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Lo smarrimento: tanti personaggi, nessuna dinastia

Nel documento Modelli di regalità nell'età di Ottone I (pagine 166-172)

IV. Dinastizzazione della carica regia

IV.1 La rappresentazione della parentela Liudolfingio-ottoniana

IV.1.2. Lo smarrimento: tanti personaggi, nessuna dinastia

Le modalità della rappresentazione parentale nelle opere di Liutprando sono state oggetto di un’accurata analisi da parte di Germana Gandino4. Sulla base delle occorrenze dei singoli termini propri del lessico della parentela l’autrice ha dimostrato che in Liutprando è assente la profondità verticale nella rappresentazione genealogica: i composti

proavus, abavus e atavus, infatti, ricorrono ciascuno una sola volta e sempre in accezione

generica, cioè senza indicare un rimando a specifiche agnazioni. Il termine avus è maggiormente presente, ma ricorre comunque appena sette volte nell’intera opera di Liutprando, e di queste sette occorrenze solo quattro sono, secondo Germana Gandino, realmente significative. Questi quattro casi riguardano l’imperatore bizantino Costantino

3Ibidem lib. I, cap. 25.

VII, Berengario II, Alberico II e Ottone I, di cui vengono nominati i rispettivi avi, con una precisa volontà di caratterizzarne l’identità attraverso la ricostruzione, seppur minima, della loro ascendenza genealogica. Si tratta comunque di pochissimi modelli esemplari, che coprono, in positivo o negativo, i diversi ambiti politici al centro del racconto di Liutprando: Costantinopoli, il regno italico e Roma nonché il regno di Germania5.

Ma vediamo da vicino il passo che riguarda Ottone I. Siamo nel primo libro e Liutprando ci racconta che durante la spedizione in Italia a sostegno di Berengario I, Arnolfo di Carinzia, ottenuta la sottomissione dei milanesi, «Ottonem itaque, Saxonum potentissimum ducem – huius gloriosissimi atque invictissimi regis Ottonis, qui nunc superest et feliciter regnat, avus – Mediolanium defensionis gratia dirigit»6. L’indicazione del rapporto parentale che lega i due personaggi sembra avere una esplicita funzione celebrativa a favore del duca Ottone. Questi, infatti, si specchia nel nipote re sia per l’omonimia sia per l’aggettivazione attinente all’ambito militare che, espressa con il superlativo, esalta entrambi.

È un modulo narrativo che Liutprando usa di frequente, quello di rendere familiari ai propri lettori i protagonisti di vicende remote, presentandoli come parenti di personaggi attivi nel panorama politico a lui contemporaneo7. Il richiamo a Ottone I ci pare allora possa essere giustificato da una mera necessità di chiarezza espositiva e non dalla volontà di costruire una memoria dinastica della sua parentela. Questa infatti è l’unica circostanza in cui Liutprando menziona il duca Ottone, mentre già in precedenza aveva accennato alla «sanctissimi atque invictissimi regis Ottonis potentia». Probabilmente l’indicazione che il duca Ottone era il nonno del re Ottone I serviva anche a non trarre in inganno il lettore che, pochi capitoli prima, nella presentazione dei sovrani che governavano l’Europa alla fine del IX secolo, aveva letto che in quel tempo il popolo degli Ungari, che all’epoca di Liutprando non osava fiatare perché atterrito dalla potenza del re Ottone, non era ancora conosciuto in Occidente8. E che Liutprando non avesse intenzione di rappresentare l’intera linea ascendente di Ottone I è dimostrato dal fatto che quando nomina Enrico, il figlio del duca

5Ibidem pp. 201-204

6 LIUTPRANDIAntapodosis, lib. I, cap. 24.

7 Berta di Toscana diventa così la madre di Ugo, “re dei nostri tempi”, LIUTPRANDIAntapodosis, lib. I, cap. 40.; il conte Ubaldo il padre di Bonifacio, marchese di Spoleto a metà del secolo X:«Hubaldus igitur Bonefatii pater, qui post tempore nostro Camerinorum et Spoletinorum extitit marchio», ibidem, lib. I, cap. 21, ma gli esempi che si potrebbero portare sono assai più numerosi.

Ottone e il padre di Ottone I, non lo connette a nessuno dei due ma, semplicemente, lo definisce «Saxonum et Turingiorum praepotens dux»9.

