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La funzione riparatorio-compensativa

4. Le diverse tesi prospettate dalla dottrina in ordine al problema della funzione

4.4. La funzione riparatorio-compensativa

Secondo un’altra tesi, invece, non vi sarebbero differenze tra la funzione del risarcimento del danno patrimoniale e la funzione del risarcimento del danno non patrimoniale: la funzione sarebbe, in entrambi i casi, una funzione riparatorio- compensativa.

A sostegno di questa tesi viene addotto innanzitutto un argomento di carattere linguistico-testuale: il legislatore codicistico del 1942 non ha reintrodotto la distinzione tra risarcimento e riparazione che era stata mantenuta fino al codice Rocco e, secondo questa tesi, non lo avrebbe fatto in modo consapevole date le critiche che erano state avanzate dalla dottrina contro l’art. 185 c.p.

Bianca, al riguardo, ritiene che la tesi secondo la quale il risarcimento del danno non patrimoniale avrebbe una funzione punitiva è smentita dallo stesso art. 2059 c.c. il quale parla di risarcimento. E risarcimento, nel diritto privato, ha il significato di ristoro del danno arrecato. Si tratta, dunque, a tutti gli effetti di un rimedio privatistico e il diritto privato è costituito per tutelare gli interessi dei consociati, non per punire, compito quest’ultimo assegnato al diritto penale. Funzione del risarcimento del danno, dunque, è solo quella di compensare il danneggiato per i danni sofferti, non quella di imporre una sanzione afflittiva al danneggiante che sarebbe del tutto estranea al diritto privato e alla sua logica. Il sistema pone,

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dunque, al centro il danneggiato, non l’autore dell’illecito. E ciò è confermato dalla stessa nozione di risarcimento.44

Si deve quindi sostenere che il risarcimento svolge un ruolo unitario tanto per il danno patrimoniale quanto per il danno non patrimoniale. D’altronde, secondo questa tesi, sarebbe difficile assegnare al termine “riparazione” un significato differente da quello di ripristino della alterazione o della soppressione di un bene, significato che dunque è del tutto coincidente con quello di risarcimento. Per non parlare poi delle incertezze che si riscontrano in ordine al significato da attribuire al termine riparazione, dato che vi è chi parla, per qualificare il risarcimento dei danni non patrimoniali, di “figure risarcitorie non riparatorie”, muovendo dalla premessa secondo la quale, “all’interno del risarcimento in senso lato, è possibile distinguere tra risarcimento vero e proprio, modulato secondo la funzione riparatoria dell’art. 1223 c.c., e rimedi non riparatori, non necessariamente punitivi”.45

Si è inoltre affermato a sostegno di questa tesi che se davvero l’entità del risarcimento del danno morale va proporzionata alla gravità del fatto, si deve allora necessariamente concludere che anche in quest’ambito vige un principio di equivalenza del tutto corrispondente a quello che opera in materia di risarcimento del danno patrimoniale, semplicemente sarebbero differenti i criteri in virtù dei quali realizzare questa equivalenza.

A sostegno della tesi della funzione riparatoria del risarcimento del danno non patrimoniale, poi, Bianca richiama lo stesso art. 185 c.p. il quale dichiara tenute al risarcimento anche le persone che rispondono per il fatto del reo, cioè persone che non rispondono penalmente e che non possono quindi essere destinatarie di sanzioni punitive. Inoltre, ammettere che il risarcimento abbia funzione punitiva significherebbe sostanzialmente esporre il responsabile a sanzioni penali senza la garanzia del principio di legalità, dato che nel diritto civile non si riscontra la tipizzazione del reato (e anzi si è sempre ritenuto che l’illecito aquiliano abbia carattere di atipicità, non essendo esattamente descritto dal legislatore il fatto

44 C.M. Bianca, La responsabilità, in Diritto Civile, V, 2012.

45 F. D. Busnelli, Deterrenza, responsabilità civile, fatto illecito, danni punitivi, in Danno e responsabilità civile, 2013.

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idoneo a produrre un danno risarcibile), con conseguente violazione dei principi costituzionali.

