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Play Theory in Game and Media Studies

1. Playing with (video)games

1.6. Cultura e cognitivismo

Il che equivale a dire che per Sutton-Smith la rhetoric of play si configura sempre come retorica del progresso, dell’evoluzione nel suo passaggio da “rinforzo sinaptico” ad arena della riproduzione (imitation) per l’esercizio alla sopravvivenza ed evoluzione. L'aspetto sensazionale della dichiarazione non è tanto la deriva verso la biologia e l'evoluzionismo, ma – per quanto riguarda le finalità di questo lavoro – il distaccamento dalla nozione di Huizinga (e Caillois). Dichiarare e difendere la funzione biologica del gioco conduce infatti a un solo risultato ovvero50: il gioco non ha affatto in mano il destino della cultura e della civiltà (o per dirla con Huizinga, che la cultura derivi dal gioco), ma dal gioco dipende prima ancora la sopravvivenza dell'essere umano.

1.6. Cultura e cognitivismo

Janet Murray (2006) esprime la posizione più vicina a Sutton-Smith quando sceglie di avventurarsi nei territori dell'evoluzionismo cognitivo per spiegare l'impatto dei videogame (e, in prospettiva, dei giochi pre-digitali) e proporre il superamento degli assolutismi teorici che hanno accompagnato i game studies51. Murray ha un intento preciso: comprendere come l'evoluzione dei recenti giochi digitali possa contribuire a riconsiderare le vecchie categorie di gioco, play e narrazione alla luce del ruolo che essi hanno nell'odierno ecosistema mediale. Correnti teoriche come la ludologia, nata con l'affermarsi dei videogiochi, ha di fatto proclamato il divorzio tra formalismo e rappresentazione sbarazzandosi del contenuto

49 Ivi, cit., pag. 229

50 Arriviamo a questa conclusione grazie a una serie di meticolosi indizi che Sutton-Smith lascia nella sua esposizione: il gioco è un comportamento che potenzialmente può attualizzare ciò che altrimenti resterebbe nel cervello come semplici immagini neurali (brain imagining technology), trasforma in comportamenti tipici della prima infanzia mettendoli al riparo dall’estinzione con il crescere dell’età, produce variabilità culturale instaurando comportamenti alternativi, permette il trasferimento di competenze dal gioco alla vita reale, permette di simulare un modello di evoluzione riconducendo incertezza e caos al regno del “virtuale” oltre a funzionare da feedback reinforcement per l’adattamento degli organismi nel mondo reale Cfr. Sutton-Smith, 1997 pagg. 229-231.

51 Murray, “Toward a Cultural Theory of Gaming: Digital Games and the Co-Evolution of Media, Mind, and Culture” in Popular Communication, 4(3), 2006, pagg. 185-202.

e del suo portato – Tetris (Nintendo, 1989, Gameboy) e Tomb Raider (1996) sarebbero uguali quando considerati come astratti sistemi normativi.

Il suo percorso comincia identificando le connessioni tra i giochi digitali e i giochi dell'era pre-digitale, obiettivo supportato dalla convinzione di poter isolare pattern replicabili e trasferibili alle moderne forme di gioco. L’idea di creare rigorose tassonomie ludiche omnicomprensive, totalizzanti e temporalmente trasversali si giustifica anche solo pensando a come il computer con poca fatica abbia replicato vecchi giochi da tavolo e da qui dato espressione a giochi più evoluti e complessi. Tanto da poter sostenere che più che il computer in sé, siano i giochi stessi a incorporare i vecchi media e molti dei loro tratti concorrendo a ridefinire, o essere sul punto di rivoluzionare, i paradigmi comunicativi. Forse anche queste capacità di mimesi e replica hanno contribuito a quella difficoltà definitoria che abbiamo già affrontato e che vedrebbe ogni tentativo di inquadramento infrangersi e perdersi quando le eccezioni impossibili da inquadrare non permettono la cristallizzazione di quella forma cui la teoria ambisce – discorso persino antecedente alla stessa era digitale (Murray non a caso pensa a Wittgenstein).

