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Le rappresentazioni della successione

Nel documento Modelli di regalità nell'età di Ottone I (pagine 120-124)

III. Regalità negoziata: il consenso dei principes e la mediazione dei vesco

III.1 Enrico I rex pacificus e primus inter pares

III.1.4 Le rappresentazioni della successione

Ma al di là della coincidenza, maggiore o minore, con la ricostruzione storica è inquadrando questi racconti all’interno delle differenti strategie narrative messe in campo dai testi che possiamo capire appieno il loro significato. A nostro avviso la versione di Liutprando e di Adalberto, ponendo in evidenza la vittoria di Corrado sui duchi ribelli, nasce dalla volontà di rappresentare Corrado come un re forte e legittimo perché solo un re nel pieno possesso della potestas regia può trasmetterla autorevolmente al suo successore. In altre parole questa immagine di Corrado è funzionale alla costruzione della legittimità di Enrico secondo la strategia messa in campo da Liutprando e da Adalberto. Al contrario Widukindo non ha bisogno della forza legittimante di Corrado perché ha scelto di seguire una strategia diversa: quella di retrodatare il passaggio del potere regio dai Carolingi agli Ottoni già all’epoca del duca Ottone, come vedremo fra pochissimo. In quest’ottica, allora, Corrado assume un ruolo diverso e in definitiva di minore importanza. Non è più colui che

trasmette con la sua decisione il potere regio alla nuova dinastia, ma piuttosto colui che prende atto di un passaggio di potere già avvenuto.

Entrambe le strategie di legittimazione trovano il loro snodo narrativo centrale nella scena della designazione di Enrico da parte di Corrado morente.

Liutprando racconta che sentendo avvicinarsi il momento della chiamata alla vita eterna Corrado convoca tutti i maggiori principes del regno, specificando che tra loro era assente il solo Enrico, e rivolge loro le seguenti parole: «proin pacem vos concordiam que sectari etiam atque etiam rogo; me hominem exeunte nulla vos regnandi cupiditas, nulla praesidendi ambitio inflammet. Heinricum, Saxonum et Turingiorum ducem prudentissimum, regem eligite, dominum constituite: is enim est et scientia pollens et iustae severitatis censurae habundans». Alla generale richiesta di pace e concordia, subito specificata nell’invito a non lottare fra di loro per la corona, segue immediatamente l’energica esortazione a elevare Enrico al trono, atto di cui si sottolinea la legittimità tramite l’uso dei verbi eligere e constituere.37 È la stessa consequenzialità fra la perorazione della pace e la scelta di Enrico come successore istituita dal testo a suggerire l’idea che tale scelta sia considerata la giusta risposta alla probabile lotta per la successione: per Enrico, definito

dux prudentissimus, un’ulteriore e, ancora una volta, implicita definizione di garante della

pace, ciò che abbiamo voluto sintetizzare nell’espressione rex pacificus. Dopo aver fatto portare la corona, lo scettro e le altre insegne del potere Corrado rincara la dose: «heredem regiaeque dignitatis vicarium regalibus his ornamentis Heinricum constituo; cui ut oboediatis, non solum consulo, sed exoro». A queste parole segue la morte di Corrado e, alla sua morte, l’obbedienza dei duchi che recano le insegne del potere a Enrico il quale dapprima rifiuta humiliter la dignità regia e poi l’accetta non ambitiose38. È evidente che

37 I verbi eligere e constituere sono sempre usati da Liutprando per definire il conferimento di un potere regio legittimo.

38 LIUTPRANDIAntapodosis, lib. II, cap. 20: «Septimo denique regni sui (scil. Corrado) anno, vocationis suae ad Deum tempus agnovit. Cumque memoratos principes se adire fecisset, Heinrico solummodo non praesente, ita convenit: "Ex corruptione ad incorruptionem, ex mortalitate ad inmortalitatem vocationis meae tempus, ut cernitis, praesto est. Proin pacem vos concordiam que sectari etiam atque etiam rogo; me hominem exeunte nulla vos regnandi cupiditas, nulla praesidendi ambitio inflammet. Heinricum, Saxonum et Turingiorum ducem prudentissimum, regem eligite, dominum constituite: is enim est et scientia pollens et iustae severitatis censurae habundans". His ita prolatis, propriam coronam non auro, quo poene cuiuscumque ordinis principes pollent, verum gemmis preciosissimis, non solum inquam ornatam, sed gravatam, sceptrum etiam cuncta que regalia indumenta in medium venire precepit ac, prout valuit, huiusmodi verba effudit: "Heredem regiaeque dignitatis vicarium regalibus his ornamentis Heinricum constituo; cui ut oboediatis, non solum consulo, sed exoro". Quam iussionem interitus et interitum mox est oboedientia prosecuta. Ipso

