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La costruzione rituale

Nel documento Modelli di regalità nell'età di Ottone I (pagine 150-158)

III. Regalità negoziata: il consenso dei principes e la mediazione dei vesco

III.4 La regina come consors regn

III.4.1 La costruzione rituale

L’ordo coronationis III136, cioè l’unico dedicato all’incoronazione della regina fra quelli inseriti nel Pontificale romano-germanico, presenta una struttura sostanzialmente semplice: una intitulatio tanto sintetica quanto chiara, Benedictio reginae, che introduce un testo composto da quattro corpose orazioni, ciascuna delle quali preceduta da una rubrica di brevissima lunghezza. L’articolazione stessa delle rubriche segna i quattro momenti salienti

134 Cfr. H. ZIMMERMAN, Canossa e il matrimonio di Adelaide, in Canossa prima di Matilde, Milano 1990, pp. 141-155.

135 Cfr. CORBET, Les Saints ottoniens cit., pp. 257-261.

136 L’edizione classica dell’ordo III è quella presente in Ordines coronationis imperialis. Die Ordines für die Weihe und Krönung des Kaisers und der Kaiserin, ed. R. Elze, MGH Fontes iuris germanici antiqui in usum scholarum IX, Hannover 1960, pp. 6-9; l’ordo è stato ripubblicato in C. VOGEL, R. ELZE, Le Pontifical

romano-germanique du dixième siècle, vol. I, Le Texte: nn. 1-98, Città del Vaticano 1963, pp. 267-269. Secondo Richard A. Jackson l’ordo III era parte integrante dell’ordo delle Sette Formule, uno degli ordines per l’incoronazione del re di area Franco-occidentale databili tra la fine del IX e l’inizio del X secolo. Per tale ragione Jackson ha pubblicato nuovamente l’ordo III come parte finale dell’ordo delle Sette Formule, ribattezzando l’insieme ordo delle Undici Formule, cfr. Ordines coronationis Franciae. Texts and ordines for the coronation of frankish and french kings and queens in the middle ages, ed. R. A. Jackson, Philadelphia 1995, vol. I, pp. 154-167. Rimane il fatto che la prima attestazione dell’ordo III, il codice 607 della Biblioteca Capitolare di Lucca datato al secolo X, ci presenta il testo come ordo indipendente, cioè non collegato ad altri ordines, all’interno del Pontificale romano-germanico, mentre il primo manoscritto a presentarlo unito all’ordo delle Sette Formule, cioè quello indicato dalla sigla MS D 1-11 conservato nella Biblioteca del Capitolo Metropolitano di Milano, è successivo, visto che è stato redatto nel secolo XI.

della cerimonia: l’ingresso nella chiesa, la benedizione davanti all’altare, l’unzione della regina e l’imposizione della corona sul suo capo.

Uno degli elementi fondamentali dell’ordo è costituito dalla raffigurazione della regina come consors regni, espressione che è stata oggetto di un lavoro pionieristico – nel metodo e nei risultati – pubblicato da Paolo Delogu nel 1964137. In aperta polemica con Carlo Guido Mor, che pochi anni prima aveva sostenuto che l’espressione consors regni era la spia linguistica dell’esistenza di un istituto giuridico, il consortium regni appunto, sul quale poggiava istituzionalmente il potere delle regine durante tutto il medioevo138, Delogu è riuscito a dimostrare con chiarezza che l’espressione consors regni ebbe carattere eminentemente letterario nelle pochissime attestazioni del secolo VII-VIII e valore politico- ideologico nella piena età carolingia, ma non fu mai il fondamento di un istituto giuridico per l’esercizio del potere politico. All’inizio del IX secolo, infatti, l’espressione consortile, tratta da autori tardo antichi, fu ripresa negli Annales Regni Francorum, nella Vita Karoli di Eginardo, nonché in alcuni capitolari e diplomi, per indicare Ludovico il Pio e Lotario I in quanto associati al trono imperiale, rispettivamente nell’813 e nell’817, e quindi assunse il carattere di generico riferimento alla successione del figlio al padre139. Dopo l’830, nel pieno della lotta fra Ludovico il Pio e i propri figli, la definizione dell’associato come

