• Non ci sono risultati.

Le soluzioni proposte dalla dottrina con riferimento al problema della funzione

In considerazione di questi elementi e delle criticità emerse dall’analisi delle sentenze del 2008, una parte della dottrina si è specificamente occupata del problema della funzione del risarcimento del “nuovo” danno non patrimoniale. Come anticipato in precedenza, già a seguito delle sentenze del 2003 la dottrina aveva dovuto affrontare il problema della funzione in considerazione delle novità prospettate dalla Cassazione, la quale aveva ricondotto all’art. 2059 c.c. tutti i danni non aventi carattere patrimoniale, affermando però la loro autonomia ontologica. Con la conseguenza che risultavano risarcibili a norma dell’art. 2059 c.c. sia il danno morale che il danno non patrimoniale come danno da lesione di interessi della persona costituzionalmente rilevanti. Sulla premessa che “la riconduzione alla medesima norma di due danni non patrimoniali non è sistematicamente soddisfacente, se non si attribuisce loro una diversa funzione”, Franzoni aveva elaborato, nel 2003111, la tesi già esposta secondo la quale il risarcimento del danno non patrimoniale avrebbe funzione solidaristico-satisfattiva, mentre il risarcimento del danno morale avrebbe funzione mista, punitiva e satisfattiva, e si configurerebbe come una sanzione civile punitiva. Tuttavia, la funzione punitiva sarebbe eventuale, essendo più accentuata soltanto per alcuni illeciti, e sarebbe coerente con l’espressa previsione del legislatore, la quale presuppone un giudizio di disvalore e giustifica la possibilità di cumulare il danno morale non solo al danno patrimoniale e ma anche al danno non patrimoniale.

Dopo gli interventi delle Sezioni Unite del 2008, Franzoni è tornato sull’argomento, confermando in linea di massima queste argomentazioni e, quindi, confermando che, nonostante il danno morale non sia più categoria autonoma, quando la scelta cade su questa voce di danno comunque non si può escludere in via di principio che vi sia anche una finalità punitiva, la quale, d’altronde, nemmeno contrasta con la logica consolatoria e satisfattiva. E, tuttavia, secondo Franzoni, ormai il danno morale non si distinguerebbe dal danno non patrimoniale se non dal punto di vista

137

descrittivo, con la conseguenza che la sua funzione potrà essere considerata in buona sostanza la stessa del danno non patrimoniale.

Di diverso avviso è, invece, altra parte della dottrina la quale si è prevalentemente orientata nel senso di confermare la diversità delle funzioni del risarcimento delle varie voci di danno e, talvolta, ha ritenuto che proprio la pluralità di funzioni sia uno degli elementi che permette di garantire coerenza all’impianto ricostruttivo operato dalle Sezioni Unite.

In particolare, Busnelli, dopo aver esposto le criticità del sistema delineato dalle Sezioni Unite, ha cercato di operare correttivi che fossero in grado di “rafforzare la tenuta di tale ricostruzione”.112 Perciò, dopo aver criticato la configurazione dell’art. 2059 c.c. come norma a doppia soglia di ingiustizia, l’autore sottolinea la necessità di non rompere il vincolo di coerenza interna della disposizione e, quindi, l’opportunità di identificare un unico criterio generale per la selezione dei danni non patrimoniali risarcibili che, ovviamente, non sarà quello dell’intensità dell’offesa all’ordine giuridico, previsto originariamente dalla Relazione al re, bensì quello della “coscienza sociale in un determinato momento storico”, coerente con l’art. 2 Cost. e quindi con la lettura in senso costituzionale della norma. Proprio questo parametro, infatti, permette di attuare un bilanciamento tra il principio di solidarietà e il dovere di tolleranza. Tuttavia, questo bilanciamento e il filtro della gravità dell’offesa, secondo Busnelli, non possono rimanere circoscritti ai danni da lesione di diritti inviolabili della persona, ma devono estendere la loro operatività ai “casi determinati dalla legge”, compresi, in particolare, i casi di reato.