con la seconda esternazione – in cui spicca di nuovo l’uso del verbo constituere – Corrado si assume tutta la responsabilità di scegliere Enrico come erede e rappresentante della dignità regia, cioè come suo successore, mentre ai duchi riserva solo il compito di eseguire la sua volontà. Questa scena rappresenta il punto d’arrivo della strategia di Liutprando dove Corrado, re forte e legittimo perché ha ricondotto i principes alla sua fedeltà, designa Enrico come suo successore affinché la pace del regno non venga turbata da lotte intestine, riconoscendo di fatto la funzione di rex pacificus svolta da Enrico.

La scena della designazione raccontata da Adalberto è imperniata sugli stessi elementi base di quella costruita da Liutprando e così assolve alla medesima funzione nella strategia legittimante in favore degli Ottoni. Anche qui Corrado si assume la piena responsabilità della designazione di Enrico quando ordina ai maiores Francorum lì convocati di eligere il duca sassone come re. E poi vi è la raffigurazione di Enrico come rex

pacificus: Adalberto rende questa immagine in maniera decisamente più esplicita rispetto a

Liutprando perché non la fa scaturire solo dalla struttura del testo, ma anche dalla chiara affermazione che Enrico è un precipuum pacis sectatorem che all’inizio del suo governo

disciplina servandae pacis inchoavit visto che in quei tempi anche molti nobiles compivano

crimini e saccheggi. La scelta di Enrico I come re appare strettamente connessa alla necessità di ristabilire la pace – qui evidentemente intesa come ordine pubblico - nel regno turbato dalla riottosità della nobilitas, che in Adalberto pare essere sinonimo di principes39.

Bisogna sottolineare però un’apparente differenza rispetto a Liutprando: Corrado non convoca al suo capezzale tutti i maggiori principes del regno, bensì solo i suoi fratelli e parenti, definiti maiores Francorum, e quindi ordina solo a questi ultimi di eligere come re Enrico. Però poi, nel capitolo immediatamente successivo, Adalberto ricorda che «Heinricus dux consensu Francorum, Alamannorum, Bawariorum, Turingorum et Saxonum rex

namque mortem obeunte, memorati principes coronam cuncta que regalia indumenta Heinrico duci contulerunt; atque ut rex Chuonradus dixerat cuncta per ordinem enarrarunt. Qui regiae dignitatis culmen et prius humiliter declinavit, ac paulo post non ambitiose suscepit».

39 ADALBERTI Continuatio, anno 919-920, p. 156: «Qui (scil. Corrado) obitus sui diem inminere sentiret, vocatis ad se fratribus et cognatis suis, maioribus scilicet Francorum, mortem sibi inminere predixit et, ne in eligendo post se rege discidium regni fieret, paterna eos voce premonuit. Sed et Heinricum Saxonum ducem, filium Ottonis, virum strennuum et industrium precipuumque pacis sectatorem ut eligerent, iussit aliumque ei ad hoc officium eque condignum inveniri non posse testificans sceptrum ei et coronam ceteraque regiae dignitatis ornamenta pacto tuendi et conservandi regni per eosdem transmisit. (...) Heinricus dux consensu Francorum, Alamannorum, Bawariorum, Turingorum et Saxonum rex eligitur; qui initium sui regni disciplinae servandae pacis inchoavit. Multi enim illis temporibus etiam nobiles latrociniis insudabant».

eligitur»40 riconoscendo a tutte le componenti del regno il loro ruolo di imprescindibili creatori del re.

