IV. Dinastizzazione della carica regia
IV.1 La rappresentazione della parentela Liudolfingio-ottoniana
IV.1.3. La novitas: la dinastia legittima i re
È nelle due narrazioni più “interne” all’ambito della famiglia, quelle scritte da donne, Rosvita e l’anonima autrice della Vita antiquior, che la costruzione dinastica della parentela diventa esplicita e, con essa, anche la legittimazione implicita che l’appartenenza a tale linea dinastica attribuisce ai singoli suoi membri a diventare re24.
In Rosvita infatti la famiglia è rappresentata riducendo al minimo i rapporti e gli apporti orizzontali, sottolineando invece la linea agnatizia attraverso la quale passano di padre in figlio gli honores. Il racconto inizia con Enrico I che è già re, il primo re dei Sassoni, che viene presentato quale figlio dell’illustre duca Ottone. Della moglie di Enrico,
22 ADALBERTIContinuatio, anno 911, p. 155.
23Ibidem, anno 936, p. 160: «Heinrucus rex, precipuus pacis sectator strenuusque paganorum insecutor, post plures fortiter et viliriter actas victorias dilatatis undique sui regni terminus VI Non. Iul. diem clausit extremum, cui filius suus Otto consensu primorum regni successor eligitur».
24 Per il ruolo dei monasteri femminili, in particolare di Ganderheim e Quedlinburg, nella costruzione della memoria dinastica degli Ottoni cfr. G. Althoff, Gandersheim und Quedlinburg. Ottonische Frauenklöster als Herrschafts - und Uberlieferungszentren, «Frühmittelalterliche Studien» 25 (1991), pp. 123-44.
Matilde, non sono menzionati gli ascendenti mentre, immediatamente dopo l’esordio, vengono presentati i figli della coppia: sono tre come la trinità che li ha concessi loro25. In questa presentazione Rosvita compie un’intenzionale selezione: elenca solo i tre figli maschi, Ottone, Enrico e Brunone, tagliando fuori le due figlie femmine, Gerberga e Hadwig. L’intenzionalità di tale selezione risalta con maggior forza in rapporto al fatto che Rosvita dedica in tutta l’opera molto spazio alle figure femminili.
Inoltre, la specifica annotazione con la quale Rosvita impone un ordine gerarchico ai tre fratelli: i figli sono tre, ma due sono destinati a essere sottoposti a uno solo - ovviamente Ottone! -, potrebbe riferirsi a una concezione "gerarchica" della Trinità nella dottrina del decimo secolo, cioè con Dio padre al vertice e Cristo e lo Spirito Santo a lui sottoposti, usata metaforicamente dall'autrice per giustificare i diversi ruoli dei tre figli di Enrico. Ma anche se ciò non fosse, comunque Rosvita impone al testo un'interpretazione di tal fatta, volta a giustificare, grazie alla massima fonte di autorità possibile, il principio dinastico che intende imporre alla rappresentazione della parentela.
Nei Gesta Ottonis, più avanti, vengono presentati i figli di Ottone I: anche in questo caso sono solo tre. Ma a differenza del quadro “trinitario” tracciato per la discendenza di Enrico I, manca un analogo quadro unitario dei figli di Ottone. Guglielmo, che era figlio di una concubina di cui non si conosce il nome, compare solo nella lettera dedicatoria a Gerberga, Ottone II è nominato solo alla fine dell’opera, nel sunto delle imprese imperiali che Rosvita avrebbe potuto ma non volle raccontare, mentre Liudolfo è largamente presente in tutta l’opera, per di più come il figlio, amato dal padre, destinato a succedergli26. Quando si ragiona sui Gesta Ottonis bisogna sempre ricordarsi delle due ampie lacune testuali, la prima delle quali copre gli anni in cui si colloca la nascita di Ottone II e di Matilde, i figli di Adelaide. Rosvita però, raccontando il matrimonio fra Ottone e Adelaide, non fa menzione in quel contesto della nascita dei figli, venendo meno così a un consueto schema narrativo, cioè la menzione del matrimonio seguita subito dalla presentazione dei figli della nuova coppia, uno schema che ella stessa aveva adoperato sia per Enrico e Matilde, sia per Ottone ed Edith. Quindi, sebbene possa rimanere il dubbio che, nella lacuna, Rosvita avesse tracciato una presentazione unitaria anche dei figli di Ottone e Adelaide, resta il fatto che
25 Sulla stretta connessione che lega la rappresentazione dinastica della famiglia regia con il fondamentale apporto legittimante dell’intervento divino si è detto supra, paragrafo II.1.3.2.
non lo fece nel momento topico secondo le strutture narrativo-retoriche da lei stessa utilizzate.
