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La prova e la liquidazione del danno non patrimoniale

5. Le sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione dell’11 novembre 2008

5.5. La prova e la liquidazione del danno non patrimoniale

Le Sezioni Unite, da ultimo, affrontano i problemi relativi alla prova e alla liquidazione del danno non patrimoniale, ribadendo, innanzitutto, il principio del risarcimento del danno effettivo.

“Il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre”. Dev’esservi, dunque, corrispondenza tra risarcimento e danno, secondo la regola generale. Peraltro, alla luce dell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., il danno non patrimoniale costituisce categoria unitaria insuscettibile di suddivisione in sottocategorie. E’, quindi, soltanto a fini descrittivi che si parla di danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale, i quali non identificano autonome categorie di danno. Perciò, a prescindere dal nome attribuito al danno allegato, il giudice deve verificare l’effettiva consistenza del pregiudizio, individuando le ripercussioni negative che si siano effettivamente prodotte sul valore-uomo e provvedendo alla loro integrale riparazione.

Fondamentale è, dunque, il ruolo del giudice nell’accertamento delle circostanze del caso concreto. Nel caso in cui l’illecito configuri un’ipotesi di reato, viene in rilievo, innanzitutto, la sofferenza morale, la quale, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, costituisce un danno non patrimoniale. E’ necessario, però, che si tratti della sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di un più complesso pregiudizio di carattere non patrimoniale. La prima ipotesi ricorre quando “sia allegato il turbamento dell'animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio,

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dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza”. Si tratta, in sostanza, della figura tradizionale del danno morale, depurata dal requisito della transitorietà e riconosciuta come rilevante in sè, in quanto sofferenza soggettiva priva di degenerazioni patologiche. A fronte di conseguenze patologiche, invece, “si rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente”. Perciò, costituirà duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale inteso come sofferenza soggettiva in sé considerata “sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo”. Anche qualora il giudice si avvalga delle note tabelle, egli dovrà comunque procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza.

“Egualmente determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato”. Viene così superata un’altra delle problematiche poste dalle sentenze del 2003, quella dell’individuazione di una differenza tra il “vecchio” danno morale e il “nuovo” danno non patrimoniale. Le Sezioni Unite affermano chiaramente che il danno morale non può differenziarsi dal danno non patrimoniale semplicemente in termini di durata, nel senso che il primo sarebbe transeunte, mentre invece il secondo non avrebbe carattere di transitorietà. Il danno non patrimoniale è, infatti, categoria unitaria, nell’ambito della quale non avrà alcun rilievo la distinzione tra la sofferenza patita al momento dell’illecito e quella patita successivamente nell’arco della vita del danneggiato, trattandosi semplicemente di componenti del danno rilevanti ai fini della quantificazione dello stesso.

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“Possono costituire solo ‘voci’ del danno biologico nel suo aspetto dinamico, nel quale, per consolidata opinione, è ormai assorbito il c.d. danno alla vita di relazione, i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell'integrità psicofisica, sicché darebbe luogo a duplicazione la loro distinta riparazione”. Si riprende così la tesi tradizionale secondo la quale il danno biologico avrebbe in sé una componente statica (la lesione dell’integrità psicofisica) e una componente dinamica (le ripercussione della lesione sui profili relazionali e sociali), con la conseguenza che in questo modo dovrà essere risarcito il danno biologico complessivamente considerato come “completo stato di benessere fisico, mentale e sociale”, secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

“Certamente incluso nel danno biologico, se derivante da lesione dell'integrità psicofisica, è il pregiudizio da perdita o compromissione della sessualità, del quale non può, a pena di incorrere in duplicazione risarcitoria, darsi separato indennizzo. Ed egualmente si avrebbe duplicazione nel caso in cui il pregiudizio consistente nella alterazione fisica di tipo estetico fosse liquidato separatamente e non come "voce" del danno biologico, che il c.d. danno estetico pacificamente incorpora”. In tema di danno biologico, quindi, sarà sempre necessario prendere in considerazione tanto l’aspetto statico, quanto l’aspetto dinamico, senza ricorrere ad altre figure di danno che comporterebbero una duplicazione risarcitoria.

Non sarà configurabile un danno biologico, invece, a fronte della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, e che sia rimasta lucida durante l'agonia in consapevole attesa della fine. Una sofferenza psichica siffatta, di massima intensità anche se di durata contenuta, non è suscettibile, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in patologia e quindi sarà risarcibile soltanto come danno morale nella sua nuova più ampia accezione. La giurisprudenza di legittimità, infatti, nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall'evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita e lo ammette per la

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perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile, al quale lo commisura.

Infine, per quanto riguarda il problema della prova, le Sezioni Unite affermano che il danno non patrimoniale, in quanto danno conseguenza, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti di rango costituzionale, dev’essere allegato e provato. Il danno, infatti, non si identifica con l’evento dannoso, come invece aveva affermato la Corte Costituzionale nella sentenza 184 del 1986, né, peraltro, è in re

ipsa nel caso di lesione di valori inerenti la persona. Se si seguisse quest’ultima tesi il

risarcimento verrebbe concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo.

“Per quanto concerne i mezzi di prova, per il danno biologico la vigente normativa (artt. 138 e 139 d. lgs. n. 209/2005) richiede l'accertamento medico-legale. Si tratta del mezzo di indagine al quale correntemente si ricorre, ma la norma non lo eleva a strumento esclusivo e necessario.” Secondo le Sezioni Unite, infatti, il giudice potrebbe addirittura non disporre l’accertamento medico-legale “non solo nel caso in cui l'indagine diretta sulla persona non sia possibile (perché deceduta o per altre cause), ma anche quando lo ritenga, motivatamente, superfluo, e porre a fondamento della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze), avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni”.

In tutte le altre ipotesi di danno non patrimoniale si potrà fare ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva. Nel caso in cui non si tratti di un danno biologico, dato che il pregiudizio riguarderà un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo, e potrà costituire anche l'unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri. In ogni caso sarà onere del danneggiato “allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto”. S’impongono, quindi, in ogni caso l’allegazione e la prova del danno non patrimoniale. Quando si tratti di danno biologico, si ricorrerà in via preferenziale

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all’accertamento medico-legale, che, tuttavia, non costituisce strumento esclusivo e necessario. Negli altri casi, pur essendo disponibili prova presuntiva, prova testimoniale e prova documentale, la prima è destinata ad avere un ruolo primario, in considerazione della natura (immateriale) del bene leso.

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