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La negazione della configurabilità del danno esistenziale quale autonoma

5. Le sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione dell’11 novembre 2008

5.2. La negazione della configurabilità del danno esistenziale quale autonoma

Dopo aver ricondotto a sistema i principi delineati dalle sentenze del 2003, le Sezioni Unite affrontano la questione che costituiva oggetto principale dell’ordinanza di rimessione, e cioè la questione relativa alla configurabilità, all’interno della categoria generale del danno non patrimoniale, del danno esistenziale quale autonoma categoria.

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Anche in questo caso, le Sezioni Unite partono dalla storia della nozione di danno esistenziale, sottolineando come questa figura sia stata elaborata agli inizi degli anni ’90 da una parte della dottrina che identificando il tratto distintivo del danno esistenziale nella sua incidenza sul fare a-reddituale del soggetto, lo distingueva tanto dal danno biologico, che presuppone la lesione dell’integrità psicofisica, quanto dal danno morale, che invece attiene alla sfera interiore del sentire.

“Tale figura di danno nasceva dal dichiarato intento di ampliare la tutela risarcitoria per i pregiudizi di natura non patrimoniale incidenti sulla persona, svincolandola dai limiti dell'art. 2059 c.c., e seguendo la via, già percorsa per il danno biologico, di operare nell'ambito dell'art. 2043 c.c. inteso come norma regolatrice del risarcimento non solo del danno patrimoniale, ma anche di quello non patrimoniale concernente la persona.” Vi era, dunque, ancora una volta l’esigenza di garantire una più efficace tutela alla persona, in quanto si rilevava come, nel caso in cui l’illecito limita le attività realizzatrici della persona, obbligandola ad adottare nella vita di tutti i giorni comportamenti diversi da quelli passati, si realizza un pregiudizio consistente “nella alterazione della vita di relazione, nella perdita della qualità della vita, nella compromissione della dimensione esistenziale della persona”. Pregiudizi questi diversi tanto dal danno morale soggettivo in quanto non consistenti in una sofferenza, ma nel non poter più fare secondo i modi precedentemente adottati, quanto dal danno biologico se non derivanti da lesione dell’integrità psicofisica. Per garantire il risarcimento di questo pregiudizio si richiamava l’art. 2043 c.c., ma in realtà spesso questa figura di danno si risolveva nella semplice descrizione di un pregiudizio di tipo esistenziale senza l’individuazione di quale fosse l’interesse giuridicamente leso dall’illecito, con la conseguenza che veniva così a mancare il requisito dell’ingiustizia del danno e ciò impediva l’ammissione a risarcimento. Mancava dunque un elemento della fattispecie dell’illecito extracontrattuale, ma di questa carenza non si curava la giurisprudenza di merito la quale faceva ampio ricorso alla figura del danno esistenziale. La carenza era stata, invece, più volte segnalata alla Corte di Cassazione, la quale, tuttavia, in tutti i casi in cui aveva ammesso il risarcimento del danno esistenziale, si era sempre curata di individuare

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l’interesse giuridico leso dall’illecito. Ad esempio, in un caso il fondamento della tutela era stato ravvisato nella lesione del diritto costituzionalmente protetto del figlio all'educazione ed all'istruzione, integrante danno-evento e quindi era stato correttamente applicato il disposto dell’art. 2043 c.c. in tutti i suoi elementi costitutivi.

La menzione del danno esistenziale si rinviene anche nella sentenza n. 4783/2001, che ha definito esistenziale la sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche (e quindi in presenza di reato), alle quali era seguita dopo breve tempo la morte, ed era rimasta lucida durante l'agonia, e riconosciuto il risarcimento del danno agli eredi della vittima. Ma, secondo le Sezioni Unite, in questo caso non è ravvisabile un danno esistenziale. Ed infatti, “nel quadro di una costante giurisprudenza di legittimità che nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall'evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per le perdita della vita, e lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile, ed a questo lo commisura, la sentenza persegue lo scopo di riconoscere il risarcimento, a diverso titolo, delle sofferenze coscientemente patite in quel breve intervallo.” Viene piuttosto in rilievo il problema della “risarcibilità della sofferenza psichica, di massima intensità anche se di durata contenuta, nel caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo. Sofferenza che, non essendo suscettibile di degenerare in danno biologico, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, non può che essere risarcita come danno morale, nella sua nuova più ampia accezione.”

