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Le strategie di legittimazione

Nel documento Modelli di regalità nell'età di Ottone I (pagine 108-113)

III. Regalità negoziata: il consenso dei principes e la mediazione dei vesco

III.1 Enrico I rex pacificus e primus inter pares

III.1.1 Le strategie di legittimazione

Gli Ottoni sono una dinastia nuova che proviene dalle fila dei principes4. Nel momento in cui le nostre fonti vengono messe per iscritto (fra il 955 e il 975 circa) siamo appena alla seconda generazione di re: Enrico I era stato elevato al trono nel 919 e Ottone I gli era succeduto nel 936. Anche come famiglia ducale i Liudolfingi-Ottoni sembrano non avere radici profonde. Il primo personaggio conosciuto della famiglia è Liudolfo, bisnonno di Ottone I, che fra le nostre fonti è nominato dal solo Widukindo, senza peraltro alcuna

4 Ampia e numerosa è la bibliografia riguardante il passaggio in Germania dagli ultimi carolingi all’affermazione prima di Corrado I e poi degli Ottoni come famiglia regnante. Di seguito faremo riferimento sopratutto a H.-W. GOETZ, Der letzte "Karolinger"? Die Regierung Konrads I. im Spiegel seiner Urkunden, «Archiv für Diplomatik» 26 (1980), pp. 56-125; GOETZ, “Dux” und “Ducatus”. Begriffs- und

verfassungsgeschichtliche Untersuchungen zur Entstehung des sogenannten "jüngeren" Stammesherzogtums an der Wende vom 9. zum 10. Jahrhundert, Bochum 1981; M. BECHER, Rex, Dux und Gens.

Untersuchungen zur Entstehung des sachsischen Herzogtums im 9. und 10. Jahrhundert, Husum 1996; ALTHOFF, Die Ottonen cit.; KELLER, Die Ottonen cit.

specificazione del titolo. Da fonti documentarie, però, siamo informati del fatto che egli ebbe funzioni comitali nella Sassonia orientale5. I primi a ricoprire la funzione di duca di Sassonia sono Brunone e Ottone6, entrambi figli di Liudolfo, anche se solamente il secondo, cioè il nonno di Ottone I, è ampiamente ricordato nella sua azione ducale dalle nostre fonti. Se già l’appartenenza alla ristretta cerchia dei grandi del regno non poteva certo dirsi di lunga data, ancor meno lo era l’esercizio del potere regio. Si pose, quindi, nei confronti dei primi Ottoni, un problema di legittimità al governo del regno insieme con un problema, fortissimo pare, di consenso. Subito dopo la sua elevazione al trono Enrico I aveva dovuto fronteggiare una forte opposizione da parte di alcuni grandi che potevano avanzare le sue stesse pretese alla corona di Germania, primo fra tutti Arnolfo di Baviera7. La stessa cosa era avvenuta quando Corrado I, duca di Franconia, era stato incoronato re nel 911. Questa incoronazione aveva dimostrato per la prima volta nel regno dei Franchi orientali che anche un princeps che non aveva legami di parentela con i Carolingi poteva essere innalzato sul trono8. Infatti, alla morte di Ludovico IV, l’ultimo carolingio a regnare in Germania, piuttosto che accettare la candidatura di un altro carolingio, Carlo il Semplice, già re dei Franchi occidentali, i grandi di Germania avevano scelto come re Corrado, cioè uno di loro. Solo che tale scelta rendeva da allora in avanti molto più ampia la schiera dei pretendenti e infatti Corrado si trovò di fronte alle rivolte di Bertoldo di Svevia, di Arnolfo di Baviera e dello stesso Enrico I, che fra il 912 e il 913 misero in discussione la sua autorità. Corrado riuscì ad avere la meglio sui suoi avversari e a conservare la corona, ma alla sua morte nel 919 non riuscì a trasmetterla a un suo familiare, nemmeno al fratello Everardo che gli era succeduto nel ducato di Franconia e che poteva quindi contare sulla stessa solida base di potere che aveva portato Corrado sul trono. La differenza fondamentale fra i due primi sovrani non carolingi del regno di Germania è tutta contenuta in questa constatazione: non solo Enrico era riuscito a piegare l’opposizione dei principes al pari di Corrado, ma aveva anche saputo imporre ai grandi suo figlio Ottone come successore9.

Una conquista non definitiva e non pienamente accettata: anche Ottone I vide messo in discussione il suo diritto a regnare da un’ampia rivolta di grandi che divampò fra il 937 e

5 ALTHOFF, Ottonen cit., pp. 16-17.

6 GOETZ, “Dux” und “Ducatus”, pp. 302-324.

7 BECHER, Rex, Dux cit., pp. 354-367; ALTHOFF, Ottonen cit., pp. 29-45. 8 ALTHOFF, Ottonen cit., pp. 24-28.

il 941 e annoverò fra i suoi protagonisti non solo alcuni dei maggiori principes del regno, quali Everardo di Franconia e Giselberto di Lotaringia, ma anche membri della stessa famiglia regia tagliati fuori dalla successione di Ottone come Tancmaro, figlio di primo letto di Enrico I, e il fratello minore di Ottone I, Enrico, solo successivamente duca di Baviera10. Una seconda rivolta, di minore durata ma di eguale virulenza e pericolosità, agitò il regno fra il 953 e il 954 quando Liudolfo, figlio di Ottone e della prima moglie Edith, si unì all’arcivescovo Federico di Magonza e a Corrado il Rosso di Lotaringia con l’obiettivo dichiarato di opporsi unicamente alla nefasta influenza a corte di Enrico, lo zio paterno, ma con l’intenzione neanche tanto nascosta di sostituirsi al padre Ottone sul trono11.

