La sentenza 18641 del 2011, dunque, concludeva un percorso che, all’insegna di una specifica attenzione alle circostanze del caso concreto e al principio dell’integrale risarcimento del danno non patrimoniale, finiva per affermare non solo l’autonomia del danno morale rispetto al danno biologico, ma anche l’autonomia del danno esistenziale, il quale non necessariamente potrebbe considerarsi interamente assorbito nei profili dinamici del danno biologico.
Un ulteriore colpo alla “biologizzazione” del danno non patrimoniale viene inferto dalla Sezione Terza nel 2012 e nel 2013, anche se, così facendo, la Cassazione finisce per colpire la stessa tesi della unitarietà del danno non patrimoniale. Mentre le sentenze del 2003 (in particolar modo la sentenza 233 della Corte Costituzionale) avevano delineato una tripartizione del danno non patrimoniale in tre categorie dotate di autonomia (danno biologico, danno morale, danno esistenziale), nel 2008 le Sezioni Unite, affermando l’unitarietà del danno non patrimoniale, avevano finito
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per configurare la responsabilità civile come un sistema bipolare: da un lato il danno patrimoniale, dall’altro il danno non patrimoniale il quale non è suddivisibile in sottocategorie dotate di autonomia logica o ontologica.
Questa tesi era stata già incrinata dalla giurisprudenza di legittimità successiva alle sentenze di San Martino e, come detto, nel 2012 subisce un’ulteriore confutazione con la sentenza n. 20292138, la quale richiama espressamente la sentenza 18641 del
2011 a dimostrazione del fatto che essa si inserisce nel solco di un orientamento che stava diventando dominante in sede di legittimità.
Innanzitutto la Corte richiama l’orientamento giurisprudenziale prevalente anteriore al 2006 e favorevole alla “netta separazione, concettuale e funzionale, del danno biologico, del danno morale, del danno derivante da lesione di altri interessi costituzionalmente protetti”. Questo orientamento poteva, secondo la Corte, addirittura considerarsi indiscutibile “diritto vivente” ed è stato confermato dalle Tabelle milanesi, elevate dalla sentenza 12408 del 2011 a parametro risarcitorio generale per il danno non patrimoniale, le quali prevedevano una separata liquidazione dei diversi pregiudizi, indicando nella misura di un terzo la percentuale di danno biologico utilizzabile come parametro per la liquidazione del danno morale subiettivo che comunque rimaneva un diverso tipo di pregiudizio.
Anche le norme del Codice delle assicurazioni private non consentono, secondo la Corte, “una lettura diversa da quella che predicava la separazione tra i criteri di liquidazione del danno biologico in esse codificati e quelli funzionali al riconoscimento del danno morale”. Piuttosto il Codice delle assicurazioni private ha ricompreso nella liquidazione del danno biologico quella voce di danno non patrimoniale che la Corte Costituzionale, sempre nel 2003, aveva definito come danno esistenziale: si fa infatti riferimento a quegli aspetti “dinamico relazionali” dell’esistenza che costituiscono una conseguenza dannosa ulteriormente risarcibile rispetto al danno biologico inteso come compromissione psicofisica medicalmente accertabile. Anzi, proprio l’aumento percentuale del risarcimento riconosciuto in funzione del punto di invalidità non è altro che il riconoscimento di questa voce,
138 Cass., 20 novembre 2012, n. 20292.
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benché descrittiva, del danno e, quindi, il riconoscimento della descrizione di quei patimenti ulteriori che il soggetto vittima di una lesione psicofisica subisce sul piano relazionale e di cui potrà chiedere il risarcimento se fornisce adeguata prova degli stessi.
Il problema vero, dunque, non è tanto il riconoscimento del danno esistenziale o morale accanto al danno biologico, bensì il riconoscimento degli stessi a prescindere dal danno biologico, quando manchi, cioè, la lesione del diritto alla salute, ma sia configurabile la lesione di un altro diritto costituzionalmente protetto attinente alla persona. Con riferimento al danno morale, l’autonomia rispetto al danno biologico sembrerebbe emergere dalla giurisprudenza di legittimità più recente alla quale la Corte si richiama.
