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Gli interventi del legislatore del 2009 e del 2010 in materia di danno non patrimoniale.

Sebbene negata dalle Sezioni Unite, la giurisprudenza che afferma l’autonomia ontologica del danno morale rispetto al danno biologico sembra trovare conferma in due interventi normativi del 2009.

Il primo di questi interventi è rappresentato dal d.P.R. n. 37 del 3 marzo 2009. Si tratta di un intervento settoriale, dal quale tuttavia si traggono delle indicazioni importanti, tanto che, secondo alcuni, quest’intervento dovrebbe leggersi come espressione di un principio generale, in materia di danno non patrimoniale, accolto dal legislatore.

Con questo decreto, il legislatore ha dettato il “Regolamento per la disciplina dei termini e delle modalità di riconoscimento di particolari infermità da cause di servizio per il personale impiegato nelle missioni militari all'estero, nei conflitti e nelle basi militari nazionali”, ma ciò che, in questa sede, interessa è la norma di cui all’art. 5 che sembra confermare gli interventi della Terza Sezione della Corte di Cassazione subito successivi alle sentenze di San Martino. L’art 5, infatti, rubricato “Criteri per la determinazione dell’invalidità permanente”, stabilisce che “1. Per

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l'accertamento delle percentuali di invalidità si procede secondo i seguenti criteri e modalità:

a) la percentuale d'invalidità permanente (IP), riferita alla capacità lavorativa, è attribuita scegliendo il valore più favorevole tra quello determinato in base alle tabelle per i gradi di invalidità e relative modalità d'uso approvate, in conformità all'articolo 3, comma 3, della legge 29 dicembre 1990, n. 407, con il decreto del Ministro della sanità 5 febbraio 1992 e successive modificazioni, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 47 del 26 febbraio 1992, e il valore determinato in base alle tabelle A, B, E ed F1 annesse al decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915, e successive modificazioni, e relativi criteri applicativi. […];

b) la percentuale del danno biologico (DB) è determinata in base alle tabelle delle menomazioni e relativi criteri applicativi di cui agli articoli 138, comma 1, e 139, comma 4, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e successive modificazioni;

c) la determinazione della percentuale del danno morale (DM) viene effettuata, caso per caso, tenendo conto della entità della sofferenza e del turbamento dello stato d'animo, oltre che della lesione alla dignità della persona, connessi e in rapporto all'evento dannoso, in una misura fino a un massimo di due terzi del valore percentuale del danno biologico;

d) la percentuale di invalidità complessiva (IC), che in ogni caso non può superare la misura del cento per cento, è data dalla somma delle percentuali del danno biologico, del danno morale e del valore, se positivo, risultante dalla differenza tra la percentuale di invalidità riferita alla capacità lavorativa e la percentuale del danno biologico: IC= DB+DM+ (IP-DB).”

La norma è particolarmente significativa in quanto sembrerebbe confermare l’autonomia ontologica e risarcitoria del danno morale rispetto al danno biologico. Del danno biologico, infatti, la norma si occupa al punto b), del danno morale, invece, si occupa al punto c). Entrambi concorrono a determinare l’invalidità complessiva e possono essere considerati voci della stessa. Il fatto, però, che la

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norma abbia distinto danno morale e danno biologico lascia intendere che si tratta di due pregiudizi distinti e che il primo nemmeno viene ad essere automaticamente assorbito nel secondo. Il danno biologico non può considerarsi una voce di danno onnicomprensiva, in quanto non necessariamente essa ricomprende il danno morale. Inoltre mentre il danno biologico incide sul bene della salute, il danno morale incide sul bene della dignità umana, come lascia intendere la stessa norma. Anzi, più precisamente, la norma lascia intendere una duplice valenza del danno morale (che solo successivamente sarà chiaramente palesata dalla giurisprudenza), come danno consistente nella sofferenza e nel turbamento dello stato d’animo ovvero come danno derivante dalla lesione della dignità umana. A conferma del fatto che questo pregiudizio non può essere liquidato secondo meccanismo di tipo automatico, l’art. 5 stabilisce espressamente che “la determinazione della percentuale del danno morale” dovrà essere effettuata “caso per caso”, tenendo conto delle circostanze del caso concreto e procedendo ad un’adeguata personalizzazione del danno, secondo una delle linee guida delle sentenze di San Martino.

Significativa è la circostanza che la norma, per la liquidazione del danno biologico, richiama il codice delle assicurazioni, con la conseguenza che questo sembrerebbe delineare un sistema suscettibile, nelle intenzioni del legislatore, di applicazione generalizzata (il che confermerebbe uno dei passaggi delle sentenze dell’11 novembre). Da ciò, perciò, alcuni desumono che la norma, benché contenuta in un decreto di settore, comunque, permette di individuare un principio di più ampia portata: il danno morale è dotato di autonomia rispetto al danno biologico.

