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I Rerum gestarum Saxonicarum libri tres di Widukindo di Corvey

La Storia dei Sassoni, come vengono comunemente chiamati i Rerum gestarum

Saxonicarum libri tres93, è una delle opere maggiormente studiate, analizzate e discusse dalla storiografia tedesca nel corso degli ultimi due secoli94. Costituisce, infatti, la fonte più ricca e articolata di area germanica per la ricostruzione (e l’interpretazione) delle vicende di un periodo considerato fondativo dalla cultura tedesca: quel X secolo che vide l’affermazione della dinastia sassone prima nel regno di Germania e poi al vertice dell’impero95.

La Storia dei Sassoni è una narrazione che pare ricalcare dal titolo e dalla struttura il modello delle historiae gentium altomedievali, ma che ha un diverso nucleo contenutistico, ossia la storia dell’azione politico-militare dei principali membri della dinastia liudolfingio ottoniana fino alla morte di Ottone I.

Le origini della gens Saxonum e il suo arrivo in Germania, le lotte per l’ampliamento dei suoi territori contro i Turingi e l’instaurarsi di un rapporto privilegiato di alleanza con i Franchi, illustrato attraverso il lungo excursus dedicato allo scontro fra Tiadrico, mitica trasposizione di Teodorico, re dei Franchi figlio di Clodoveo, e Irminfrido, re dei Turingi, risoltosi a favore del primo grazie all’intervento militare dei Sassoni96 sono compressi in appena quindici capitoli sui quarantuno che compongono il primo libro. Il breve racconto della conversione dei Sassoni compiuta da Carlo Magno «nunc blanda suasione, nunc

93 WIDUKINDI MONACHI CORBEIENCIS Rerum Gestarum Saxonicarum libri tres, ed. P. Hirsch – H. E. Lohmann, MGH Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum separatim editi 60, Hannover 1935. 94 Per una panoramica degli studi dedicati all’opera si veda H. BEUMANN, Widukind von Korvei. Untersuchungen zur Geschichtsschreibung und Ideengeschichte des 10. Jahrhunderts, Weimar 1950 e H. KELLER, Widukinds Bericht über die Aachener Wahl und Krönung Otto I, «Frühmittelalterliche Studien» 29 (1995), pp. 390-453, entrambi con abbondante letteratura citata in nota.

95 Sull’importanza degli Ottoni e del X secolo nella coscienza nazionale tedesca del XIX e XX secolo cfr. H. KELLER, Die Ottonen, München 2001, pp. 7-13.

96 Così lungo da occupare ben cinque capitoli sui quindici che compongono questa parte: cfr. WIDUKINDI Res Gestae Saxonicae, lib. I, capp. 9-13. Sul racconto delle vicende di Tiadrico e Irminfrido e sulle sue fonti letterarie cfr. M. GIESE, Einleitung, in Annales Quedlinburgenses, ed. M. Giese, MGH Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum separatim editi 72, Hannover 2004, pp. 101-121.

bellorum impetu»97 chiude questa prima parte di “mitologia” storica del passato sassone. Dal sedicesimo capitolo in avanti si dilatano i tempi narrativi del racconto proprio perché esso si concentra sulle gesta dei membri della dinastia liudolfingia prima di Ottone I: il rifiuto della corona di Germania da parte di Ottone, duca di Sassonia, in favore del duca di Franconia, Corrado; e poi, fino alla fine del primo libro, le azioni di Enrico I, figlio del duca Ottone. Assistiamo così all’ascesa di Enrico al ducato di Sassonia, ottenuto però solo dopo un aspro scontro con re Corrado, e alla sua elevazione al trono di Germania, poi alla conquista del regno di Lotaringia da parte del nuovo re, ma sopratutto agli scontri con gli Ungari, dapprima arginati con una tregua e poi sconfitti in campo aperto e, in conclusione del primo libro, alla morte e sepoltura di Enrico a Quedlinburg. Il resto dell’opera è dedicata interamente alle vicende del regno di Ottone I, che non vedono però il re come unico protagonista ma la cui narrazione dà largo spazio e spessore soggettivo alla maggior parte dei grandi del regno. Nel secondo libro, che si apre con l’incoronazione regia del 936 e prosegue fino alla morte di Edgith, la prima moglie di Ottone, nel 946, sono descritti con grande articolazione gli schieramenti in cui si divisero i membri della famiglia regia e dell’alta aristocrazia tedesca durante le numerose rivolte antiottoniane capeggiate da Tankmar, figlio di primo letto di Enrico I, e da Enrico, fratello minore di Ottone, e anche i ripetuti cambiamenti di fronte di alcuni protagonisti. Anche il terzo libro, che si apre con l’indicazione che Ottone fece di Liudolfo, il suo primogenito, come proprio successore, databile al 946, nonostante sia largamente dedicato alle imprese militari di Ottone al di fuori del regno, dedica comunque molti capitoli alla descrizione delle dinamiche politiche interne che portarono a una seconda rivolta aristocratica, con la quale si tentò di porre sul trono proprio il giovane Liudolfo al posto di Ottone. Le campagne militari rivolte al di fuori, o a difesa, dei confini del regno vedono in primo luogo la spedizione in soccorso di Luigi IV d’Oltremare nel regno dei Franchi occidentali, poi quelle contro le popolazioni slave dell’Europea orientale, ma soprattutto i numerosi scontri con gli Ungari, culminati nella vittoria riportata da Ottone al Lechfeld, che occupa molte pagine e un posto centrale nella impostazione ideologica dell’opera98. Poco spazio narrativo è invece dedicato alle due spedizioni nel regno italico contro Berengario II e al matrimonio fra Ottone e Adelaide, vedova di Lotario, re d’Italia, che nelle poche citazioni presenti nell’opera non viene mai