Anzi, proprio nei casi di reato, la gravità dell’offesa permette di operare correttamente la selezione dei danni non patrimoniali conseguenti a reato, essendo in questi casi “maggiormente sentito il bisogno di una più energica repressione anche con carattere preventivo”, come si esprime la Relazione al re, e dunque, potendo in questi casi il risarcimento assumere anche un carattere sanzionatorio. L’unitarietà della categoria del danno non patrimoniale dovrebbe, quindi, essere intesa nel senso che l’art. 2059 c.c. presenta una sua autonomia in ragione della

138

peculiarità e uniformità dei criteri selettivi dei danni risarcibili e della loro valenza costituzionale. Ma l’unitarietà della categoria, così intesa, non comporta il disconoscimento non tanto di distinte sottocategorie, quanto piuttosto di tipi di pregiudizio emergenti dalla realtà sociale e diversificati sotto il profilo funzionale. Tipicità, dunque, secondo Busnelli, significa modello omogeneo, al quale sarebbero conformi i diversi pregiudizi non patrimoniali che sono stati oggetto, nel corso di questi decenni, di un processo di tipizzazione ad opera del diritto vivente. Perciò, all’interno della categoria del danno non patrimoniale, si potrebbe riproporre la “trilogia” delineata dalla Corte Costituzionale, la quale aveva distinto tra danno morale, danno biologico e danno esistenziale o meglio da lesione di interessi di rango costituzionale inerenti la persona.

Il danno biologico sarebbe, in questo contesto, quello che suscita meno problemi: esso è oggetto di una definizione normativa e poggia su regole specifiche per la determinazione del risarcimento; nel suo aspetto dinamico può incorporare anche i pregiudizi esistenziali incidenti sugli aspetti relazionali; ha una funzione compensativa e prescinde dalla condizione economica del danneggiato. Questa funzione compensativa è garantita da una “collaudata suscettibilità di valutazione economica del danno” che si basa su specifiche tabelle delle menomazioni all’integrità psicofisica le quali possono essere, ovviamente, corrette dal ricorso all’equità.

Il danno da lesione di diritti inviolabili della persona è, invece, quello che determina le maggiori incertezze. Innanzitutto esso ricomprende pregiudizi che possono variamente articolarsi in ragione della tutela costituzionale della persona nelle diverse tipologie di interessi. Ha una funzione solidaristico-satisfattiva, volta dunque ad attribuire al danneggiato una somma di denaro che gli permetta di crearsi utilità e vantaggi sostitutivi, da determinare in via equitativa.

Infine, il danno morale è quello più antico ed avrebbe una funzione composita: a una componente satisfattiva si affianca una componente sanzionatoria la quale, secondo Busnelli, potrebbe assumere un “ruolo ancillare” che giustifica una correzione integrativa del risarcimento se si tratta di danni derivanti da un reato che

139

ha comportato la lesione di diritti inviolabili, ovvero un “ruolo trainante” quando manca la lesione di un diritto inviolabile della persona, in quanto in questo caso la componente punitiva diviene essa stessa presupposto e ragion d’essere del risarcimento il quale acquista la sua legittimazione soltanto in base alla specifica previsione normativa del reato. La liquidazione dev’essere proporzionata alla effettiva gravità del reato e si deve tener conto della riprovevolezza della condotta del reo da mettere in rapporto con l’intensità della sofferenza morale patita dal danneggiato.113

Con riferimento poi agli altri casi previsti dalla legge diversi dalle ipotesi di reato, secondo Busnelli, occorrerebbe distinguere tra i casi riconducibili al modello del risarcimento del danno non patrimoniale da lesione di diritti inviolabili della persona e i casi riconducibili al modello del risarcimento del danno non patrimoniale da reato in virtù di una funzione sanzionatoria che essi assolverebbero. Ad esempio, nel primo gruppo rientrerebbero i casi della responsabilità civile dello Stato per i danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali, del risarcimento dei danni derivanti da trattamento dei dati personali e dell’“equa riparazione” dei danni da irragionevole durata del processo (casi in cui è assente la componente sanzionatoria: basti pensare alla responsabilità esclusiva dello Stato per danni derivanti dall’esercizio delle funzioni giurisdizionali); mentre nel secondo gruppo rientrerebbero i casi che prevedono forme di tutela giurisdizionale contro la discriminazione (in cui è evidentemente presente una componente sanzionatoria).

Perciò, secondo Busnelli, i tipi di pregiudizio di carattere non patrimoniale ricompresi nella categoria di cui all’art. 2059 c.c. conservano a tutti gli effetti i loro connotati funzionali tradizionali, in quanto il risarcimento di ciascuno di essi è volto ad assolvere una diversa funzione. E questa diversità funzionale, peraltro, nemmeno

113 La distinzione tra il “ruolo acillare” e il “ruolo trainante” che può assumere la componente

sanzionatoria è affermata dallo stesso Busnelli anche nel saggio Deterrenza, responsabilità civile,

fatto illecito, danni punitivi, in Danno e responsabilità civile, 2013, in cui si sottolinea che è proprio la

componente sanzionatoria che, assumendo un “ruolo trainante”, va a giustificare il “risarcimento di un danno morale soggettivo che altrimenti non sarebbe risarcibile ogni qualvolta manchi la lesione di un diritto inviolabile della persona e il danno si traduca in semplici, ma frustranti, vessazioni e/o patemi.”