consors regni divenne, dapprima nelle opere di Agobardo di Lione e successivamente in

quelle di Pascasio Radberto, entrambi sostenitori di Lotario I, il perno ideologico delle rivendicazioni a una piena partecipazione al governo dell’impero da parte di Lotario in associazione al padre, in autori che pretendevano addirittura di teorizzare l’intervento divino nell’atto dell’associazione140. Probabilmente in risposta a queste rivendicazioni e con l’intenzione di depotenziarle, Rabano Mauro, sostenitore invece di Ludovico il Pio, collegò per la prima volta l’espressione consors regni a una figura femminile: nella Expositio in

librum Hester propose all’imperatrice Giuditta, moglie di Ludovico il Pio, il modello della

regina biblica Ester, definita appunto consors regni al momento dell’incoronazione a regina, augurando a Giuditta di risultare vincitrice sui propri nemici, cioè i figli rivoltosi, come

137 P. DELOGU, «Consors regni»: un problema carolingio, «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo» 76 (1964), pp. 47-98.

138 C. G. MOR, «Consors regni»: la regina nel diritto pubblico italiano dei secc. IX-X, «Archivio Giuridico» 135 (1948), pp. 7-32.

139 DELOGU, Consors regni cit., pp. 57-73. 140Ibidem, pp. 74-76 e 83-84.

Ester lo era stata sui propri141. Fu questa seconda accezione, che collegava l’espressione alla regina, ad affermarsi nella seconda metà del secolo IX. La stessa moglie di Lotario I, Ermengarda, e quella di Carlo il Calvo, Ermentrude, furono indicate in diverse occasioni come consors regni, senza che però l’espressione assumesse il senso di piena partecipazione all’esercizio del potere che avevano tentato di darle Agoberto e Pascasio. È solo con Engelberga, moglie dell’imperatore Ludovico II, che a partire dall’866 viene ripetutamente e sistematicamente definita consors regni in molti diplomi imperiali, che l’espressione si riempì realmente di tale significato. Difatti l’imperatrice partecipò attivamente all’azione di governo del marito compiendo in molte occasioni atti di sovranità quali la convocazione di una dieta dei grandi, la presidenza di un placito imperiale e persino la presidenza dell’assemblea che doveva decidere della successione a Ludovico II. Non a caso, dopo Engelberga, l’espressione consortile divenne la formula ufficiale per indicare la regina nel regno italico mentre scomparve quasi del tutto negli altri regna carolingi142. Questo perchè in Italia la regina continuò con alterne vicende a rivestire un ruolo attivo nel governo del regno anche nel corso della prima metà del X secolo. Fin qui Delogu; in tempi molto più recenti il tema del consorzio è stato ripreso da Janet Nelson e da Regine Le Jan che sulla base di una rinnovata sensibilità al tema, in larga misura dovuta alla gender history, ma anche grazie ai risultati delle loro ricerche sui nessi fra società, potere e ideologia in età carolingia e post-carolingia, hanno riproposto il tema dell’effettivo ruolo che rivestirono le regine in età carolingia prima e poi nei regna post-carolingi143.

Nell’ordo III la costruzione dell’immagine della regina come consors regni prende le mosse da lontano, delineando all’inizio della prima preghiera la complessità della figura femminile. Infatti, le prime parole pronunciate dai vescovi che officiano l’intero rito sono: «omnipotens sempiterne Deus (...) qui feminei sexus fragilitatem nequaquam reprobando aversaris, sed dignanter comprobando potius eligis, et qui infirma mundi eligendo fortia

141Ibidem, pp. 77-82. 142Ibidem pp. 85-96.