Se poi allarghiamo lo sguardo alla rappresentazione degli altri rapporti fra i membri della casata ottoniana ci rendiamo conto che prevalgono in modo pressoché totale i rapporti orizzontali o verticali di brevissimo raggio. Liutprando, infatti, ci racconta che Enrico I era sposato con Matilde; che Ottone I, Enrico e Brunone erano fratelli e che avevano una sorella - Gerberga, di cui non fa il nome - sposata con Giselberto, duca di Lotaringia, a cui aveva dato una figlia, anch’essa anonima; che Ottone I aveva sposato Edith, figlia del fratello del re degli Angli, Etelstano, e che da questo matrimonio era nato Liudolfo, sposato con la figlia (ancora una donna senza nome!)10 di Ermanno duca di Svevia. Allo stesso modo l’autore esplicita con grande completezza i rapporti famigliari orizzontali e verticali di primo grado di Adelaide, ricordando che era figlia del re di Borgogna Rodolfo II e di Berta di Svevia; che aveva sposato Lotario, figlio di Ugo, re d’Italia, e di Alda; che il marito aveva una sorella, anch’essa di nome Alda, sposata con Alberico II, signore di Roma.

Ma qui ci fermiamo perché i rapporti di parentela ascendenti di Adelaide si allargano in maniera davvero ampia nel racconto dell’Antapodosis senza però mai intrecciarsi con quelli della casata ottoniana. Quello che manca in quest’opera è l’indicazione del matrimonio fra Ottone I e Adelaide, avvenuto nel 951, ma ciò è dovuto al fatto che la narrazione si interrompe improvvisamente nel 949/950. Nel momento in cui Liutprando metteva per iscritto l’Antapodosis (958-962) era ovviamente al corrente sia del matrimonio sia della nascita di Ottone II, figlio della coppia regia, avvenuta nel 955. La conoscenza di questi avvenimenti è d’altronde testimoniata dalla salutatio con cui si apre la Relatio de

legatione Constantinopolitana: «Ottones Romanorum invictissimos imperatores augustos

gloriosissimamque Adelheidem imperatricem augustam»11, in cui troviamo associati Ottone I e Ottone II nella carica imperiale così come il legame matrimoniale di Adelaide con Ottone I è implicito nella sua dignità di imperatrice.

Si può affermare allora che in Liutprando manca del tutto la volontà di rappresentare in modo dinastico la discendenza degli Ottoni: anche se si tratta della famiglia regnante, la rappresentazione rimane coerente rispetto a quella di qualsiasi altro gruppo familiare, dove,

9Ibidem lib. II, cap. 18.

10 Che in realtà si chiamava Ida, in base all’identificazione dell’editore. 11LIUTPRANDI Relatio

si è detto, manca «profondità» genealogica12. Liutprando, infatti, indicando con grande costanza di chi era fratello o sorella, figlio o padre o anche con chi era sposato un determinato personaggio della famiglia regia, intendeva soltanto determinarne l’identità come singolo individuo piuttosto che ricostruire il gruppo parentale in cui era inserito.

Anche nella Vita Brunonis manca del tutto la rappresentazione dinastica della famiglia regia. La struttura narrativa è completamente diversa dalle opere viste fin qui: riprendendo il modello delle biografie classiche, Ruotgerio presenta in primo piano il protagonista dell’opera, Brunone, lo identifica quale figlio di Enrico I, rex gloriosus, ma non lo inserisce in alcun modo in una linea verticale di antenati e, neppure, in alcun quadro familiare: non ne nomina neppure la madre13.

Le sue qualità personali sono in realtà esaltate nell’ambito della discendenza a cui appartiene: «Attavorum eius (scil. Brunone) attavi usque ad hominum memoriam omnes nobilissimi, nullus in eorum stirpe ignotus, nullus degener facile reperitur, hic tamen omnes, salva augustorum et regum excellentia, omnino perspicacissime liniamentorum gratia, artium gloria et omnigena animi superabat industria»14, ma la stessa perifrasi impiegata per designare i lontani progenitori appare estremamente generica: nessun ascendente è nominato in modo specifico e l’uso stesso del raro termine attavus, al plurale e raddoppiato dal genitivo che lo accompagna, perde in una lontananza indeterminata l’insieme degli antenati.