97 WIDUKINDIRes Gestae Saxonicae, lib. I, cap. 15.

indicata col nome proprio ma semplicemente con la qualifica non meglio specificata di

regina. Se per tali scelte compositive una prima spiegazione può essere indicata

nell’orizzonte geografico dell’opera, che risulta essere prevalentemente continentale, l’assenza nella narrazione di una qualsiasi menzione dell’incoronazione imperiale di Ottone I, svoltasi a Roma nel 962, e della lunga e aspra disputa riguardo l’elevazione ad arcivescovado della sede di Magdeburgo richiede un’analisi che per la sua ampiezza non possiamo che rimandare ai capitoli successivi99. Nonostante tale assenza Magdeburgo fa da sfondo alla conclusione dell’opera: dopo la morte che lo coglie il 7 maggio del 973 a Memleben, Ottone I viene trasportato e seppellito nella città che dopo tanti sforzi era riuscito a trasformare in arcidiocesi.

Nonostante la ricchezza contenutistica dell’opera, sono scarse le notizie che possediamo riguardo la vita e l’attività del suo autore. Tra queste, però, possiamo annoverare con ragionevole certezza il suo nome, Widukindo, e la sua condizione, monaco dell’abbazia di Corvey. Infatti, nella lettera dedicatoria posta in apertura alla Storia dei

Sassoni si presenta lui stesso come «ultimus servulorum Christi martyrum Stephani atque

Viti, Corbeius Widukindus»100. Il suo nome e la sua condizione monastica trovano conferma, inoltre, nella presenza di un monaco di nome Widukindo in una lista di monaci, redatta nel X secolo nell’abbazia di Corvey e inserita poi in un Verbrüderungsbuch dell’abbazia di Saint-Bertin-Sithiou, nonché in due liste di abati e monaci, redatte sempre a Corvey rispettivamente nel X/XI e alla metà del XII secolo. In queste ultime due il nome di Widukindo è stato inserito al penultimo posto fra quelli dei circa cinquanta monaci entrati a Corvey durante l’abbaziato di Folcmaro. Siccome quest’ultimo fu abate di Corvey nel periodo che va dal 917 al 942 è possibile ipotizzare l’ingresso in monastero di Widukindo intorno al 940101.

Altre informazioni ci vengono fornite nel capitolo iniziale del primo libro dallo stesso Widukindo, che parlando direttamente al lettore afferma: «Post operum nostrorum primordia, quibus summi imperatoris militum triumphos declaravi, nemo me miretur principum nostrorum res gestas litteris velle commendare; quia in illo opere professioni meae, ut potui, quod debui exolvi, modo generis gentisque meae devotioni, ut queo,