Quest’intervento, d’altronde, non è rimasto affatto isolato. A pochi mesi di distanza dal d.P.R. 37/2009, il legislatore è intervenuto con una nuova normativa di settore che conferma appieno le linee guida desumibili da questo decreto. Si tratta del d.P.R. n. 181 del 30 ottobre del 2009 che disciplina il “Regolamento recante i criteri medico-legali per l'accertamento e la determinazione dell'invalidità e del danno biologico e morale a carico delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice”. Anche in questo caso il legislatore ha tenuto distinto il danno morale dal

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danno biologico. Non solo: a differenza di quanto disposto con il d.P.R. 37/2009, in questo caso il legislatore detta anche una specifica definizione del danno morale. L’art. 1, infatti, rubricato “Definizioni” stabilisce che “1. Ai fini del presente regolamento:

a) per danno biologico, si intende la lesione di carattere permanente all'integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito;

b) per danno morale, si intende il pregiudizio non patrimoniale costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal fatto lesivo in sé considerato”.

La definizione di danno biologico ricalca quella già dettata dal codice delle assicurazioni. Quella di danno morale, invece, ricalca quanto statuito dalle Sezioni Unite con le sentenze di San Martino. Ma ciò che assume rilievo è proprio il fatto che sia stata data una definizione di danno morale distinta dalla definizione di danno biologico, a voler sottolineare l’autonomia della due voci di danno. Autonomia che sembrerebbe poi trovare conferma all’art. 4, il quale nel dettare i “Criteri medico-legali per la rivalutazione dell'invalidità permanente, e per la determinazione del danno biologico e del danno morale”, stabilisce che “1. Per la rivalutazione delle invalidità già riconosciute e indennizzate, si procede secondo i seguenti criteri e modalità:

a) la percentuale d'invalidità permanente (IP), riferita alla capacità lavorativa, è attribuita secondo quanto indicato all'articolo 3. Resta salva l'applicazione di altri criteri tabellari, adottati in sede di prima valutazione, se più favorevoli;

b) la percentuale del danno biologico (DB) è determinata in base alle tabelle delle menomazioni e relativi criteri applicativi di cui agli articoli 138, comma 1, e 139, comma 4, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e successive modificazioni;

c) la determinazione della percentuale del danno morale (DM) viene effettuata, caso per caso, tenendo conto della entità della sofferenza e del turbamento dello

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stato d'animo, oltre che della lesione alla dignità della persona, connessi ed in rapporto all'evento dannoso, fino ad un massimo dei 2/3 del valore percentuale del danno biologico;

d) la percentuale unica di invalidità indicante l'invalidità complessiva (IC), di cui all'articolo 6 della legge 3 agosto 2004, n. 206, che in ogni caso non può superare la misura del cento per cento, è data dalla somma delle percentuali del danno biologico, del danno morale e del valore, se positivo, risultante dalla differenza tra la percentuale di invalidità riferita alla capacità lavorativa e la percentuale del danno biologico: IC= DB+DM+ (IP-DB).”

Ancora una volta, dunque, il legislatore sancisce una differenza tra danno biologico e danno morale anche sul piano della liquidazione, in quanto nel primo caso si deve operare secondo le tabelle del codice delle assicurazioni, nel secondo caso, invece, il giudice dovrà tener conto delle circostanze del caso concreto e dovrà fare riferimento alla sofferenza e al turbamento d’animo patito dal danneggiato, oltre che al danno conseguente alla lesione della dignità della persona. E’ significativo, perciò, che il legislatore si sia richiamato non solo al codice delle assicurazioni, ma anche a quanto stabilito dallo stesso d.P.R. n. 37 del 2009, quasi a voler confermare che la sovrapposizione del danno biologico e del danno morale non è ipotesi del tutto eccezionale e derogatoria, ma piuttosto la conferma di un principio generale: quello dell’autonomia del danno morale rispetto al danno biologico. Autonomia che si desume dalla diversità del bene la cui lesione viene in rilievo e che impedisce di procedere ad un automatico assorbimento del danno morale nell’alveo del danno biologico.

Sembra, dunque, sulla base di questi due interventi normativi trovare conferma la tesi secondo la quale, pur nell’ambito di una liquidazione unitaria, l’integralità del risarcimento del danno non patrimoniale comporta che il giudice dovrà tener conto di tutti i pregiudizi in concreto riscontrabili, senza procedere, a fronte di una lesione della salute, ad un automatico assorbimento del danno morale nell’ambito del danno biologico, trattandosi di due tipi di pregiudizi distinti e dotati di autonomia ontologica.

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D’altronde che salute e dignità della persona siano beni giuridici distinti sembra trovare conferma, sebbene in un contesto differente, nella legge n. 38 del 15 marzo 2010, la quale nel dettare “Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”, individua quali principii fondamentali la tutela della dignità e dell’autonomia del malato, senza alcuna discriminazione, la tutela e promozione della qualità della vita fino al suo termine, l’adeguato sostegno sanitario e socioassistenziale della persona malata e della famiglia. Anzi, la norma sembrerebbe individuare quale bene rilevante in sé anche la tutela della qualità della vita, a cui ha sempre fatto riferimento la dottrina c.d. esistenzialista.

4. La riaffermazione dell’autonomia del danno morale da parte della giurisprudenza

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