Per quanto riguarda il c.d. danno parentale, la sentenza 18641 del 2011 (richiamata dalla Corte) aveva espressamente specificato che vanno ristorati anche gli aspetti relazionali propri del danno da perdita del rapporto parentale inteso come danno esistenziale. E, in considerazione della compromissione di questi aspetti, il risarcimento potrà essere aumentato anche di una percentuale notevole del danno biologico.
Infatti, nella più ampia dimensione del risarcimento del danno alla persona, proprio la necessità dell’integrale riparazione del danno parentale comporta che la relativa quantificazione dev’essere tanto più elevata “quanto più grave risulti il vulnus alla situazione soggettiva tutelata dalla Costituzione inferto al danneggiato, e tanto più articolata quanto più esso abbia comportato un grave o gravissimo, lungo o irredimibile sconvolgimento della qualità e della quotidianità della vita stessa”.
Ferma restando, dunque, secondo la Corte, l’autonomia del danno morale non solo dal danno biologico, ma anche dal danno “dinamico relazionale” (configurabile anche quando manchi un danno alla salute), la questione della legittimità del risarcimento del danno esistenziale va affrontata alla luce delle statuizioni del 2008 con le quali le Sezioni Unite ricondussero tanto il danno esistenziale quanto il danno morale a voci descrittive del danno non patrimoniale inidonee a costituirne autonoma categoria risarcitoria.
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Si trattava, tuttavia, di principi che erano stati affermati nell’intento di porre un limite alla “pan-risarcibilità” di ogni species del pregiudizio non patrimoniale anche se priva di qualsiasi fondamento costituzionale. Con la conseguenza che, proprio sulla base di questi principi, si può affermare che sono risarcibili quelle situazioni soggettive costituzionalmente tutelate, diverse dalla salute, incise dalla condotta del danneggiante oltre una soglia minima di tollerabilità ravvisabile sulla base di principi di convivenza civile.
Proprio le sentenze del 2008 offrirebbero al giudice di merito una precisa indicazione nella parte in cui fanno riferimento alla centralità della persona e alla integralità del risarcimento del valore uomo, “così dettando un vero e proprio statuto del danno non patrimoniale alla persona per il terzo millennio.”
D’altronde proprio la categoria del danno biologico fornirebbe una risposta circa la “sopravvivenza” del danno esistenziale, se per danno esistenziale si intende quel danno che, in caso di lesione della salute, si colloca nella sfera dinamico relazionale del soggetto, come conseguenza autonoma della lesione medicalmente accertabile. E come prova di ciò è sufficiente constatare che un danno biologico non è configurabile ogni qualvolta la lesione non abbia procurato conseguenze dannose risarcibili al soggetto: è il caso, ad esempio, della rottura da parte di un terzo di un dente destinato comunque ad essere estirpato a breve dal dentista. In questa ipotesi, infatti, è configurabile una lesione medicalmente accertabile, la quale tuttavia non dovrebbe essere giuridicamente risarcibile, in quanto non ne è derivata alcuna conseguenza dannosa sul piano della salute. Il che, però, non esclude, in astratto, la configurabilità di un danno morale soggettivo (per la sofferenza interiore procurata dalla lesione) e di un possibile danno “dinamico-relazionale”, sia pure circoscritto nel tempo.
Le sentenze del 2008, quindi, secondo la Cassazione, devono essere lette “attraverso una ermeneutica di tipo induttivo che, dopo aver identificato l'indispensabile situazione soggettiva protetta a livello costituzionale (il rapporto familiare e parentale, l'onore, la reputazione, la libertà religiosa, il diritto di autodeterminazione al trattamento sanitario, quello all'ambiente, il diritto di libera
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espressione del proprio pensiero, il diritto di difesa, il diritto di associazione e di libertà religiosa ecc.), consenta poi al giudice del merito una rigorosa analisi ed una conseguentemente rigorosa valutazione tanto dell'aspetto interiore del danno (la sofferenza morale) quanto del suo impatto modificativo in pejus con la vita quotidiana (il danno esistenziale).”
