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Il danno esistenziale e le liti c.d bagatellari

5. Le sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione dell’11 novembre 2008

5.3. Il danno esistenziale e le liti c.d bagatellari

Le Sezioni Unite, dopo aver già accennato il divario tra giurisprudenza di legittimità (che ammetteva la risarcibilità del c.d. danno esistenziale solo a fronte della lesione di interessi di rango costituzionale) e giurisprudenza di merito (che invece ammetteva la risarcibilità del danno esistenziale spesso anche a prescindere dall’identificazione dell’interesse giuridico leso dall’illecito), ritorna sul punto affermando che “palesemente non meritevoli della tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, sono i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale, ai quali ha prestato invece tutela la giustizia di prossimità. Non vale, per dirli risarcibili, invocare diritti del tutto immaginari, come il diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla serenità: in definitiva il diritto ad essere felici. Al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria, solo la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale.” Proprio per mancanza di un’ingiustizia costituzionalmente qualificata è stato negato il risarcimento del danno ad una persona che si affermava “stressata” per l’installazione di un lampione a ridosso del proprio appartamento per la perdita della serenità e della sicurezza, non trattandosi di interessi presidiati da diritti di rango costituzionale. E, non godendo di copertura costituzionale il rapporto tra

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l’uomo e l’animale, nemmeno è stato riconosciuto il risarcimento del danno sofferto per la perdita dell’animale.

Tuttavia proprio il diverso approccio della giurisprudenza di prossimità in materia di danno esistenziale ha portato alla proliferazione di quelle che le Sezioni Unite definiscono liti “bagatellari”. In particolare con questa espressione le Sezioni Unite hanno inteso fare riferimento a quelle cause in cui il danno consequenziale è futile o irrisorio, ovvero a quelle in cui, pur essendo lo stesso oggettivamente serio, esso è, alla stregua della coscienza sociale, insignificante o irrilevante per il livello raggiunto.

In entrambi i casi, presupposto imprescindibile è che sussista una ingiustizia costituzionalmente qualificata, altrimenti, al di fuori dei casi previsti dalla legge, è esclusa in radice l’invocabilità dell’art. 2059 c.c. La differenza sta nel fatto che nel primo caso viene allegato un pregiudizio futile, non serio (come “non poter più urlare allo stadio, fumare o bere alcolici”), mentre nel secondo caso è l’offesa che manca di gravità, in quanto il diritto non è stato inciso oltre una soglia minima (“come avviene nel caso del graffio superficiale dell'epidermide, del mal di testa per una sola mattinata conseguente ai fumi emessi da una fabbrica, del disagio di poche ore cagionato dall'impossibilità di uscire di casa per l'esecuzione di lavori stradali di pari durata”).

Non ogni lesione di diritti inviolabili della persona, dunque, dà luogo a risarcimento. Affinché il pregiudizio non patrimoniale derivato da una lesione di questo tipo sia risarcibile è necessario il requisito ulteriore della gravità dell’offesa, nel senso che il diritto dev’essere inciso oltre una soglia minima, e della serietà del danno che ne sia derivato, nel senso che questo non deve risultare astrattamente meritevole di tutela, ma deve risultare meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza.

Anzi, proprio il doppio filtro della gravità della lesione e della serietà del danno permette di attuare il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima e quello di tolleranza, per cui solo quando sia superato il livello di tollerabilità e il pregiudizio non sia futile, il danno non patrimoniale sarà risarcibile. In virtù del

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dovere di tolleranza che la convivenza impone, ogni persona inserita nel contesto sociale sarà tenuta a sopportare pregiudizi connotati da futilità (alla luce dell’art. 2 della Costituzione).

Ancora una volta viene rimesso al giudice il potere di accertare entrambi i requisiti alla stregua del parametro della coscienza sociale in un determinato momento storico.

Questi principi, inoltre, devono essere rispettati anche dai giudici di pace nelle sentenze decise secondo equità, dato che l’art. 2059 c.c. “nella lettura costituzionalmente orientata accolta da queste Sezioni unite, in quanto pone le regole generali della tutela risarcitoria non patrimoniale, costituisce principio informatore della materia in tema di risarcimento del danno non patrimoniale” da osservare, quindi, anche quando si decide secondo equità.

In questo modo le Sezioni Unite risolvono un’altra delle questioni che erano rimaste aperte a seguito delle sentenze del 2003, dichiarando chiaramente che non è sufficiente la lesione di un interesse della persona di rilievo costituzionale, ma sono ulteriormente necessarie la gravità della lesione e la serietà del pregiudizio derivatone. Solo così potrà attuarsi un adeguato bilanciamento tra i principi di solidarietà e tolleranza, garantendo una efficace tutela della persona, ma, al contempo, evitando che il giudizio risarcitorio divenga occasione di istanze del tutto capricciose o stimolate da intenti di rivalsa. Solo in questo modo, peraltro, è possibile garantire un’efficace tutela della persona e, insieme, evitare un’indiscriminata proliferazione dei giudizi risarcitori.

Secondo le Sezioni Unite, dunque, va data risposta negativa a tutti i quesiti dell’ordinanza di rimessione in quanto essi presuppongono la sussistenza dell’autonoma categoria del danno esistenziale, mentre “deve ribadirsi che il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare, non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata ‘danno esistenziale’, perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell'atipicità, sia pure attraverso l'individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno

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esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario né è necessitata dall'interpretazione costituzionale dell'art. 2059 c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione”.

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