Contro questa tesi, tuttavia, si è ribattuto, innanzitutto, che l’argomento basato sul dato testuale non sarebbe affatto dirimente (soprattutto se si confronta il dato testuale del codice con quanto emerge dalla Relazione al re). Inoltre si è affermato che non sarebbe possibile compensare il dolore inflitto: questo, infatti, discende della lesione di un bene o di un diritto della personalità insuscettibile di valutazione economica secondo la logica propria del risarcimento del danno patrimoniale e quindi mediante il riferimento ai parametri del mercato. Il risarcimento, in sostanza, non potrebbe considerarsi uno strumento per procedere alla ricostituzione della situazione pregressa alterata dalla sofferenza o dai turbamenti, i quali, a ben vedere, non possono essere eliminati, annullati, ma, al massimo, per il tramite del risarcimento, si potrebbero creare condizioni sostitutive in grado di lenire la lesione subita. In questo senso Ravazzoni sostiene che, se la sensazione dolorosa cagionata dall’illecito non può essere rimossa, ciò significa che la soddisfazione conseguente all’attribuzione di una somma di denaro agisce su un piano differente, secondo la tesi della funzione consolatorio-satisfattiva.46

Contro la tesi della funzione riparatoria, poi, si afferma che questa non può nemmeno poggiare sul fatto che la titolarità dell’azione spetta anche alle persone giuridiche, compreso lo Stato, in relazione a reati che determinino un pregiudizio all’immagine o alla considerazione di cui gode la collettività dei cittadini. Anche in questa ipotesi, infatti, la natura della lesione è tale per cui essa non può essere risarcita nelle modalità attraverso le quali si provvede alla reintegrazione della vittima di un danno patrimoniale, in quanto le ripercussioni del danno morale, anche quando si producono in capo a persone giuridiche, non possono essere soppresse, con il conseguente ripristino dello status quo ante attraverso una compensazione che si realizza per equivalente pecuniario; ma a fronte delle stesse sarà necessario adottare un rimedio avente natura necessariamente diversa.

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Un altro argomento contrario deriverebbe dalla inapplicabilità del principio della

compensatio lucri cum damno nel caso di danno non patrimoniale. Gli ostacoli

all’ammissibilità di questo principio in materia di risarcimento del danno non patrimoniale, infatti, derivano dall’impossibilità di ridurre alla stessa unità di misura (i parametri desumibili dal mercato) valori tra loro del tutto eterogenei. Alcuni, poi, hanno addotto quale ulteriore argomento contrario l’inapplicabilità del rimedio della riparazione in forma specifica al danno morale. Ma, fermo restando che questo rimedio opera su un piano diverso rispetto a quello del risarcimento per equivalente, occorre rilevare che si tratta di un rimedio che, anche nell’ambito del danno patrimoniale, risulta attuabile solo in casi circoscritti e in base ad una valutazione di possibilità che tenga conto delle circostanze del caso concreto. Di conseguenza, quest’argomento è sicuramente quello meno idoneo a dimostrare la differenza funzionale tra risarcimento del danno patrimoniale e risarcimento del danno non patrimoniale.

Piuttosto, i sostenitori della tesi secondo cui il risarcimento avrebbe funzione unitaria da identificare essenzialmente in una finalità riparatorio-compensativa, non negano l’impossibilità di cancellare i pregiudizi non patrimoniali mediante l’attribuzione di una somma di denaro al danneggiato. Semplicemente prendono atto che il risarcimento non potrebbe che praticarsi in denaro, dato che quest’ultimo è il comune denominatore di tutti i diversi beni e valori (non solo patrimoniali, dunque) negli ordinamenti moderni.

Più di recente, Cendon, di fronte alle osservazioni circa l’incommensurabilità in denaro di turbamenti e sofferenze aliene da risvolti di carattere patrimoniale, ha affermato, non senza ironia, che è del tutto evidente come in astratto, non solo la responsabilità civile non può cancellare l’accaduto o “riportare indietro gli orologi”, ma nemmeno può, mediante l’attribuzione di una somma di denaro, neutralizzare, sul piano relazionale e quotidiano, tutte quelle ripercussioni negative che sono destinate a prodursi nella sfera, ad esempio, di un bambino vittima di violenze, di una donna il cui marito sia stato ucciso, di un imputato ingiustamente messo in carcere a causa di un errore giudiziario. “E tuttavia appunti del genere, bisogna dire,

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risultano di significato ben modesto — dal punto di vista applicativo. La storia del danno morale appare eloquente, in proposito — e non c’è bisogno di ricordarla nei dettagli (nemmeno con riguardo alle sue origini). Nessun avversario della categoria in esame è mai riuscito, in effetti, a replicare adeguatamente alle contro-obiezioni di fondo: — posto che (prevenire è meglio che reprimere, e che tuttavia) la prevenzione dei danni e delle sofferenze non sempre è facile o possibile, ad opera dell’ordinamento giuridico; — stabilito che una qualche forma di protezione, a favore di chi pianga e si tormenti per le offese ingiustamente ricevute, non può tendenzialmente mancare, sul terreno civilistico; — tenuto conto che a poter reagire contro il male (ormai prodottosi) è spesso, al di là di ogni buona intenzione, unicamente l’istituto della responsabilità delittuale; — visto che le risorse tecnico/istituzionali di cui quest’ultima dispone figurano ristrette, nella normalità dei casi, alla messa in opera di soluzioni di ordine pecuniario/risarcitorio: — orbene, che fare se non assicurare alla vittima del fatto pregiudizievole perlomeno i vantaggi […] di una provvista di denaro?”47