Per capire cosa siano effettivamente i giochi e cosa si celi dietro la nostra propensione al gioco, Murray si rivolge a Tomasello (2000) e alla teoria sull'acquisizione di conoscenza culturale trasmessa (joint attentional scene). Costruita sulla distinzione evolutiva dei processi cognitivi tra uomini e primati, questa teoria si focalizza sulla capacità dell'essere umano, in una situazione a due partecipanti, di riconoscere l'altro e le sue intenzioni attuando attività di ripetizione e scambio che, in condizioni di sintonia e sincronia – es. tra padre e neonato – fanno crescere vertiginosamente le capacità di apprendimento del soggetto in via di sviluppo52. Questa teoria, non solo spiegherebbe la condivisione, la negoziazione e l'apprendimento della comunicazione simbolica, ma per Murray potrebbe servire anche a spiegare perché i giochi siano divertenti, perché, anche nel loro porre dei limiti o nonostante l'imposizione di attività che normalmente non faremo, l'uomo sia così legati al gioco e cosa da questa accettazione dei limiti ci viene restituito come premio. Murray trasferisce al gioco alcuni aspetti della joint attentional scene.

52 Tomasello appronta un elenco di cinque punti con le capacità che distinguono l’uomo dai primati: indicare agli altri oggetti esterni, tenere oggetti per mostrarli agli altri, portare altri in un posto per mostrare loro degli oggetti, offrire agli altri oggetti che tengono per mano, insegnare volontariamente ad altri nuovi comportamenti. Tomasello, The Cutural Origins of Human Cognition, MA, Harvard University Press, 2000.

L'alternanza dei turni di gioco, la possibilità di passare dallo stato di agente a quello di spettatore per studiare le mosse dell'altro (apprendimento passivo e attivo) autorizza a pensare al gioco come a un framework per osservare e criticare attività iterative e per lavorare assieme al miglioramento delle proprie performance. Se così fosse, ecco spiegato il ruolo dei giochi nella cultura umana come “gestural starting point in the history of media”53. In parte, tale postulato era stato formulato già da Huizinga, anche se in termini diversi, ma è forse Sutton-Smith citando Bateson ad aver intuito questa funzione quando, richiamando l'esempio del “morso che non è un morso”, definisce play come uno strumento di comunicazione in una fase in cui le creature non hanno acquisito il linguaggio (forma di negazione antecedente alla figura della negazione nel linguaggio parlato)54. Un quadro che induce a sostenere che il piacere del gioco risieda tanto nella comunicazione quanto nell'azione, nella traduzione del linguaggio in azione e nel suo costituire pattern di interazioni sociali. In questo, l’elemento imitativo (replica di pattern) ha un ruolo cruciale intervenendo nell'organizzazione delle azioni e nell'acquisizione tramite esercizio di competenze e abilità.

Come si collegano gioco e media? Tomasello (2000) distingue due momenti nella formazione di una consapevolezza nell'uomo:

• il riconoscimento di un'altra creatura come un intentional beings che porta all'esplorazione della joint attention e che Murray interpreta come il momento della nascita dei giochi mimetici;

• il riconoscimento di eventi manifesti come riconducibili a cause invisibili che porta a ipotizzare a pattern casuali astratti e che per Murray può essere inteso come la nascita del pensiero narrativo.

Dal ricorrere di queste due condizioni – imitazione e astrazione – avviene la formazioni del linguaggio o della nascita di un media. Murray sostanzia tale affermazione ricorrendo alla teoria sullo sviluppo della cognizione umana di Donald55 che si articola in quattro momenti: 1) episodic culture (sviluppo di limitate strutture

53 Murray, 2006, cit., pag. 191.

54 Sutton-Smith, 1997.

55 Donald, Origins of The Modern Mind: Three Stages in The Evolution of Cutlure and Cognition, Cambridge MA, Harvard University Press, 1991.

episodiche – condivisa con primati e mammiferi), 2) mimetic culture (comunicazione simbolica con altri individui riconosciuti come agenti volontari), 3) mythic culture (comunicazione tra essere umani attraverso forme simboliche di rappresentazione – linguaggio orale, rituali, dipinti nelle caverne), e 4) theoretical culture (comprensione del mondo in termini di formalismo astratto e basato sull'ausilio di sistemi di memoria esterni come il computer).