143 J. L. NELSON, Early medieval rites of queen-making and shaping of medieval queenship, in Queens and queenship in medieval Europe, a cura di A. J. Duggan, Woodbrige 1997, pp. 301-315 e R. LE JAN, Douaires

et pouvoirs des reines en Francie et en Germanie (VIe-Xe siècle), in Dots et douaires dans le haut Moyen Âge, a cura di F. Bougard, L. Feller, R. Le Jan, Roma 2002, pp. 457-497. Meno recente e con un approccio diverso ma egualmente interessante cfr. anche A. SPRENGLER-RUPPENTHAL, Zur Theologie der consors-

regni-Formel in der sächsischen Königs- und Kaiserzeit, «Jahrbuch der Gesellschaft für niedersächsische Kirchengeschichte» 83 (1985), pp. 85-107.

quaeque confundere decrevisti»144. Lungi dall’essere un difetto, la fragilità femminile non viene respinta da Dio con disapprovazione, bensì viene “prescelta” e benevolmente approvata da colui che, preferendo del mondo ciò che è debole ordinò che vi fosse infusa una certa forza. A questa enunciazione generale, che propone una valutazione non dicotomica dei concetti di forza e debolezza, segue immediatamente dopo il richiamo all’exemplum biblico di Giuditta: la preghiera, infatti, prosegue ricordando che Dio volle assegnare «gloriae virtutisque tuae triumphum in manu Iudith feminae olim iudaicae plebi de hoste saevissimo»145. Nel crescendo retorico della testo Giuditta viene così a incarnare, grazie al suo trionfo sul ferocissimo nemico, la fusione della fragilità con la forza che caratterizza nell’orazione la figura femminile. D’altronde è la sua stessa storia a confermarlo. Protagonista dell’omonimo libro dell’Antico Testamento, Giuditta è una bellissima vedova, pia e molto devota a Dio, che abita nella città ebraica di Betulia. Quando la città viene assediata dal potente esercito assiro inviato dal re Nabucodonosor al comando di Oloferne, Giuditta decide di agire per la salvezza del suo popolo. Si presenta allora all’accampamento assiro e, fingendo di volersi sottomettere al nemico, promette di guidare Oloferne alla vittoria. Gli racconta infatti che, a causa delle ristrettezze dovute all’assedio, i suoi concittadini mangeranno a breve non solo cibi proibiti dalla religione ebraica, ma anche le offerte votive destinate al tempio di Gerusalemme e quindi, recando offesa a Dio, perderanno il suo favore e a quel punto gli Assiri potranno avere la meglio su di loro. Oloferne, invaghito di Giuditta per la sua bellezza, crede alle parole della donna e offre un banchetto in suo onore, ma quando, al calar della sera egli, ebbro di vino, cade in un sonno profondo, Giuditta entra nella sua tenda e, recisogli il capo di netto, lo porta come trofeo ai suoi concittadini. Il giorno dopo, scoperto il cadavere di Oloferne e vista la sua testa appesa alle mura di Betulia, i guerrieri assiri sono presi dal terrore e fuggono precipitosamente finendo annientati dagli Ebrei lanciati al loro inseguimento su esortazione di Giuditta. Per questa grande vittoria Giuditta viene dapprima elogiata e ringraziata pubblicamente dal consiglio degli anziani d’Israele e poi le viene assegnata parte del bottino: ella riceve proprio la tenda di Oloferne con tutte le preziose suppellettili in essa contenute146.

144Ordines coronationis imperialis, p. 7, rr. 38-39 e p. 8, rr. 1-3. 145Ibidem p. 8, rr. 3-5.

Nel racconto biblico Giuditta assume in prima persona la funzione di capo della comunità durante una situazione critica: agisce per la salvezza non solo della sua città ma di tutto Israele e, tanto le parole degli anziani quanto l’assegnazione della tenda di Oloferne, cioè del condottiero sconfitto, che tradizionalmente spettava al comandante dell’esercito vincitore, sottolineano questo ruolo147.