I pochi legami parentali presenti nell’opera sono funzionali a specificare l’identità di un nuovo personaggio nel momento in cui entra nel vivo dell’azione e non vogliono mai creare un’immagine complessiva della famiglia: pur essendo nominati nella narrazione tutti e tre i figli maschi di Enrico I e Matilde, manca però una qualsiasi presentazione unitaria dei tre fratelli (Ottone, Enrico e Brunone), una presentazione che invece compare in tutte le altre nostre fonti, a parte la Continuatio Reginonis.

Alla morte di Enrico I, poi, descrivendo la successione al trono di Ottone, Ruotgerio sottolinea che era il figlio primogenito del re defunto, e solo in seguito dirà che Brunone è il fratello del nuovo re15. Molto più avanti, al capitolo 9, l’autore introduce infine Enrico indicandolo come quel fratello di Brunone che porta lo stesso nome del padre16. L’uso di

12 GANDINO, Il vocabolario politico cit., p. 204. 13 RUOTGERI Vita Brunonis, cap. 2, pp. 3-4. 14Ibidem, cap. 2, p. 3.

15Ibidem, cap. 5, p. 6. 16Ibidem cap. 9, pp. 9-10.

una perifrasi che sottolinea l’omonimia con il padre/re, impiegata al posto del semplice nome proprio, potrebbe essere interpretata come la volontà di esaltare la figura di Enrico, ma ciò è in contrasto col il ruolo in definitiva marginale che Enrico ricopre nell’economia narrativa della Vita Brunonis. Mentre Ottone I e Brunone affollano con la loro presenza praticamente ogni pagina del testo, Enrico, al contrario, compare solo quattro volte nel corso dell’opera17.

Anche la scarsissima presenza di figure femminili testimonia l’assenza di una rappresentazione familiare complessiva. Le uniche due donne appartenenti alla discendenza che trovano posto nel racconto di Ruotgerio sono Matilde, nominata come madre di Ottone I, e Gerberga, la sorella di Ottone e Brunone, ma di entrambe, che sono presenti rispettivamente con appena una18 e due occorrenze testuali19, non viene fatto nemmeno il nome. Edith e Adelaide, poi, le due mogli di Ottone I, non sono degnate neanche di una menzione anonima, anche se compaiono nel testo i loro figli, Liudolfo e Ottone II, indicati solo come figli di Ottone I. Anche del terzo figlio di Ottone, Guglielmo di Magonza, non viene menzionata la madre, ma ciò è più comprensibile dato che Guglielmo non era nato nell’ambito delle due unioni matrimoniali del re.

Riprova eclatante della mancanza della volontà di rappresentare dinasticamente la parentela è fornita alla fine dell’opera, nel passo in cui si racconta della riunione di famiglia del 965 svoltasi a Colonia, ossia sotto l’egida di Brunone: Ruotgerio menziona la presenza della madre, della sorella, dei nipoti e dei figli del re, cioè di Ottone I, ma senza che mai si faccia il nome di nessuno di questi! Si può ben dire che, a eccezione di Ottone I e Brunone, fratelli che paiono specchiarsi l’uno nell’altro perché entrambi protagonisti della narrazione, la tota illo Deo dilecta familia appare del tutto priva dell’apporto di identità personali distinte20.

Quanto ciò sia il prodotto di una scelta consapevole di Ruotgerio lo dimostra il passo della Vita antiquior che descrive in forme sostanzialmente simili l’incontro di Colonia, con la grossa eccezione, però, che la Vita antiquior indica con i rispettivi nomi propri sia

17 La prima volta nel passo indicato alla nota precedente e poi ibidem cap. 17, p. 15; cap. 19, pp. 18-19; cap. 35, p. 36.

18Ibidem cap. 42, p. 44.

19 La prima volta (cap. 39, p. 41) in qualità di madre di Lotario re dei Franchi occidentali; e la seconda come «soror» di Ottone I (cap. 42, p. 44).

l’arcivescovo Bruno, sia la sorella Gerberga, oltre che la protagonista dell’opera, cioè la madre dei due, la regina Matilde21.