Si deve notare, però, un’importante differenza fra le rivolte che contrastarono l’elevazione al trono di Corrado I ed Enrico I e quelle che si opposero al governo di Ottone I: nei primi due casi i protagonisti erano grandi del regno non imparentati con i nuovi re, mentre le due grandi rivolte antiottoniane furono animate, se non principalmente comunque in maniera pregnante, da membri della famiglia regia. In altre parole sembra che sia avvenuto un significativo cambiamento fra il regno di Enrico e quello di Ottone: semplicemente il re doveva essere scelto all’interno del gruppo parentale degli Ottoni e quindi non poteva più provenire da un’altra famiglia dell’aristocrazia del regno12.

Se questo cambiamento sembra sancire la legittimità degli Ottoni a governare in quanto famiglia, non tutelava di certo, come abbiamo appena visto, sia il diritto a regnare di Ottone I sia le sue scelte in fatto di successione. Insomma sembra evidente che Ottone aveva bisogno di concertare il suo ruolo di re insieme con i principes e quindi è interessante analizzare quali strategie di legittimazione, più o meno marcatamente a favore di Ottone, sono state messe in campo dai nostri autori.

Una delle strategie più rilevanti, a nostro avviso, passa per la raffigurazione di Enrico I come rex pacificus. È comune a tutte le nostre fonti, ovviamente con le loro specifiche sfumature, la precisa volontà di caratterizzare il regno di Enrico come un tempo di pace e concordia, anche a dispetto delle ribellioni interne e delle guerre esterne che in realtà furono molte e continue - come nel regno precedente e in quello successivo – e che non vengono comunque taciute dai nostri autori. Il merito di questa armonia è tutto di Enrico, che assume

10 KELLER, Ottonen cit., pp. 28-32 e ALTHOFF, Ottonen cit., pp. 69-88. 11 KELLER, Ottonen cit., pp. 37-44 e ALTHOFF, Ottonen cit., pp. 88-92. 12 BECHER, Rex, Dux cit., pp. 386-395.

la funzione del re garante della pace interna ed esterna perché sa intervenire contro i

principes che turbano l’armonia del regno e allo stesso tempo riesce ad avere un dialogo con

loro e a tenerli uniti per fronteggiare i pericoli che vengono dalle barbarae nationes.

A nostro avviso, però, l’immagine di Enrico come garante dell’ordine pubblico del regno che le nostre fonti costruiscono, è funzionale alla legittimità di Ottone più che all’esaltazione del regno di suo padre, perchè così Ottone, succeduto a Enrico in un regno completamente “pacificato” dall‘azione politica del padre, eredita insieme con la corona anche la funzione paterna e vede così trasformato qualsiasi atto di ribellione nei suoi confronti in un gesto di rottura della concordia dell’intero regno. Ottone non ha bisogno – e infatti non accade mai – di essere esaltato come rex pacificus perché, nella costruzione ideologica delle fonti, il suo compito diventa quello di difendere legittimamente l’armonia e la concordia del regno ereditata dal padre e messa in discussione dai principes nel momento in cui si ribellano contro di lui.

All’inizio della Vita Brunonis viene fornito una sorta di quadro d’insieme sul tema del rex pacificus, tanto più pregnante perchè concettualizza la pace attraverso una narrazione decisamente sintetica degli avvenimenti piuttosto che addentrarsi, come fanno le altre fonti, nella precisa cronologia dei fatti storici. Ruotgerio vuole fornire al lettore il contesto “ambientale” nel quale si collocano la nascita e l’infanzia di Brunone: quella era l’epoca in cui «Heinricus, rex gloriosus, perdomita barbarorum sevicia, represso etiam intestinae cladis periculo, diruta magno studio reaedificabat et volentem populum iustitiae frenis in tutissima et optatissima demum pace regebat»13. Solo dopo aver sconfitto la crudeltà dei barbari e soffocato il pericolo delle lotte intestine, Enrico può governare, grazie al freno della giustizia, in una condizione di pace che offre una desideratissima sicurezza, un

populus così pienamente consenziente. Questa pace, prosegue Ruotgerio portando la

discussione su un piano generale, costituisce l’indispensabile premessa che fornisce il

nutrimentum necessario per coltivare quelle virtù - peculiari di Brunone, ma valide per tutti

gli uomini - che si realizzeranno in quanto ci sarà di buono in futuro. D’altronde le virtù debbono essere alimentate con la pace affinché non cessino di addolcire l’uomo quando arriveranno le difficoltà della vita14.

