IV. Dinastizzazione della carica regia
IV.2 La descrizione dei figl
IV.2.1 La predestinazione al trono attraverso il nome
La legittimazione alla successione passa anche attraverso la scelta del nome. O meglio, portare un certo nome può essere prova della predestinazione a regnare. È quanto sembra volerci raccontare Widukindo nel passo in cui enumera i figli nati dal matrimonio fra Ottone I e Adelaide. «Nati sunt autem regi filii ex serenissima regina primogenitus Heinricus, secundus Brun, tertius paterni nominis maiestate designatus, quem iam post patrem dominum ac imperatorem universus sperat orbis; filiam quoque sanctae matris eius vocabulo insignitam, de qua non presumimus aliquid dicere, cum eius claritas precellat omne quod dicere aut scribere valemus»36. I primi due figli, Enrico e Brunone, non presentano alcuna caratterizzazione, e con ogni probabilità ciò è dovuto alla loro morte in tenera età37. Invece Ottone II, ci dice Widukindo, è “denominato” secondo la maestà del nome paterno e l’intero orbe terraqueo spera che succeda al padre come signore e imperatore. Allo stesso modo Matilde, la futura badessa di Quedlinburg e dedicataria della
Storia dei Sassoni, non viene ricordata direttamente con il suo nome bensì con una perifrasi
che sottolinea come sia insignita del nome della santa madre di Ottone I, Matilde appunto. Ma la presentazione di Ottone II non è solo caratterizzata dalla sottolineatura della omonimia con il padre: ancora più rilevante è, a nostro avviso, l’uso del verbo designare. In
36WIDUKINDIRes Gestae Saxonicae, lib. III cap. 12.
37 Enrico, nato nel 953, morì a pochi mesi dalla nascita, mentre il secondogenito Brunone nel 957, cfr. Ibidem p. 110, note 7 e 8.
tutta l’opera di Widukindo, questo verbo ricorre più volte: una sola è usato nell’accezione di “indicare, stabilire” un luogo, per la precisione la città di Augusta come sede per la stipula di un patto38, mentre in tutte le altre occorrenze designare è sempre riferito ai termini rex o
imperator, diventando quasi un’espressione tecnica per indicare colui che è stato scelto per
governare. A nostro avviso è questo il senso che Widukindo voleva dare alla presentazione di Ottone II: denominato secondo la maestà del nome paterno e proprio per questo già designato dalla maestà di Ottone I a succedergli come dominus et imperator.
Ma una forma di legittimazione di questo tipo, cioè basata direttamente sul potere decisionale di Ottone I, contrasta profondamente con la visione della regalità espressa da Widukindo nella sua opera. Tale visione, infatti, è fondata sulla compresenza di più elementi, primo fra tutti il ruolo dei principes come depositari del potere regio, enunciati, come abbiamo già visto, in maniera piuttosto evidente nel racconto dell’incoronazione regia di Ottone I39. Proprio il largo spazio narrativo dato a questa cerimonia fa risaltare maggiormente, nella Storia dei Sassoni, l’assenza di una qualsiasi descrizione dell’incoronazione regia di Ottone II, avvenuta nel 961, di cui invece siamo informati succintamente ma con dovizia di particolari sia da Ruotgerio sia da Adalberto40.
Che valore bisogna dare a questo silenzio? A nostro avviso deve essere interpretato come segno del rifiuto del meccanismo dell’associazione al trono che l’incoronazione del 961 rendeva operante, perché tale meccanismo limitava fortemente, nei fatti, la capacità di intervento dei principes nella scelta e nella legittimazione del nuovo re41.