Il dolore interiore e l’alterazione della vita quotidiana sarebbero, secondo la Corte, i due autentici momenti essenziali della sofferenza dell’individuo, come confermerebbe l’art. 612 bis c.p., il quale, sotto la rubrica "Atti persecutori", dispone che sia "punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita".
Dolore interiore e alterazione della vita quotidiana sarebbero, dunque, due danni diversi e, perciò, autonomamente risarcibili, a patto che siano rigorosamente provati caso per caso, al di là di qualsiasi generalizzazione meramente formale o sommaria. Ancora una volta, quindi, la prova e l’attenzione alle circostanze del caso concreto sembrerebbero costituire un limite ad un’altrimenti irrefrenabile tendenza risarcitoria. Il giudice non può esimersi dalla valutazione delle circostanze particolari del caso, in quanto “anche il dolore più grave che la vita può infliggere, come la perdita di un figlio, può non avere alcuna conseguenza in termini di sofferenza interiore e di stravolgimento della propria vita ‘esterna’ per un genitore che, quel figlio, aveva da tempo emotivamente cancellato, vivendo addirittura come una liberazione la sua scomparsa.” D’altronde proprio il rigore probatorio veniva indicato da Claudio Scognamiglio e da Emanuela Navarretta come un limite all’esuberanza sanzionatoria, dovendosi escludere la configurabilità di un danno
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morale, ad esempio, nel caso in cui “si dimostrasse che taluno aveva programmato di uccidere un parente, che poi viene dolosamente assassinato da un terzo.”139
In conclusione, secondo la Corte, se la categoria del danno esistenziale risulta “indefinita e atipica” ciò è dovuto soltanto al fatto che “indefinita e atipica” è la dimensione della sofferenza umana.
Anche se, secondo alcuni, come Ponzanelli140, il vero problema in realtà è
l’individuazione del metodo da seguire per la determinazione del quantum risarcitorio, la sentenza assume comunque notevole importanza in considerazione del fatto che a distanza di quattro anni dalle sentenze di San Marino viene espressamente affermata la non necessità del danno biologico ai fini della risarcibilità tanto del danno morale quanto del danno esistenziale, il quale, in ogni caso, costituirebbe, pur a fronte di una lesione della salute, una conseguenza autonoma della stessa rispetto al danno biologico.
Secondo lo stesso Ponzanelli, che critica l’impostazione seguita dalla Corte, occorrerebbe piuttosto distinguere tra un danno non patrimoniale biologico, tendenzialmente onnicomprensivo, salva la possibilità di personalizzazione, e risarcibile sulla base delle Tabelle milanesi, e un danno non patrimoniale non biologico, derivante dalla violazione di un diritto costituzionale o da un precetto legislativo, la cui quantificazione deve avvenire attraverso una valutazione equitativa che tenga conto anche di criteri quali la gravità e il tipo della condotta, che finiscono con l’attribuire al risarcimento una funzione anche deterrente.
La Corte di Cassazione, tuttavia, nel 2013, con la sentenza n. 22585, si richiama pedissequamente alla sentenza n. 20292 del 2012, concludendo che “il Collegio ritiene di dover dare ulteriore continuità a tali principi”, cercando di consolidare in questo modo l’orientamento favorevole alla autonomia ontologica del danno morale e del danno esistenziale rispetto al danno biologico.
139 E. Navarretta, Funzioni del risarcimento e quantificazione dei danni non patrimoniali, in La funzione deterrente della responsabilità civile alla luce delle riforme straniere e dei Principles of European Tort Law, 2011.
140 G. Ponzanelli, Non è tanto il danno esistenziale, ma il “quantum” il vero problema del danno non patrimoniale, in Danno e resp., 2011.
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8. Il tentativo della Cassazione di ridare coerenza al sistema del danno non