Anche nel caso di danno da irragionevole durata del processo, è la stessa legge che ammette il risarcimento del danno non patrimoniale, con la conseguenza che non è ammissibile la distinta risarcibilità del danno esistenziale che non è altro che una “voce” del complessivo danno non patrimoniale.

Altre decisioni poi hanno ammesso la risarcibilità del danno esistenziale nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato (e quindi nell’ambito della responsabilità contrattuale), soprattutto nei casi di demansionamento o mancato godimento del

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riposo settimanale, ma sempre a fronte della lesione di diritti inviolabili del lavoratore e, quindi, a fronte di una ingiustizia costituzionalmente qualificata.

Diverso discorso va fatto con riferimento alla giurisprudenza di prossimità. Come rilevano le Sezioni Unite, infatti, “al danno esistenziale era dato ampio spazio dai giudici di pace, in relazione alle più fantasiose, ed a volte risibili, prospettazioni di pregiudizi suscettivi di alterare il modo di esistere delle persone: la rottura del tacco di una scarpa da sposa, l'errato taglio di capelli, l'attesa stressante in aeroporto, il disservizio di un ufficio pubblico, l'invio di contravvenzioni illegittime, la morte dell'animale di affezione, il maltrattamento di animali, il mancato godimento della partita di calcio per televisione determinato dal black-out elettrico. In tal modo si risarcivano pregiudizi di dubbia serietà, a prescindere dall'individuazione dell'interesse leso, e quindi del requisito dell'ingiustizia”.

In considerazione della genesi della figura del danno esistenziale e in considerazione della rilettura in senso costituzionale dell’art. 2059 c.c., secondo la quale, il danno non patrimoniale è risarcibile, oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, anche nei casi di lesione di diritti inviolabili della persona, e quindi in presenza di una ingiustizia costituzionalmente qualificata, secondo le Sezioni Unite, “di danno esistenziale come autonoma categoria di danno non è più dato discorrere”.

Questa figura era stata, infatti, elaborata per supplire ad un vuoto di tutela che oramai non è più configurabile. Nel caso di reato, superata la tesi secondo la quale sarebbe risarcibile soltanto il danno morale soggettivo, da intendersi quale sofferenza d’animo transeunte, e ammessa la risarcibilità del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, ormai anche il pregiudizio non patrimoniale rappresentato dalla sofferenza morale determinata dal non poter più fare è risarcibile. Il risarcimento sarà ammesso a patto che il pregiudizio consegua alla lesione di un interesse giuridicamente protetto e, quindi, purché sussista il requisito dell’ingiustizia generica di cui all’art. 2043 c.c. E, nel caso di reato, la rilevanza dell’interesse leso si desume chiaramente dalla previsione della tutela penale.

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“In assenza di reato, e al di fuori dei casi determinati dalla legge, pregiudizi di tipo esistenziale sono risarcibili purché conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona.” In questo caso sarà necessario verificare la ricorrenza di un’ingiustizia costituzionalmente qualificata. Il che avviene, ad esempio, nell’ipotesi dello sconvolgimento della vita familiare provocato dalla perdita di congiunto (c.c. danno da perdita del rapporto parentale), poiché il pregiudizio di tipo esistenziale consegue alla lesione dei diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29, 30 Cost.).

In questi casi si può parlare di danni esistenziali, in quanto vengono in considerazione pregiudizi che attengono all’esistenza della persona. Ma si tratta di un termine che assume rilievo soltanto a fini descrittivi, senza configurare un’autonoma categoria di danno. Per cui, anche il danno esistenziale non è categoria precettiva.