Persino Liutprando infatti, nonostante esprima con grande chiarezza la propria adesione alle scelte di Ottone, per quanto attiene all’affermazione del diritto dinastico nella successione alla carica regia da parte del figlio, non può fare a meno di notare nell’Historia
Ottonis che l’incoronazione regia di Ottone II avviene contram morem. Nel racconto di
Liutprando, infatti, è solo dopo aver ricevuto le richieste d’aiuto di papa Giovanni XII e di alcuni vescovi e grandi del regno italico che si lamentavano dei soprusi di Berengario II,
38 WIDUKINDIRes Gestae Saxonicae lib. III, cap. 10: «interea rex (Ottone I) regem alloquitur, in gratiamque regis ac reginae susceptus deditionis sponsionem dat foederisque spontanei diem locumque apud urbem Augustanam designas».
39 Cfr. supra cap. III.2.3
40 RUOTGERI Vita Brunonis, cap. 41, p. 43 e ADALBERTIContinuatio, anno 961, p. 171.
41 Sull’associazione al trono come forma per imporre la dinastizzazione della carica regia cfr. P. DELOGU, «Consors regni»: un problema carolingio, «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo» 76 (1964), pp. 47-98, e in particolare pp. 69-85.
Adalberto e Villa, che Ottone, decisosi a intervenire, prima fa incoronare re suo figlio, Ottone II, e poi scende in Italia: «Horum itaque rex piissimus lacrimosis questibus inclinatus, non quae sua, sed quae Iesu Christi sunt cogitans, filium suum sibi aequivocum contra morem puerilibus in annis regem constituens, eum in Saxonia dereliquit; ipse, collectis copiis, Italiam percitus venit»42. La formulazione lascia un margine di ambiguità, però, nell’interpretazione dell’espressione: contram morem era il fatto che un padre potesse
constituere regem il proprio figlio o che questi fosse ancora minorenne? Forse erano
entrambe le circostanze a concorrere nel creare un’anomalia, intenzionale, che imponeva alle altre componenti politiche del regno il principio di successione dinastica: l’espressione di Liutprando potrebbe allora voler soltanto sottolineare la “novità” della pratica e non invece esprimere una critica contro essa.
La designazione del proprio successore da parte del re in carica era una componente necessaria del rituale secondo la concezione di Widukindo, ma essa viene raffigurata sempre quando il re è sul letto di morte, come attestano i precedenti casi di Corrado I con Enrico I e di quest’ultimo nei confronti di Ottone I. Tale designazione era accettabile anche in forma testamentaria, perché comunque si riferiva a un momento futuro, successivo cioè alla morte del re, come dimostra il fatto che Widukindo non tace il fatto che «post excessum Edidis reginae omnem amorem maternum transfudit rex (scil. Ottone I) in unicum filium suum Liudulfum, factoque testamento creavit eum regem post se»43. E in questo caso bisogna anche notare che Widukindo depotenzia lo status regio di Liudolfo usando un verbo, creare, che non ricorre mai nella sua opera con il significato istituzionale di costituire un nuovo re. Ma una conferma alla nostra interpretazione del voluto, e ostile, silenzio sull’incoronazione del 961 sembra arrivare dall’ultimo capitolo dell’opera, dove leggiamo: «mane autem iam facto, licet iam olim unctus esset in regem et a beato apostolico designatus in imperatorem, spei unicae totius ecclesiae, imperatoris filio (scil. Ottone II), ut initio certatim manus dabant, fidem pollicentes et operam suam contra omnes adversarios sacramentis militaribus confirmantes. Igitur ab integro ab omni populo electus in principem transtulit corpus patris in civitatem, quam ipse magnifice construxit, vocabulo Magathaburg»44.
42 LIUTPRANDIHistoria, cap. 2.
43 WIDUKINDIRes Gestae Saxonicae lib. III, cap. 1. 44Ibidem lib. III, cap. 76.
Widukindo ci racconta che Ottone II, nonostante in passato sia già stato unto re e anche creato imperatore dal papa, nel giorno della sepoltura di suo padre riceve l’immixtio
manuum e il giuramento di fedeltà da parte dei principes. E con questo atto viene
nuovamente costituito re dall’assemblea dei grandi del regno. Alla fine della sua opera Widukindo sembra voler ribadire che l’associazione al trono del 961, qui indicata attraverso uno degli atti più caratterizzanti dell’incoronazione, cioè l’unzione45, non era sufficiente per garantire la legittimità della successione di Ottone II e che ogni successione doveva essere confermata dai principes nel momento stesso in cui si realizzava.