Analizzando la rappresentazione familiare degli Ottoni nella Continuatio Reginonis non si può non tener conto del fatto che quest’opera si inserisce in un genere storiografico ben preciso: l’annalistica. Seguendone i canoni Adalberto annota anno per anno le morti e le successioni di vescovi e arcivescovi, duchi e conti, ma più in generale dà conto di un numero ampio di personaggi del regno di Germania, con particolare attenzione alla Lotaringia, regione in cui risiede quando scrive l’opera. Proprio all’interno di questo elemento di genere va contestualizzata l’ampiezza con cui Adalberto scandaglia il quadro familiare degli Ottoni. Ampiezza è ancor più vistosa se messa in relazione con la relativa stringatezza della narrazione. Infatti è davvero notevole il buon grado di completezza raggiunto da Adalberto nel menzionare i diversi membri della famiglia liudolfingio- ottoniana, soprattutto per quel che riguarda la generazione di Ottone I. Nella Continuatio, infatti, non solo trovano spazio tutti i fratelli e le sorelle del re, con la sola eccezione di Hadwig, ma sono menzionati anche i loro rispettivi mariti e mogli, i loro figli, nonché i consorti e i figli di questi ultimi. Della generazione precedente, invece, vengono nominati solamente gli ascendenti diretti di Ottone I, cioè Enrico I e Matilde, e quelli di Adelaide, cioè Rodolfo II di Borgogna e Berta di Svevia, mentre in quella immediatamente risalente il solo padre di Enrico I, cioè il duca Ottone.

Si può ben dire, quindi, che Adalberto inserisce ogni personaggio che nomina della parentela allargata dei Liudolfingi-Ottoni in un preciso quadro di relazioni familiari orizzontali o verticali prevalentemente di primo grado.

Nel contesto dell’opera, però, manca ogni sottolineatura della profondità dinastica della parentela: sono presenti tanti personaggi, è vero, tutti riconducibili alla stessa famiglia allargata, ma non viene tracciato mai un quadro di famiglia, una raffigurazione d’insieme di più membri della famiglia regia, neppure la presentazione dei figli di Enrico I e Matilde, la

21 Vita antiquior, p. 133-134: «Cumque inperator devicto Latio in patriam reversus esset, Coloniam urbem petens, ubi frater eius Bruno archiepiscopus praesidebat, matrem illuc cum rege filio pariter et pulchra virgine obviam sibi vocari praecepit. Venit et regina Gerburg soror eius et tota regalis utriusque sexus progenies amore se invicem videndi congregata divina, ut confidimus, ita disponente clementia; nam post hec simul se non videbant nec ulterius temporaliter videbantur. Sed et illa inclita mater Machtildis regina tantorum felix procerum partu, primum a cesare, deinde ab omnibus posteris honorifice suscepta, suos complexa letatur vidisse nepotes et maxime filium incolumem tali augustum venisse in gloria exultat deo gratias agendo».

triade composta da Ottone, Enrico e Brunone, consueta in tutte le nostre fonti con l’eccezione della Vita Brunonis e, appunto, della Continuatio Reginonis.

Per quel che riguarda la costruzione della legittimazione a regnare la Continuatio non sembra esprimere una concezione forte, o almeno non la esplicita con chiarezza. All’anno 911, infatti, ci racconta che «Ludowicus rex filius Arnolfi imperatoriis obiit; cui Cuonradus filius Cuonradi ab Adalberto occisi regali iam stirpe deficiente in regno successit»22. Da questo passo si evince che il re legittimo è quello che appartiene alla discendenza allargata dei Carolingi, che ha nelle sue vene un po’ di sangue della famiglia regia per antonomasia dell’Europa intera, almeno fino a tutto il X secolo. Però, in mancanza di un candidato fornito di sangue carolingio, allora può salire al trono anche un esponente di una delle famiglie dell’alta aristocrazia del regno, come è il caso di Corrado I. Ma nella visione di Adalberto alla dinastia carolingia non se ne sostituisce una nuova, bensì nuovi re che sono espressioni individuali di potere. A meno che non si voglia vedere nella laconicità del racconto della successione di Ottone I al padre Enrico I la volontà di mostrare un automatismo dinastico nel passaggio di potere fra il primo re liudolfingio e suo figlio23.

Nel documento Modelli di regalità nell'età di Ottone I (pagine 166-172)