“Altri pregiudizi di tipo esistenziale attinenti alla sfera relazionale della persona, ma non conseguenti a lesione psicofisica, e quindi non rientranti nell'ambito del danno biologico (comprensivo, secondo giurisprudenza ormai consolidata, sia del c.d. ‘danno estetico’ che del c.d. ‘danno alla vita di relazione’), saranno risarcibili purché siano conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona diverso dal diritto alla integrità psicofisica.” L’ipotesi si verifica, ad esempio, nel caso in cui l’illecito, cagionando ad una persona coniugata l’impossibilità di rapporti sessuali, è direttamente e immediatamente lesivo del diritto dell’altro coniuge a questi rapporti, “quale diritto-dovere reciproco, inerente alla persona, strutturante, insieme agli altri diritti-doveri reciproci, il rapporto di coniugio”. Anche in questo caso, infatti, è configurabile la lesione di diritti inviolabili della famiglia.

Entro il limite dell’ingiustizia costituzionalmente qualificata possono dunque essere risarciti pregiudizi di tipo esistenziale. Si è tuttavia cercato di superare questo limite affermando che la rilevanza costituzionale non deve attenere all’interesse leso, bensì al pregiudizio sofferto: il pregiudizio di tipo esistenziale che consiste nell’alterazione del fare a-reddituale del soggetto, proprio perché incide sulla sfera della persona, sarebbe perciò solo costituzionalmente rilevante, a prescindere dalla natura dell’interesse leso. In questo modo, però, la rilevanza costituzionale viene

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vagliata con riferimento al danno-conseguenza e non con riferimento al danno- evento, e si confonde il piano del pregiudizio da riparare con quello dell’ingiustizia da dimostrare. La tesi, secondo le Sezioni Unite, che hanno già avuto modo di precisare che la fattispecie di illecito che dà luogo ad un danno non patrimoniale risarcibile non si distingue da quella generale dell’art. 2043 c.c., va perciò disattesa. Inoltre questa tesi finirebbe per abrogare la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. in quanto farebbe venir meno la limitazione della risarcibilità ai casi in cui il danno non patrimoniale sia conseguenza della lesione di un diritto inviolabile della persona.

Un altro tentativo di superare la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. si basa, poi, sull’assunto per cui il danno esistenziale non è conseguente alla lesione di un interesse di rilevanza costituzionale, ma può derivare dalla lesione di un qualsiasi bene giuridicamente rilevante. Secondo questa tesi, il danno esistenziale sarebbe risarcibile a norma dell’art. 2043 c.c. che non richiede un’ingiustizia costituzionalmente qualificata, ma un’ingiustizia generica. Per questa ragione, anche questa tesi, secondo le Sezioni Unite, va disattesa in quanto finisce per violare il principio di tipicità del danno non patrimoniale. In realtà questa conclusione, come si dirà in seguito, secondo parte della dottrina, non è affatto necessitata, ma deriva molto semplicemente dalla scelta delle Sezioni Unite di ricondurre il sistema della responsabilità civile alla bipolarità tra l’art. 2043 c.c., che garantisce il risarcimento del solo danno patrimoniale, e l’art. 2059 c.c., che invece garantisce il risarcimento del solo danno non patrimoniale.

Ovviamente, come rilevano le Sezioni Unite, il superamento dei limiti di cui all’art. 2059 c.c. può derivare da una norma comunitaria, in considerazione della prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno.

Peraltro le stesse Sezioni Unite, con la sentenza n. 6572/2006, con riferimento al danno professionale da demansionamento o dequalificazione subito dal lavoratore, nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, avevano dato una specifica definizione del danno esistenziale “come ogni pregiudizio di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare a-

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reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto alla espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno”. Questa pronuncia fu seguita da altre sentenze, le quali, tuttavia, non confermano affatto la tesi secondo la quale il danno esistenziale costituirebbe una autonoma categoria di danno non patrimoniale, in quanto il risarcimento viene pur sempre riconosciuto in conseguenza della lesione di diritti inviolabili del lavoratore.

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