Si deve quindi arrivare alla conclusione che Widukindo, anche quando prospetta una legittimazione di tipo dinastico che passa attraverso la scelta del nome, come nel caso di Ottone II, non manca di riaffermare l’importanza, anzi la centralità dei principes come elemento ineludibile per la costruzione della legittimità regia.
A questo punto si può tentare qualche riflessione più generale. Nonostante rappresenti un caso isolato nel panorama delle nostre fonti, il passo di Widukindo sui figli di Ottone I e Adelaide dimostra comunque che all’interno di una fonte narrativa la scelta onomastica poteva rientrare fra gli strumenti utilizzati per la costruzione della legittimazione regia, o anche solo per la predestinazione a un certo tipo di vita. Potrebbe essere questo, infatti, il senso che si cela dietro l’indicazione dell’omonimia fra la figlia di Ottone I e la santa madre del re, entrambe chiamate Matilde. La figlia di Ottone, infatti, fu cresciuta in monastero e a soli undici anni divenne la prima badessa della comunità di canonichesse di Quedlinburg, proprio quella comunità fondata nel 936 dalla nonna e da lei retta in maniera informale durante il trentennio della sua vedovanza, cioè fino a quando non le subentrò l’omonima nipote come badessa46.
Uscendo dai testi, invece, risulta molto più problematico cercare di ricostruire le strategie che stanno alla base delle scelte onomastiche in relazione alla predestinazione dei figli. Nel X secolo – ma non solo – ci si scontra infatti con la scarsità delle fonti documentarie dalle quali ci si aspetterebbe un contributo “oggettivo” alla ricostruzione dei gruppi parentali e che invece sono il frutto di precise scelte al pari delle fonti narrative. Queste ultime poi
45 G. M. CANTARELLA, Le sacre unzioni regie, in Olio e vino nell'alto medioevo, LIV Settimana di studio del Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo, Spoleto 2007, vol. II, pp. 1291-1329.
46 Sulle vicende biografiche della madre e della figlia di Ottone I cfr. GLOCKER, Die Verwandten der Ottonen cit., rispettivamente alle pp. 7-18 e 201-211.
quando pure forniscono delle rappresentazioni familiari ampie, come nel caso di Widukindo, le costruiscono a rovescio, cioè fornendo una immagine delle generazioni precedenti funzionale al loro presente, cioè funzionale agli interessi dell’autore e quindi calata interamente nella realtà a lui coeva47. Questo vale anche per la scelta dei nomi che può essere il frutto di una selezione a posteriori, operata tacendo il nome di un determinato antenato o addirittura facendo passare sotto silenzio la sua esistenza. Persino il tentativo di rintracciare all’interno delle famiglie altomedievali il principio dell’uso del nome del nonno per il primogenito fra i nipoti48 è frustrato dall’impossibilità di avere dalle fonti dati affidabili sull’ordine di genitura. E anche quando si posseggono più dati il meccanismo non appare chiaro: perché l’unico figlio maschio di Ottone I ed Edith porta il nome del bisnonno, cioè Liudolfo, e non del nonno, Enrico, mentre il primogenito nato da Ottone I e Adelaide viene chiamato Enrico? Forse perché Liudolfo aveva un fratello maggiore che portava questo nome di cui non ci è tramandata la memoria oppure perché nel suo caso si era seguito un principio diverso nella scelta del nome?49 Allo stesso tempo la mancanza di ogni informazione sul momento in cui veniva imposto il nome ai nascituri e la mortalità molto elevata di questi ultimi nei primi anni di vita non ci permettono di dire con certezza se un determinato nome non compare in una generazione per una precisa scelta oppure se il
47 Cfr. G. ALTHOFF, Genealogische und andere Fiktionen in mittelalterlicher Historiographie, in Fälschungen im Mittelalter. Internationaler Kongreß der Monumenta Germaniae Historica, Hannover 1988, vol. 1, pp. 417-441.