140

pregiudica l’unitarietà della categoria del danno non patrimoniale: secondo l’autore, infatti, l’unitarietà dev’essere intesa come difesa dell’autonomia dell’art. 2059 c.c. e quindi del danno non patrimoniale come danno il cui risarcimento presuppone una selezione degli interessi da tutelare. Semplicemente, mentre alla data di entrata in vigore del codice civile questa selezione doveva avvenire con il criterio dell’offesa all’ordine giuridico (e in tal senso si giustificava la limitazione del risarcimento del danno non patrimoniale ai casi di reato), oggi, invece, la lettura in senso costituzionale dell’art. 2059 c.c. impone che venga utilizzato come criterio per la selezione dei danni risarcibili il parametro della coscienza sociale in un determinato momento storico, secondo le indicazione dell’art. 2 Cost, dunque, con la conseguenza che sarà sempre necessario operare il bilanciamento tra il principio di solidarietà e quello di tolleranza mediante il filtro della gravità dell’offesa e della serietà del danno. Anzi, secondo Busnelli, proprio il riconoscimento della diversità dei vari pregiudizi riconducibili al danno non patrimoniale, sotto il profilo della funzione, permetterebbe di far salvo l’impianto ricostruttivo operato dalle Sezioni Unite.

Propende, anche se implicitamente, per la tesi della pluralità delle funzioni del risarcimento del danno non patrimoniale anche Navarretta114, la quale ammette che soltanto per il danno biologico può parlarsi di funzione compensativa. D’altronde, nel caso del risarcimento del danno biologico, è ravvisabile un valore che misura direttamente la normale incidenza esistenziale della lesione sulla vittima, la percentuale di invalidità, la quale rende più facile il contemperamento tra uguaglianza formale e uguaglianza sostanziale, e cioè tra l’esigenza di una “uniformità pecuniaria di base” e l’esigenza di “elasticità e flessibilità”, nel senso che sulla base della percentuale di invalidità, che tendenzialmente garantisce un’uniformità di base del risarcimento a fronte di lesioni simili, il giudice può procedere ad un adeguamento equitativo che tenga conto delle condizioni personali del danneggiato.

114 E. Navaretta, Funzioni del risarcimento e quantificazione dei danni non patrimoniali, in La funzione deterrente della responsabilità civile alla luce delle riforme straniere e dei Principles of European Tort Law, 2011.

141

Nel caso degli altri pregiudizi non patrimoniali diversi dal danno biologico, invece, manca un dato aggregante che rifletta l’istanza di pari dignità dei danneggiati. Non è possibile procedere ad una diretta misurazione del danno, per cui il risarcimento non avrà funzione compensativa, ma solidaristico-satisfattiva, la quale rende necessaria una proporzionalità del risarcimento rispetto al danno, il che sta a significare una proporzionalità con il tipo di offesa e con le circostanze obiettive su cui essa ricade, per lo meno per ciò che attiene all’essenza del risarcimento che deve riflettere l’uguaglianza formale delle vittime. Tipo di offesa e condizioni oggettive su cui essa ricade sono, infatti, “indici costanti, oggettivamente affidabili e non manipolabili” da cui inferire, presuntivamente e secondo criteri di normalità, i danni non patrimoniali e la loro proporzione. Per cui, mentre l’uguaglianza formale nel caso del danno biologico viene garantita da un valore numerico omogeneo, la percentuale di invalidità, nel caso degli altri danni non patrimoniali l’uguaglianza formale è garantita da un dato descrittivo che, peraltro, può presentare anche notevole variabilità.

Allo stesso tempo, poi, secondo Navarretta, è possibile ravvisare una funzione punitiva o individual-deterrente. D’altronde la rilettura in senso costituzionale ha oramai nettamente escluso che questa funzione punitiva possa avere rilievo ai fini dell’an del risarcimento, potendo rilevare solo ai fini del quantum del risarcimento, rivestendo comunque un ruolo ancillare o del tutto eventuale. La funzione punitiva può, dunque, determinare un incremento dell’ammontare del danno, non già nel caso di reato, ma piuttosto nel caso di dolo o colpa grave. E’ necessario, a tal fine, che la gravità soggettiva dell’illecito abbia effettivamente incrementato l’entità del danno, come confermano i Principles of European Tort Law, i quali, all’art. 10:301, comma 2, stabiliscono che “the degree of tortfeasure fault is to be taken into account only where it significantly contribute to the grievance of the victims”. Inoltre, secondo l’autrice, dato che la gravità soggettiva dell’illecito si ripercuote essenzialmente sulla reazione emotiva, designata come danno morale, la mancanza di quest’ultima rende del tutto irrilevante ai fini del risarcimento le intenzioni malevole del danneggiante.