13 RUOTGERIVita Brunonis, cap. 2, pp. 3-4.

14 Ibidem, cap. 2, p. 4: «Ita nativitatis eius (scil. Brunone) tempus iam quasi futura bone voluntatis eius insigna preferebat. Nam cum omne, quod bonum esset, vivacissime semper appeteret, pacis donum quasi

Nel capitolo successivo Ruotgerio dà sostanza fattuale a queste riflessioni esponendo in che modo «memoratus rex (...) ad illam tam grate pacis serenitatem pervenerit». Enrico dovette affrontare una situazione davvero difficile: da un lato le incursioni continue dei popoli confinanti, cioè i malvagi Danesi, potenti per terra e per mare, i rabbiosi Slavi, i crudeli Ungari e i Moravi che attraversavano con empia licenza i confini del regno; dall’altro le ribellioni dei principes divenuti irrimediabilmente crudeli fin nelle viscere. Ma dopo non poco tempo «tantus timor per gratiam divinam invasit extraneos, ut nihil umquam eis esset formidabilius, tantus amor colligavit domesticos, ut nihil umquam in quolibet potentissimo regno coniunctius videretur»15. Il timore che invade i popoli nemici così come l’amore che unisce i grandi del regno si diffondono tramite l’azione della grazia divina e quindi nel racconto nella Vita Brunonis la pace instaurata da Enrico, cioè la sua capacità di imporre l’ordine pubblico e di difendere i confini del regno, si configura come il frutto diretto della volontà di Dio.

Anche Rosvita propone un intervento divino come spiegazione per la piena tranquillità che, a suo modo di vedere, aveva caratterizzato il regno di Enrico. Nei Gesta

Ottonis l’autrice non si dedica agli avvenimenti, non racconta le lotte intestine e le guerre

esterne affrontate da Enrico, si concentra invece sulla bonitas che lo contraddistinse al culmine degli onori e sulla pietas con cui governò i popoli a lui soggetti. Ci racconta di come Enrico fosse severo con i malvagi e mite con i giusti, di come con il massimo impegno preservasse le leggi e la giustizia, di come infine attribuisse a tutti i sudditi ricompense pari ai loro meriti: insomma configura il primo re della dinastia ottoniana come un vero e proprio rex iustus. Ma qual è il risultato di questo comportamento? È presto detto: «huic (scil. Enrico) rex pacificus dederat de sidere Christus / eius civilem vitae per tempora pacem». Il rex iustus si specchia nel rex pacificus: dal cielo Cristo concesse la pace interna, cioè la concordia fra i principes, a Enrico ed egli con felici presagi tenne il culmine del regno per sedici anni trascorsi assai felicemente16.

nutrimentum et ornamentum quoddam ceterarum virtutum sollicitius expetivit, quod bonis omnibus profuturum prescivit. Tranquillitatis enim tempore nutriri debent et solidari virtutes, ut perturbatione qualibet ingruente a status sui vigore hominem emolliri non desinant».

15Ibidem cap. 3, p. 4.

16 HROTSVITHAEGesta Ottonis, p. 276, vv. 9-21: «Hic pollens quantae fuerat bonitatis honore, / et quanta populos rexit pietate subactos, / qualiter et reges meritis tunc temporis omnes / praeminet exiimis excedit denique vilis / huius carmiculi textum nimium vitiosi. / Nam fuit immitis reprobis, blandus quoque iustis / summo conservans studio legalia iura / aequa satis meritis reddens quoque praemia cunctis. / huic rex

Nella Vita antiquior la costruzione dell’immagine di Enrico come rex pacificus è fatta di pochi ma significativi passaggi. Fin dall’adolescenza egli viene caratterizzato dalla mitezza e dal rifiuto della violenza, dall’umiltà e dalla disponibilità ad aiutare gli altri, qualità che lo fanno diventare caro a chiunque gli stia intorno17. Qualità personali, inoltre, che saranno anche alla base della sua successione a Corrado sul trono di Germania. Quando quest’ultimo cade malato e i principes si trovano a indicare il suo successore la scelta cade su Enrico in ragione del fatto che egli «plus solito caritatis amore populos placando sibi coniuxit». È quindi la sua capacità di riconciliare le genti, di placare le discordie fra i popoli, insomma a essere un vero rex pacificus, che lo porta a ottenere sceptrum et tota

regni facultas18. E quando Enrico viene celebrato come grande condottiero, come colui che riporta il triumphum victorie su molte nationes, la sua attività militare contro i nemici esterni è collegata direttamente alla sua capacità di governare con pietas et modesta pax, capacità che gli viene attribuita insieme alle altre caratteristiche topiche della regalità cristiana, quali la generosità verso i poveri, la protezione delle vedove e degli oppressi, la capacità di fare doni ai suoi fedeli19.

Nel documento Modelli di regalità nell'età di Ottone I (pagine 108-113)