99 Cfr. infra V.1

100 WIDUKINDIRes Gestae Saxonicae, lib. I, proemio. 101 BEUMANN, Widukind von Korvei cit., pp. 35-41.

elaborare non effugio»102. Grazie a questo passo veniamo quindi a sapere che Widukindo aveva già composto delle opere al momento della stesura della Storia dei Sassoni, e che queste ultime dovevano essere di argomento religioso visto che il nostro autore le aveva scritte per assolvere ai doveri della sua professio, cioè della sua condizione monastica. L’indicazione che in queste opere si mostravano i summi imperatoris militum triumphos sembra rimandare a scritti agiografici, dove i santi venivano spesso descritti come combattenti della fede al servizio di Dio. Ma non si potrebbe dire niente di più se non ci venisse in soccorso un passo del Liber de scriptoribus ecclesiasticis di Sigeberto di Gembloux in cui si afferma che Widukindo avrebbe composto «metrice passionem Theclae virginis, et vitam Pauli primi eremitae altero stylo»103. Grazie a questi elementi, quindi, non ci sembra una forzatura sostenere l’ipotesi che Widukindo, così come abbiamo già visto fare a Rosvita, si fosse cimentato in opere agiografiche in versi sui primi santi e martiri cristiani prima di dedicarsi al racconto delle vicende ottoniane a lui più vicine.

Ma il primo capitolo della Storia dei Sassoni ci dice anche altro. Innanzitutto che in quest’opera saranno raccontate le azioni politiche e militari dei grandi del regno (principum

nostrorum res gestas), e poi che Widukindo affronta questo oneroso impegno per non

sfuggire alla devozione che prova verso la sua stirpe e il suo popolo (generis gentisque

meae). Con quest’ultima affermazione Widukindo dichiara apertamente la sua appartenenza

al popolo sassone, e visto che non ci sono ragioni evidenti per non credergli, ci sembra lecito affermare che il nostro autore sia nato in Sassonia. Ad avvalorare questa dichiarazione di appartenenza etnica concorre non solo il fatto che il suo nome coincide con quello del capo sassone che più volte guidò le rivolte del suo popolo contro Carlo Magno, ma anche la constatazione che a queste altezze cronologiche il nome Widukindo non ha attestazioni al di fuori della Sassonia104.

Ma l’endiadi generis gentisque meae ci può fornire anche lo spunto per un’ulteriore considerazione: se a queste date la traduzione di gens come popolo declinato in senso etnico

102 WIDUKINDIRes Gestae Saxonicae, lib. I, cap. 1.

103SIGEBERTI GEMBLACENSIS MONACHIDe scriptoribus ecclesiasticis, cap. 129, url: http://www.thelatinlibrary.com/sigebert.script.html

non presenta particolari problemi interpretativi105, il termine genus sembra rimandare alla provenienza di nascita e quindi può assumere sia il significato di famiglia, nel senso di gruppo parentale allargato, sia, ancora una volta, il significato di popolazione in un’accezione simile a quella di gens106. Nel caso specifico la costruzione retorica del brano insieme con l’indicazione che proprio i principes, cioè i maggiori aristocratici del regno, saranno i protagonisti dell’opera ci inducono a ritenere che con l’uso del termine genus Widukindo volesse indicare la sua provenienza di nascita, con una specifica accezione sociale, quella aristocratica. L’unica, nel X secolo e non solo, in grado di avere e di esprimere coscienza identitaria di appartenenza a un popolo, i sassoni, e a un gruppo, i

principes. Nella Storia dei Sassoni, infatti, si ha costantemente l’impressione che

Widukindo racconti le dinamiche del potere sempre da un punto di vista interno, come è lecito aspettarsi da chi fa parte dell’alta aristocrazia del regno107.

L’origine aristocratica del nostro autore è supportata anche da un elemento ambientale: la sua presenza nell’abbazia di Corvey. Quest’ultima, infatti, fu fondata nell’822 da Wala e Adalardo, cugini di Carlo Magno, come centro di controllo della regione sottomessa da pochi anni, ma in poco tempo divenne anche il maggiore punto di irraggiamento della cultura carolingia in Sassonia. L’abbazia mantenne questo ruolo anche sotto i re dei Franchi orientali e per tale ragione, a partire dall’inizio del secolo X e poi sotto gli Ottoni, divenne il principale luogo di formazione per i membri dell’aristocrazia sassone108.

Al contrario, ci sembra decisamente debole l’ipotesi sostenuta da già Paul Hirsch, ma ripresa anche in seguito, che fa di Widukindo un membro della famiglia regia e quindi un parente molto lontano della regina Matilde, madre di Ottone I. I fautori di tale ipotesi utilizzano gli stessi elementi (il nome, l’endiadi del capitolo iniziale e la presenza a Corvey) da noi usati a sostegno dell’origine aristocratica di Widukindo, ma scegliendo strade interpretative diverse arrivano alla conclusione che Widukindo era probabilmente un discendente dell’omonimo capo sassone. Poi appoggiandosi al passo della Vita Mathildis

105 S. GASPARRI, Prima delle nazioni. Popoli, etnie e regni fra antichita e Medioevo, Roma 1997, pp. 211- 228; di senso opposto R. LE JAN, Famille et pouvoir dans le monde franc. 7.-10. siecles. Essai

d'anthropologie sociale, Paris 1995.