Infatti, più avanti, insieme con il matrimonio fra Ottone e la sua prima moglie, Edith, viene subito presentato Liudolfo, figlio della coppia, mentre soltanto in seguito trova posto la menzione della figlia di Edith e Ottone, Liudgarda, nel momento in cui, cioè, viene narrata la morte di Edith, cui segue dopo poco il racconto delle unioni fra Liudolfo e Ida, figlia di Ermanno, duca di Svevia, e della stessa Liudgarda con Corrado, duca di Lotaringia, come a dar conto della prosecuzione di una specifica linea familiare, quella dei figli di primo letto di Ottone, che, scomparendo di fatto con la morte della donna e il successivo nuovo matrimonio di Ottone, dall’ambito del ramo principale della famiglia, quello che si trasmette la carica regia, non cessa per questo di esistere.
Ma i rami collaterali, in una rigida ricostruzione dinastica, non possono avere rilievo: in precedenza Rosvita aveva già raccontato l’unione fra Enrico, fratello di Ottone, e Giuditta, figlia del duca Arnolfo di Baviera, senza far menzione però di nessuno dei loro figli, nemmeno di quella Gerberga che, badessa a Gandersheim, era la committente dello stesso poema. Gerberga che, però, è la protagonista della lettera dedicatoria dove compare anche Guglielmo, arcivescovo di Magonza, figlio naturale di Ottone I, che nell’epistola è indicato come familiarissimus della badessa Gerberga: presenze note all’autrice, importanti, ma che non possono trovare una collocazione “interna” alla discendenza nel corpo della narrazione.
Come nel poema di Rosvita anche nella Vita antiquior vi è un’accentuata rappresentazione dinastica della parentela, una rappresentazione costruita sulla linea che dal duca Ottone arriva fino a Ottone II, passando per il nonno Enrico I e il padre Ottone I. E questo, nonostante nel racconto si riscontri un’altissima presenza di figure femminili: al contrario di quanto ci si potrebbe attendere, la massiccia presenza di donne non comporta uno sviluppo in senso orizzontale della rappresentazione familiare.
L’opera, infatti, si apre con la presentazione del duca Ottone e della sua consorte Hadwig: unico caso in tutte le nostre fonti in cui compare - e per di più anche con l’indicazione del nome - la madre di Enrico I27. Subito dopo aver raccontato del matrimonio fra il duca Ottone e Hadwig si dice che: «his filie procreatur et tres filii, quos propria
parentes educabant nobilitate. Sed divina providentia ad bonum dirigens cuncta, quae disponit, horum unum nomine Heinricum maiori sustulit excellentia, qui, quamvis etate minimus, morum tamen probitate inter ceteros primus enituit»28. L’autrice indica con chiarezza la presenza di altri figli, ma senza menzionarne i nomi e, quindi, non dando identità specifica ai fratelli e alle sorelle di Enrico, fa di quest’ultimo l’unico vero discendente del duca Ottone, attribuendo per di più questa scelta alla divina providentia.
In modo ancora più ampio siamo informati su Matilde, anche sui suoi ascendenti: quando quest’ultima arriva sulla scena ci viene innanzitutto detto che traeva origine dalla stirpe di Widukindo, il duca di Sassonia che aveva combattuto a lungo contro Carlo Magno. Dopo l’excursus che ci racconta dell’aspra lotta fra i due capi, sono indicati i genitori di Matilde, Teoderico e Reinhild. Di entrambi quindi veniamo a sapere il nome proprio, e della madre anche l’origine etnica: «Reinhild a Fresonum Danorumque genere progrediens»29. Ancora una volta questa è l’unica delle nostre fonti che menzioni la madre di Matilde, specificandone anche il nome, così come è l’unica che ci informa del fatto che la nonna paterna, di cui però non fa il nome30, era la badessa del monastero di Herford dove Matilde era stata mandata per essere educata31.
