedenti giudizi, non pone limiti all’ammissibilità delle prove: «In the cases referred to it, the Court examines all the

material before it, whether originating from the Commission, the Parties or other sources, and, if necessary, obtains material proprio motu».21 Inoltre, proprio per la sua natura, che non è quella di decidere

sulla reità civile o penale, bensì sulla responsabilità degli Stati contraenti ai sensi della Convenzione, «In the proceedings before the Court, there are no procedural barriers to the admissibility

of evidence or pre-determined formulae for its assessment. It adopts the conclusions that are, in its view, supported by the free evaluation of all evidence, including such inferences as may flow from the facts and the parties' submissions»22.

Con riguardo alla valutazione delle prove medesime invece, vige il principio della loro libera valutazione da parte del giudice, anche prescindendo da quelle che sono le determi- nazioni delle parti23. Tuttavia la Corte adopera un certo self-restraint, ritenendo dovere pri-

18 A titolo esemplificativo nel 2017 la Grande Camera ha svolto un totale di 13 udienze pubbliche

per i 19 casi pendenti e nel 2016 ne ha svolte 18 per 27 casi. Cfr. ECHR, Annual Report 2017 e

2016, reperibili alla pagina web https://www.echr.coe.int/Pages/home.aspx?p=court/annual re-

ports.

19 Sebbene non sia altrettanto agevole prendere in esame la situazione delle singole sezioni, pare

che la proporzione tra casi pendenti e udienze svolte veda queste ultime in netto sfavore. A questo elemento sembra concorrere un certo rilievo che la Corte ha, anche da un punto di vista mediatico, specialmente (se non esclusivamente) per quanto riguarda la Grande Camera.

20 E’ stato infatti notare che – tra l’altro in assenza di un preciso criterio per decidere se sia neces-

saria una discussione orale – di rado i giudici pongono domande alle parti. La prassi peraltro vuole che le parti e finanche i consulenti presentino una copia della relazione in anticipo, in modo da facilitare i lavori della traduzione simultanea (atteso che i lavori si svolgono simultaneamente in francese e inglese). Cfr. P. L. MCKASKLE, The European Court of Human Rights: what it is, how it

works, and its future, in University of San Francisco of Law Review, fasc. 4, 2005. 21 Corte EDU, terza sezione, Ireland v. United Kingdom del 20 marzo 2018, par. 160. 22 Corte EDU, grande camera, Nachova and Others v. Bulgaria del 6 luglio 2005, par. 147.

23 Il principio è chiaramente espresso in Corte EDU, Foti and Others v. Italy del 10 dicembre 1982,

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mario quello che siano le giurisdizioni domestiche a prendere contezza dell’elemento fat- tuale24, riservando per sé un ruolo, al più, sussidiario25. Coerentemente è stato osservato

che «human rights tribunals generally are not well designed for fact-finding in the absence of a domestic

record»26, a riprova dell’importanza del ruolo di ausiliario del giudice convenzionale che le

giurisdizioni domestiche sono chiamate a svolgere.

Questo risulta particolarmente efficace se si considera che, al fine di adire la Corte EDU, è necessario – a mente dell’art. 35 della Convenzione – aver esaurito i rimedi interni e pertanto si suppone che i giudici nazionali abbiano provveduto a creare un adeguato apparato istruttorio.

Al di là di quelle che sono le speculazioni teoriche, se si osserva da vicino l’attività istruttoria della Corte27 emerge con chiarezza un dato incontestabile: non è con essa che

la scienza attraversa le porte del Palazzo di Strasburgo. Questi sono prevalentemente uti- lizzati per altri scopi, quali le missioni, specie per vagliare le condizioni (di salute, ma non solo) dei ricorrenti.28

Nel documento Scienza e tecnica davanti alle Alte Corti (pagine 151-154)

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