142

Per le stesse ragioni non possono assumere rilevanza ai fini della funzione punitiva fattori che non rientrano nel danno oggetto di stima, quali la capacità della condotta illecita di produrre un profitto o la mera potenzialità dannosa della condotta illecita. Per quanto riguarda, invece, le condizioni economiche del danneggiante, queste potrebbero assumere rilievo ai fini della determinazione dell’entità del danno in considerazione delle circostanze del caso concreto (come ad esempio nell’ipotesi in cui il danneggiante abbia agito senza remore nei confronti della vittima in quanto consapevole delle proprie possibilità economiche).

In ogni caso, proprio perché secondo l’autrice, il profilo individual-deterrente incide, di regola, solo sull’entità del danno morale. Quando sia riscontrabile anche un danno esistenziale, derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, rispetto al quale comunque rilevano il tipo d’offesa e le condizioni del danneggiato, il giudice dovrà individuare esattamente le due componenti del risarcimento e la loro proporzione ed eventualmente incrementare il danno morale, laddove ricorra una particolare gravità soggettiva dell’illecito, ovvero incrementare il danno esistenziale, laddove siano addotti fatti volti a personalizzare il risarcimento. Solo in questo modo potrebbe essere garantito il risarcimento del danno effettivo senza incorrere nel rischio di duplicazioni risarcitorie.

Favorevole all’idea secondo la quale il risarcimento del danno morale, ancora oggi, possa avere una funzione punitivo-sanzionatoria è anche Claudio Scognamiglio115, il quale ritiene che, se questa funzione dev’essere esclusa nei casi in cui il risarcimento prescinde del tutto da un accertamento in concreto della colpevolezza del responsabile (come nei casi di responsabilità oggettiva), al contrario essa può ammettersi a fronte di illeciti dolosi. Per cui non sarebbe tanto rilevante la circostanza che l’illecito integri un reato, quanto piuttosto l’elemento soggettivo che, se connotato da particolare gravità, come appunto nel caso di illeciti dolosi, può giustificare anche una funzione punitiva del risarcimento. In questa ipotesi, la condanna del responsabile potrà produrre anche un effetto deterrente contro la

115 C. Scongnamiglio, Danno morale e funzione deterrente della responsabilità civile, in La funzione deterrente della responsabilità civile alla luce delle riforme straniere e dei Principles of European Tort Law, 2011.

143

reiterazione di comportamenti analoghi. Tuttavia, anche in queste ipotesi, sarà sempre necessaria l’allegazione e la prova delle conseguenze pregiudizievoli del fatto illecito, sia pure con riferimento al dolore, all’afflizione, al patema d’animo. Infatti, proprio il rigore dell’onere probatorio, suscettibile di essere assolto anche mediante presunzioni desumibili dalla qualità del danneggiato o dalle sue relazioni con la vittima, nel caso di danno riflesso, costituisce l’unico correttivo possibile alla discrezionalità del giudice e alla sua esuberanza sanzionatoria. Se, invece, la condanna risarcitoria per danno morale non può assolvere una funzione sanzionatoria, allora, secondo Scognamiglio, il risarcimento espleterà la funzione “di riconoscimento simbolico del valore attribuito alla persona e di riconoscimento, sul piano sociale della ingiustizia della sua violazione”. Una funzione molto simile, dunque, a quella solidaristico-satisfattiva.

In ogni caso, a fronte della lesione di un bene della personalità, si deve escludere che ai fini del risarcimento si possa tener conto anche del profitto conseguito dal danneggiante. Il rimedio risarcitorio, infatti, può tranquillamente convivere con altri rimedi, come, ad esempio il rimedio restitutorio. In questo modo il risarcimento del danno sarà commisurato alla perdita di utilità personali e patrimoniali di vita discendenti dalla lesione, ed andrà quindi ad assolvere una funzione solidaristico- satisfattiva; il rimedio restitutorio, invece, servirà a caducare lo spostamento patrimoniale realizzatosi a favore dell’autore dell’illecito, mediante la restituzione del profitto conseguito alla vittima dell’altrui condotta. L’esatta individuazione delle funzioni del risarcimento, dunque, vale anche ad evitare che la responsabilità civile venga gravata della soluzione di esigenze di tutela che essa non è in grado di soddisfare.

Capitolo Tre.

Il danno non patrimoniale nella giurisprudenza e nella legislazione successiva alle sentenze di San Martino.

144

1. Le difficoltà di assestamento del nuovo sistema: la giurisprudenza della

Outline

Documenti correlati