Il primo modello per la regina che si incontra nell’ordo è, quindi, quello di una donna che unisce la fragilità della vedova con la forza del guerriero e la visione strategica del comandante, ma che comunque non è una regina né lo diventa dopo la sua eroica azione.

Regina è invece Ester, che la tradizione altomedievale accosta, per il ruolo salvifico svolto da entrambe in favore del popolo ebraico, a Giuditta, come è testimoniato per esempio dalle parole di Isidoro di Siviglia: «Judith et Esther typum Ecclesiae gestant, hostes fidei puniunt, ac populum Dei ab interitu eruunt»148.

Anche Ester è protagonista di un libro dell’Antico Testamento: precisamente quello che porta il suo nome. Ester è una giovane ebrea di umile condizione che vive a Susa, una delle capitali del grande regno persiano. Vasti, re Assuero, dopo aver ripudiato la moglie decide di scegliere la nuova sposa fra tutte le vergini del suo regno e, colpito dalla bellezza di Ester, la prende in moglie rendendola così regina. Quando Aman, il malvagio primo ministro, convince Assuero a emanare un editto che prevede la distruzione del popolo ebraico in tutto il regno, Ester rivolge a Dio un’accorata preghiera e si reca dal re chiedendogli di ritornare sulla sua decisione. Per amore della regina Assuero acconsente a cambiare l’editto e, in conseguenza di ciò, Aman viene giustiziato come promotore di un’azione ingiusta e gli Ebrei non solo non vengono sterminati, ma hanno anche l’occasione per uccidere i loro nemici nel regno. Questa grande vittoria, originata dall’intervento della regina Ester, viene celebrata con l’istituzione della festa di purim149.

Alla luce del racconto biblico si capisce bene perché Ester è la figura centrale della seconda preghiera dell’ordo, quella pronunciata durante la benedizione della regina presso

147Iudith 15, 9-11.

148 ISIDORI HISPALENSIS, Allegoriae quaedam sanctae Scripturae uel De nominibus legis et euangelii, in Patrologiae cursus completus, series latina, ed. J-P Migne,vol. 83, coll. 97-130, per la citazione col. 116. Per l’esegesi delle figure bibliche di Giuditta e di Ester in rapporto con l’imperatrice Giuditta, moglie di Ludovico il Pio, cfr. M. DE JONG, Bride shows revisited: praise, slander and exegesis in the reign of the

empress Judith, in Gender in the early medieval world. East and west, 300-900, a cura di L. Brubaker e J. M. H. Smith, Cambridge 2004, pp. 257-277, in particolare pp. 272-277.

l’altare. Dopo aver ricordato che Dio è il creatore di tutte le cose e che scaccia i superbi dal principato e innalza benevolmente gli umili, i vescovi esortano la misericordia di Dio «ut sicut Esther reginam Israelis causa salutis de captivitatis suae compede solutam ad regis Assueri thalamum regnique sui consortium transire fecisti, ita hanc famulam tuam N. humilitatis nostrae benedictione christianae plebis gratia salutis ad dignam sublimemque regis nostri copulam regnique sui participium misericorditer transire concedas»150. Il legame con il re e la partecipazione al regno da parte della regina, invocati dai vescovi per la salvezza del popolo cristiano, trovano una definizione inequivocabile nello specchio offerto da Ester: al pari di quest’ultima, che è passata dallo stato di servitù al matrimonio con Assuero e quindi al consortium regni, colei che è incoronata regina, secondo l’autore dell’ordo, diviene consors regni151.