Proseguendo nel racconto si arriva alla presentazione dei figli di Enrico I e Matilde. Insieme con Ottone, Enrico e Brunone nella Vita antiquior compare anche una figlia, Gerberga, la cui presenza comunque non spezza lo schema basato sul tre, che caratterizza tutti i quadri dei figli di Enrico e Matilde nelle altre nostre fonti. Gerberga difatti non viene indicata al giusto posto di genitura, cioè il secondo, bensì è citata dopo la serie dei tre fratelli e quindi costituisce una semplice aggiunta allo schema trinitario che, in sostanza, viene riproposto immutato. Comunque rimane il fatto che questa è l’unica occasione, nelle nostre fonti, in cui una figlia viene affiancata alla presentazione dei tre fratelli. Ma in questo passo fa la sua prima comparsa anche un’altra donna, Edith, la prima moglie di Ottone. Subito dopo averci detto che quest’ultimo avrebbe preso la corona del regno alla morte del padre, cioè Enrico I, il destino regio di Ottone sembra essere sottolineato proprio dalla
28Ibidem, pp. 111-112. 29Ibidem, p. 114.
30 Nella Vita Mathildis reginae posterior invece la nonna paterna, badessa di Herford, porta lo stesso nome della nipote, cioè Matilde; cfr. ibidem p. 150.
presenza di Edith, definita regalis coniux in quanto appartenente alla stirpe dei re anglosassoni32.
Per completare il quadro delle donne della famiglia regia rappresentate nell’opera bisogna soffermarsi sul racconto della prima spedizione in Italia (951) di Ottone I. Dapprima incontriamo Adelaide, vedova del defunto re d’Italia, oppressa da Berengario II, che viene tratta in salvo dall’intervento di Ottone. Dopo averla portata con sé in Sassonia Ottone, rimasto vedovo, la sposa e dal matrimonio nascono due «filii utrius sexus pulcherrimi»: una femmina di nome Matilde, come la nonna, e un maschio omonimo del padre, cioè Ottone II33. Se la presenza di Adelaide non ci stupisce visto che compare in quasi tutte le nostre fonti (con la solita eccezione di Ruotgerio), quella di Matilde è più significativa. Tra i nostri autori, infatti, essa compare solo in Widukindo - non però nella narrazione bensì nei prologhi visto che Matilde è la dedicataria della Storia dei Sassoni -, ma la cosa più sorprendente è che nella Vita antiquior la presentazione di Matilde e Ottone II segue l’effettivo ordine di nascita: prima la figlia femmina e poi il maschio, nonostante quest’ultimo fosse l’imperatore regnante nel momento in cui la Vita veniva messa per iscritto, cioè fra il 973 e il 98334.
D’altronde l’ultima donna della famiglia regia a essere indicata nell’opera è proprio la moglie del giovane imperatore Ottone II, la principessa bizantina Teofano che, al pari di Edith, viene denominata regalis coniux nelle ultime pagine della Vita35. Ancora una volta è la Vita antiquior l’unica fonte a ricordare il nome di Teofano, visto che Widukindo racconta del suo matrimonio con Ottone II senza però nominarla.
Tale attenzione nei confronti di Matilde potrebbe essere spiegata dal fatto che la Vita è stata scritta sotto il regno di Ottone II e quindi è piuttosto prevedibile un interesse particolare per la sorella dell’imperatore in carica. L’epoca di stesura, d’altronde, potrebbe gettare luce anche sul silenzio riguardo la moglie e i figli di Enrico. Sappiamo infatti che questi aveva sposato Giuditta, figlia di Arnolfo duca di Baviera, e da lei aveva avuto tre figli: Enrico, Gerberga e Hadwig. Enrico è l’unico personaggio laico rappresentato nella
Vita antiquior di cui non si da conto né del matrimonio né della prole. Una mancanza,
32Ibidem, pp. 119-120.
33Ibidem, pp. 125-126, per la citazione p. 126.
34 Sull’ordine di genitura cfr. KELLER, Ottonen cit. p. 19 e poi GLOCKER, Die Verwandten der Ottonen cit., p. 201.
evidentemente, frutto di una scelta deliberata dell’autrice: ci sembra allora possibile avanzare l’ipotesi che, così come è passata sotto silenzio l’esistenza dei figli di Edith che con Liudolfo avevano rappresentato la prima discendenza legittima di Ottone I, rimpiazzata poi con i figli di Adelaide, per lo stesso motivo si tace anche la presenza dell’unico ramo - all’epoca di Ottone II solo potenzialmente - alternativo rispetto alla discendenza dinastica degli Ottoni. Un’alternativa, però, più che reale: alla morte senza eredi di Ottone III, infatti, proprio tale ramo finirà col sostituirsi, con Enrico II, alla discendenza patrilineare degli Ottoni.