Widukindo racconta la scena della designazione in modo profondamente diverso. La struttura narrativa è la stessa, ma gli elementi aggiunti, sottratti o variati le danno un significato nuovo. Anche in questo caso l’autore ci mostra Corrado ammalato e in procinto di morire, ma il re invece di chiamare tutti i principes o anche solo i membri della sua famiglia, convoca unicamente Everardo, suo fratello e duca di Franconia. Rivolgendosi a lui gli ricorda che loro sono capaci di raccogliere e guidare immensi eserciti, posseggono città e armi nonché le insegne regali, insomma tutto ciò che costituisce la dignità regia. L’unica cosa però che manca loro sono fortuna atque mores. Corrado ammette: «Fortuna, frater, cum nobilissimis moribus Heinrico cedit, rerum publicarum secus Saxones summa est». Poi gli chiede di raccogliere le insegne regie, portarle a Enrico e fare la pace con lui. La conclusione del discorso, dal tono decisamente amaro, suona così: «Quid enim necesse est, ut cadat populus Francorum tecum coram eo? ipse enim vere rex erit et imperator multorum populorum»41.

Quali differenze saltano agli occhi rispetto alle versioni di Liutprando e Adalberto? Innanzitutto che la designazione di Enrico non viene affatto presentata come mezzo per impedire le lotte fra i duchi per la successione, non si insiste cioè sulla sua immagine di rex

pacificus, pur presente in Widukindo, bensì la sua designazione scaturisce dalla

constatazione di un dato già presente: il possesso della res pubblica da parte dei Sassoni e quindi di Enrico che infatti possiede gli unici attributi regali, fortuna atque mores, che mancano ai duchi di Franconia. D’altronde che Enrico avesse una posizione particolare nel regno lo si capisce fin dalla presentazione che Widukindo ne fa alla nascita dove afferma che egli «primus libera potestate regnavit in Saxonia», cioè che per primo governò il ducato

40Ibidem, anno 920, p. 156.

41 WIDUKINDI Res Gestae Saxonicae, lib. I, cap. 25: «Cumque se morbo sensisset laborare pariter cum defectione primae fortunae, vocat fratrem, qui eum visitandi gratia adierat, quemque ita alloquitur: "Sentio", inquit, "frater, diutius me istam vitam tenere non posse, Deo, qui ordinavit ita, imperante, gravique morbo id cogente. Quapropter considerationem tui habeto, et quod ad te maxime respicit, Francorum toto regno consulito, mei adtendendo, fratris tui, consilio. Sunt nobis, frater, copiae exercitus congregandi atque ducendi, sunt urbes et arma cum regalibus insigniis et omne quod decus regium deposcit preter fortunam atque mores. Fortuna, frater, cum nobilissimis moribus Heinrico cedit, rerum publicarum secus Saxones summa est. Sumptis igitur his insigniis, lancea sacra, armillis aureis cum clamide et veterum gladio regum ac diademate, ito ad Heinricum, facito pacem cum eo, ut eum foederatum possis habere in perpetuum. Quid enim necesse est, ut cadat populus Francorum tecum coram eo? ipse enim vere rex erit et imperator multorum populorum"».

di Sassonia in completa autonomia, forse il frutto dell’accordo del 915/916 fra Corrado ed Enrico a cui abbiamo accennato prima.

Ma quando è avvenuto questo passaggio? Come sono entrati in possesso della res

publica i Sassoni e il loro duca? La risposta è presto data: Widukindo racconta che quando

Ludovico IV, l’ultimo carolingio a regnare sui Franchi orientali, muore senza lasciare eredi «omnis populus Francorum atque Saxonum quaerebat Oddoni diadema inponere regni. Ipse vero quasi iam gravior recusabat imperii onus; eius tamen consultu Cuonradus quondam dux Francorum ungitur in regem. Penes Oddonem tamen summum semper et ubique fiebat imperium»42. Nonostante il duca Ottone rifiuti la corona a favore di Corrado il summum

imperium, il potere supremo, potremmo dire l’essenza stessa della res publica, rimase

sempre nelle sue mani. Per questa ragione Corrado cerca di impedire a Enrico di succedere al padre nel ducato, perché implicitamente, insieme con il ducato, Enrico avrebbe ereditato anche il summum imperium. E infatti in punto di morte Corrado ammette tale stato di cose. Sempre per questa ragione si rivolge al solo Everardo, suo fratello e duca di Franconia e in conseguenza di ciò suo più probabile successore, perché deve convincere prima di tutto Everardo ad accettare che il possesso del summum imperium è sempre stato nelle mani dei duchi Sassoni, non della casata Francone, e quindi sarebbe inutile far soccombere la loro gente nel tentativo di imporre la candidatura di Everardo al regno, come si dice esplicitamente nelle ultime parole del discorso.

Nel documento Modelli di regalità nell'età di Ottone I (pagine 120-124)