Tutti gli editori e, più in generale, tutti gli studiosi che si sono occupati dell’ordo III, concordano nel ritenere che sia stato redatto nel regno dei Franchi occidentali durante la prima metà del secolo X. Elze nell’edizione degli ordines imperiali lo data «um 900» rimandando agli studi di Schramm e di Vogelsang152, ma nessuno di questi due lavori dimostra con argomenti testuali e contestuali la datazione; semplicemente entrambi gli autori lo collocano dopo gli ordines femminili sicuramente riferibili alla seconda metà del IX secolo153.

Solo di recente Janet Nelson154 ha avanzato l’ipotesi che proprio quest’ordo possa essere stato utilizzato per l’incoronazione di Gerberga, sorella di Ottone I. Difatti, dopo la morte del suo primo marito, Giselberto, duca di Lotaringia, che fu uno dei capi della prima rivolta antiottoniana, Gerberga si unì in matrimonio nel 939 con Ludovico IV d’Oltremare, re dei Franchi occidentali, e così fu consacrata regina dall’arcivescovo Artoldo di Reims. Secondo la Nelson, Artoldo stesso potrebbe essere l’autore dell’ordo III oppure potrebbe

150Ordines coronationis imperialis, p. 8, rr. 27-31, p. 9, r. 1.

151 Per l’uso di Ester come raffigurazione della regina nel regno dei Franchi occidentali cfr. F. R. ERKENS, “Sicut Esther regina” Die Westfränkische Königin als consors regni, «Francia» 20 (1993), pp. 15-38. 152 Per la datazione cfr. Ordines coronationis imperialis, p. 6 e per la discussione ELZE, Einleitung, in Ordines coronationis imperialis, p. XI, nota 3. Jackson, che pure non lo considera un ordo a se stante, come si è detto sopra nota 50, lo data pur sempre alla prima metà del X secolo: cfr. Ordines coronationis Franciae, pp. 154-156.

153 P. E. SCHRAMM, Der Ablauf der deutschen Königsweihe nach dem «Mainzer Ordo» (um 960), in Schramm, Kaiser, Könige und Päpste cit., vol. III, pp. 59-107, in particolare pp. 79-81; T. VOGELSANG, Die

Frau als Herrscherin im hohen Mittelalter. Studien zur consors regni Formel, Göttingen 1954, pp. 34-36. 154 J. L. NELSON, Early medieval rites of queen-making, cit.

aver usato un testo già presente a Reims; in entrambi i casi, comunque, l’uso per l’incoronazione di Gerberga rappresenterebbe il motivo per l’inserimento dell’ordo nel Pontificale romano-germanico155.

Ma a nostro avviso è possibile seguire anche un’altra strada: proprio la forte caratterizzazione della regina dell’ordo III come consors regni potrebbe costituire un collegamento diretto con l’arrivo di Adelaide di Borgogna alla corte ottoniana. In base agli studi di Regine Le Jan156, infatti, si può affermare che lo statuto della regina nel X secolo si configura in maniera molto differente nei tre regna scaturiti dalla dissoluzione dell’impero carolingio. Statuti diversi che si esprimono per la regina del regno italico attraverso l’uso costante, soprattutto nei diplomi, dell’espressione consors regni. In questo caso il titolo non era solo esornativo ma collegato a un dotario ricchissimo disperso su tutto il regno, che consentiva un esercizio “in proprio” della gestione di clientele e patrimoni. Le regine dei due regna d’Oltralpe, invece, non vengono mai definite consors regni e hanno a disposizione una base patrimoniale neanche lontanamente comparabile a quella delle regine italiche. Però, come notava Regine Le Jan, nel regno dei Franchi orientali il ruolo della regina subì una radicale trasformazione – “in senso italico”, si potrebbe dire – dal momento in cui Ottone I sposò Adelaide. Quest’ultima, infatti, era già stata regina del regno italico grazie al suo primo matrimonio con Lotario I157 e, in quanto tale, disponeva iure proprio di larghissimi beni fiscali nel regno158, che Ottone I provvide ad arricchire con altri beni della medesima natura nei territori d’Oltralpe dell’impero dopo il loro matrimonio159.