48 Sul problema della trasmissione del nome in rapporto alla primogenitura cfr. il fondamentale saggio K. F. WERNER, Liens deparenté et noms de personne. Un problème historique et méthodologique, in Famille et parenté dans l'Occident médiéval, Paris 1977 pp. 13-18 e pp. 25-34, e G. ALTHOFF, Namengebung und
adliges Selbstverständnis, in Nomen et Gens. Zur historischen Aussagekraft frühmittelalterlicher Personennamen, a cura di D. Geuenich, W. Haubrichs, J. Jarnut, Berlin-New York 1997, pp. 127-139. Ma anche R. LE JAN, Famille et pouvoir dans le monde franc (VIIe – Xe siècle). Essai d’anthropologie sociale, Paris 1995, dove un intero capitolo è dedicato a Identifier les parents: le mode de dénomination, pp. 179- 223. Per il problema specifico della trasmissione dei nomi nell’ambito delle famiglie regie cfr. in particolare le pp. 200-206, dove si osserva che a partire dal regno di Carlo Martello in avanti non si assiste più a variazione dei nomi nell’ambito di quegli eredi che sono destinati a governare, per poi concludere che: «Le modèle anthroponymique royal s’étai donc défini en fonction du mode de trasmission du regnum: il correspondait exactement à un système de monopole par lequel une seule famille royale, fermée sur elle- même malgré ses alliances, étendait sa domination sur un vaste empire».
49 Cfr. LE JAN, Famille et pouvoir cit., p. 214, dove si attribuisce alla famiglia ottoniana un modello antroponimico strettamente patrilineare. Secondo l’autrice, tanto i figli maschi quanto le figlie femmine ricevettero infatti nomi soltanto dalla linea dei loro ascendenti paterni, escludendo completamente l’apporto femminile alla denominazione degli eredi: «le système anthroponymique ottonien s’adapta donc au mode de transmission du pouvoir royal en se fermant sur lui-meme». A differenza però di quanto caratterizzava le pratiche onomastiche carolingie del secolo IX, cioè l’esclusività dell’onomastica regia per i membri della famiglia regnante, i nomi caratteristici del lignaggio ottoniano si diffusero attraverso un’abbondante parentela cognatizia, esprimendo da un lato, certo, il prestigio e l’egemonia degli Ottoni, ma dall’altro anche la necessità di assicurare al potere ottoniano «une base cognatique solide et large».
membro che ha ricevuto quel nome è morto da bambino e nessuna fonte ne ha registrato l’esistenza o il nome.
Per esempio, tornando agli Ottoni, ci risulta molto difficile seguire Gerd Althoff nell’ipotesi che il nome Brunone venga utilizzato solo per i figli destinati alla carriera ecclesiastica e non per quelli destinati a esercitare funzioni di governo, ipotesi fondata semplicemente sul fatto che il duca Brunone, fratello maggiore del nonno di Ottone I, era morto in battaglia subendo una pesante sconfitta contro i normanni50. A conferma di questa ipotesi vi sarebbe il fatto che il suo nome fu assegnato al fratello minore di Ottone I, Brunone arcivescovo di Colonia, e due generazioni dopo al fratello, probabilmente anch’egli minore, di Enrico II, Brunone vescovo di Augusta, ma bisogna ricordare che prima di quest’ultimo siamo a conoscenza di almeno altri due membri della casata insigniti di questo nome: il secondogenito di Ottone I e Adelaide e un figlio di Enrico, fratello di Ottone I, entrambi morti durante la prima infanzia51. Siamo proprio sicuri che se fossero sopravvissuti sarebbero diventati anche loro ecclesiastici? In altre parole, è proprio vero che il nome imposto loro esprimeva la volontà di escluderli dalla possibilità di diventare, rispettivamente, re e duca di Baviera?