106 Per l’analisi del rapporto fra gens e genus in Liutprando cfr. GANDINO, Il vocabolario politico cit., p. 279. 107 Per un’analisi più approfondita della funzione dei principes in Widukindo cfr. infra, paragrafi III.2.2 e III.2.3.

reginae antiquior, dove si afferma che la madre di Ottone I, Matilde, apparteneva alla

progenie del ribelle Widukindo109, arrivano alla conclusione che il nostro autore poteva essere un membro della parentela allargata della dinastia ottoniana.110

In realtà, l’unico rapporto documentato con certezza fra Widukindo di Corvey e una Matilde appartenente alla famiglia regia è quello che lega l’autore alla propria dedicataria. La Storia dei Sassoni, infatti, è dedicata alla badessa Matilde, la figlia di Ottone I che all’età di undici anni, nel 966, fu nominata badessa della comunità di canonichesse a Quedlinburg111. L’identificazione della Matilde dedicataria con la Matilde badessa è testimoniata in maniera inequivocabile nel prologo del primo libro dove Widukindo dapprima si rivolge alla dedicataria affermando che ella rifulge della imperialis maiestas e poi prosegue spiegando che: «cum nostro labore patris potentissimi avique tui gloriosissimi res gestas memoriae traditas legeris, habes, unde ex optima et gloriosissima melior gloriosiorque efficiaris»112. L’unica Matilde che risponde a queste caratteristiche in quanto figlia di un imperatore le cui gesta sono narrate con ampiezza nella Storia dei Sassoni è la figlia di Ottone I113.

Direttamente collegata alla dedica vi è anche la questione della datazione dell’opera. Per lungo tempo si è creduto che Widukindo avesse redatto già nel 958, o poco più tardi, una prima redazione (la cosiddetta Klosterfassung) della Storia dei Sassoni, alla quale nel 967/968 sarebbe seguita una seconda redazione (la cosiddetta Widmungsfassung) dedicata a Matilde e che continua il racconto fino al 967. Dopo il 973 Widukindo avrebbe rielaborato alcuni capitoli dell’opera aggiungendo anche quelli che narrano gli avvenimenti fino alla morte di Ottone I (973)114. All’inizio degli anni Quaranta Edmund Stengel mise in discussione questa ricostruzione e avanzando l’ipotesi che la prima redazione dell’opera fosse stata messa per iscritto nel 967/968 la identificò nella Widmungsfassung, da cui

109Vita antiquior pp. 112-113: «Machtildam (…)Widikindi ducis Saxonie originem traxit a stirpe».

110 P. HIRSCH, Einleitung, in Widukindi monachi corbeiencis Rerum Gestarum Saxonicarum libri tres, ed. P. Hirsch – H. E. Lohmann, MGH Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum separatim editi 60, Hannover 1935, pp. VII-VIII.

111 Per la biografia di Matilde cfr. infra nota 138. 112 WIDUKINDIRes Gestae Saxonicae, lib. I, praefatio.

113 L’identificazione della dedicataria con Matilde (978-1025), la terzogenita di Ottone II, che pure avrebbe i requisiti per essere presa in considerazione, non può essere sostenuta perché contrasta con la datazione dell’opera.

114 Per una presentazione articolata di questa ipotesi di datazione aggiornata negli studi al 1935 Cfr. P. HIRSCH, Einleitung cit., pp. XXI-XXX.

sarebbe derivata in maniera diretta la Klosterfassung115. Alla luce della proposta di Stengel, Helmut Beumann ha elaborato alla fine degli anni Sessanta un’ipotesi di datazione ancora oggi comunemente accettata dagli studiosi116. Sulla base di un’attenta disamina della tradizione manoscritta Beumann ha dimostrato che la Klosterfassung e la Widmungsfassung sono effettivamente il prodotto di due stesure indipendenti l’una dall’altra, ma ha avanzato l’ipotesi che entrambe siano state messe per iscritto solo intorno al 967/968. Infatti, se nell’unico manoscritto che ci ha tramandato la Widmungsfassung la narrazione si ferma agli avvenimenti del 967, nei due manoscritti che contengono la Klosterfassung la narrazione non presenta nessuna traccia di cesura fino a quella data, mentre è evidente l’aggiunta dei capitoli successivi che proseguono l’opera fino al 973.