Alla luce di questi elementi, a nostro avviso si può avanzare l’ipotesi che l’ordo III non solo sia stato inserito nel Pontificale romano-germanico perché rifletteva l’immagine della regina come consors regni corrispondente allo statuto introdotto in Germania dall’arrivo di Adelaide, ma che quest’ordo sia stato redatto espressamente alla metà del secolo X, cioè dopo il matrimonio del 951 fra Ottone e Adelaide, utilizzando materiali della

155Ibidem, pp. 311-312.

156 R. LE JAN, Douaires et pouvoirs cit.

157 Riguardo alla data e al contesto del matrimonio cfr. la voce di ARNALDI, Adelaide, in DBI, cit.; la più recente sintesi sulle vicende politiche e istituzionali del regno italico si trova in P. CAMMAROSANO, Nobili e

re cit., pp. 139-321, in particolare sul contesto politico in cui si muove Adelaide pp. 230-256.

158 Sulle origini dell’uso di dotare le regine del regno italico con larghi beni fiscali cfr. C. LA ROCCA, Les cadeaux nuptiaux de la famille royale en Italie, in Dots et douaires dans le haut Moyen Âge, a cura di F. Bougard, L. Feller et R. Le Jan, Roma 2002, pp. 499-526 ; sul dotalizio di Adelaide e della madre Berta cfr. LAZZARI, Una mamma carolingia cit., p. 56.

tradizione liturgica franco-occidentale rielaborati, però, alla luce della nuova funzione svolta dalla regina. Difatti, nei tre precedenti ordines femminili giunti sino a noi, denominati rispettivamente ordo di Giuditta (856)160, di Ermentrude (866)161, di Erdmann (900 circa)162, ritroviamo alcuni elementi testuali presenti nell’ordo III, ma anche profonde differenze di struttura e di contenuto e, cosa più importante nel nostro caso, risalta l’assenza totale della rappresentazione della regina come consors regni. Tra questi testi solo l’ordo di Giuditta, denominato così perchè messo per iscritto in occasione delle nozze e dell’incoronazione di Giuditta, figlia di Carlo il Calvo, con il re anglosassone Etelvulfo, presenta un breve accenno alle figure bibliche di Giuditta e di Ester163, ma il contesto generale dell’ordo, in cui tale accenno si colloca, rimanda semplicemente l’immagine della regina come parte del

coniugali consortium164.

La tradizione manoscritta dell’ordo III non pone alcun problema alla nostra ipotesi: questo testo compare infatti in tutte le più antiche redazione del Pontificale romano- germanico, a partire dal codice 607 della Biblioteca Capitolare di Lucca, l’unico della seconda metà del secolo X, sia nel regno italico che Oltralpe165. La Benedictio reginae inoltre, a differenza di molti altri ordines della raccolta, non presenta mai varianti testuali significative, il che dimostra che in quell’arco di tempo non si sentì l’esigenza di una sua rielaborazione. Si può allora ragionevolmente ipotizzare per l’ordo III lo stesso percorso compositivo che si è delineato per l’ordo di Magonza, cioè una profonda rielaborazione di materiali appartenenti alla tradizione precedente alla luce del contesto politico-ideologico contemporaneo finalizzata all’inserimento nella nuova raccolta liturgica che doveva servire da modello alle chiese dell’impero.

160Ordines coronationis Franciae, pp. 73-79. 161Ibidem, pp. 80-86.

162Ibidem, pp. 143-153.

163Ibidem, p. 78: «Domine sancte, Pater omnipotens, aeterne Deus (...) qui hoc etiam unguento famulae tuae Iudith ad liberationem servorum tuorum, et confusionem inimicorum, vultum exhilarasti, et ancillae tuae

Nel documento Modelli di regalità nell'età di Ottone I (pagine 150-158)