Altra parte della dottrina, poi, ha cercato di dimostrare che, in realtà, si deve parlare di risarcimento per equivalente in senso proprio sia nel caso di danni patrimoniali che nel caso di danni non patrimoniali, in considerazione della affinità sostanziale esistente tra i due fenomeni. Ed infatti, secondo De Cupis, in materia di danno non patrimoniale, è solo l’equo arbitrio del giudice che permette di creare, mediante il risarcimento, una situazione di equivalenza rispetto a quella compromessa e cioè una situazione di equivalenza tra una somma di denaro e il danno non patrimoniale verificatosi, attribuendo con un artificio giuridico a questa somma di denaro l’attitudine ad esprimere la misura del danno. Ma è chiaro che l’equivalenza tra la situazione conseguente alla dazione della somma di denaro e quella preesistente al danno e, quindi, in definitiva, tra risarcimento e danno, ha natura squisitamente giuridica e si giustifica solo in considerazione del fine riparatorio.48

In sostanza, secondo questa tesi, è proprio il fine riparatorio che determina una equivalenza meramente giuridica tra danno e risarcimento, e ciò avviene sia nel

47 P. Cendon, Esistere o non esistere, in Persona e danno, II, 2004. 48 A. De Cupis, Dei fatti illeciti, in Comm. cod. civ., 1971.

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caso di danno patrimoniale che nel caso di danno non patrimoniale. Anche nel caso di danno patrimoniale, infatti, non esiste una identità intrinseca tra l’oggetto del danno e l’oggetto del risarcimento. L’equivalenza sarebbe soltanto il riflesso di un rapporto posto dallo stesso danneggiato ed espresso mediante una convenzione sociale, rappresentata, in un dato momento storico, dal riferimento al valore di mercato.49 Il valore di mercato, ovviamente, non può essere richiamato quando si

tratti di danni non patrimoniali, ma ciò non esclude la possibilità di utilizzare un altro parametro convenzionale, rappresentato questa volta dal giudizio equitativo del giudice che dovrà determinare il risarcimento secondo una valutazione sociale tipica, al fine di attribuire al danneggiato un risarcimento che, in relazione alla gravità della lesione, appaia socialmente adeguato.50

Questa tesi, dunque, cerca di smontare l’assunto per cui nel caso di danno patrimoniale vi sarebbe una identità tra oggetto del danno e oggetto del risarcimento che manca invece nel caso di danno non patrimoniale. Il valore di scambio desumibile dal mercato, a ben vedere, non è altro che il frutto di una relazione tra due beni, instaurata in un determinato momento storico sulla base di un parametro tipizzabile. Per cui, la funzione del risarcimento è unica e correttamente il legislatore si è espresso, all’art. 2059 c.c., in termini di risarcimento del danno non patrimoniale. E ciò anche in considerazione del fatto che l'espressione “riparazione”, sempre secondo De Cupis, sarebbe maggiormente idonea a designare genericamente ogni rimedio, pecuniario e non pecuniario, che, a favore del danneggiato, abbia una qualche efficacia repressiva del danno patrimoniale o non patrimoniale, ricomprendendo, dunque, tanto le diverse forme di risarcimento quanto la reintegrazione in forma specifica. Il risarcimento, che, tra le diverse modalità di riparazione del danno, si caratterizzerebbe per il fatto di avvenire per equivalente, assume sicuramente connotati peculiari quando riguarda

49 M. Di Marzio, Le funzioni del risarcimento, in La prova e il quantum nel risarcimento del danno non patrimoniale a cura di P. Cendon, 2008.

50 C.M. Bianca, La responsabilità, in Diritto Civile, V, 2012. Data l’inapplicabilità dei criteri di

quantificazione del danno patrimoniale, occorre tener conto degli elementi che determinano la maggiore o minore gravità personale del danno, tra cui il carattere doloso del fatto in quanto esso accresce l’intensità della lesione subita dalla vittima.

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il danno non patrimoniale. E, tuttavia, secondo questa tesi, anche in questo caso, esso opera per mezzo dell’equivalente pecuniario, cosa che dimostrerebbe, nonostante il significato particolare da attribuire alla nozione di equivalenza, la fondamentale unità della nozione di risarcimento.51

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