Si provi ad applicare questo framework ai giochi. Il parallelismo tra il mimetic stage e Tomasello (2000) è evidente. In questa fase si ritrovano giochi e rituali costruiti sulla sincronizzazione delle azioni con l'obiettivo della sopravvivenza (piacere dell'acquisizione delle competenze e sfruttamento delle energie per sfuggire ai predatori). In termini “videoludici” si pensi a giochi skill-based con pattern ripetitivi (da Space Invaders a Pac-man) fino al piacere per la sincronizzazione di giochi come i più recenti Dance Dance Revolution (Konami, 1998, Arcade) o Dance Central (Microsoft Game Studios, 2010, X360). Il terzo stage è all'insegna di complesse strutture narrative tendenti al mito (leggende di eroi e rituali trasmessi oralmente) su cui si costruisce il senso di appartenenza a una comunità. Nei videogiochi, tale fase coincide con l'immedesimazione del giocatore nell'eroe (fantasy games) o in figure supernaturali. La quarta fase è conseguenza dell'invenzione della scrittura da strumento a fini commerciali fino a “registratore” della cultura orale. Benché né Tomasello, né Donald parlino di giochi come strumenti dell'evoluzione cognitiva, molti dei casi studio e degli esperimenti condotti sono parecchio affini ai giochi e per Murray tanto basta a pensare a un’effettiva connessione tra questi ultimi e l’evoluzione della specie umana (in termini cognitivi e di adattamento).

C’è ancora un ultimo tassello che vale la pensa citare. Nell'evoluzione cognitiva e culturale della nostra specie è assodato il ruolo cruciale di uno specifico meccanismo di arresto creato per prevenire situazioni di regressione evolutiva. Per Murray, il vero ruolo dei giochi è fungere da perfetto cultural ratchet56 sulle cui spalle si regge la trasmissione del sapere e il progresso di generazione in generazione. Gameplay come mezzo di trasmissione di habits; pattern basati sulle condizioni di

56 Con cultural ratchet si intende: “un dispositivo (decisivo per dar conto del carattere cumulativo dell’evoluzione culturale) che impedisce slittamenti all’indietro dei risultati acquisiti, permettendo alle nuove generazioni di usufruire delle conoscenze maturate nel corso del tempo dalle generazioni precedent”. Cfr Treccani “Evoluzione biologica ed evoluzione culturale”. Disponibile online:

http://www.treccani.it/enciclopedia/evoluzione-biologica-ed-evoluzione-culturale_%28XXI-Secolo%29/.

vittoria come stimolo per la ripetizione di pratiche e sforzi competitivi, la stessa struttura formale del gioco con le regole a garantire ai gruppi sociali di focalizzarsi su cosa è concesso o meno; le possibilità dell'interazione come porta del piacere creativo della manipolazione degli oggetti. L'attenzione ai pattern e al piacere della loro ripetizione – capaci di esprimere i valori della sopravvivenza e dell'acquisizione di competenze – funzionano allo stesso modo in tutte le situazioni che, pur non essendo gioco, vengono affrontate come tali: qui a essere piacevole è l'applicazione di pattern astratti a sistemi sprovvisti di chiare regole o condizioni di vittoria, a tutte quelle condizioni come il mercato azionario che intendiamo oggetto del play senza essere gioco. In questo processo, al computer il compito di continuare il percorso verso il quarto stage dell'evoluzione di Donald: esso diviene lo strumento tecnologico che il gioco assimila per esplorare nuove capacità di rappresentazione simbolica attraverso la creazione di sistemi che preservano e riusano vecchie forme mediali tramite pattern da replicare e introiettare. In questo senso, il computer potrebbe essere considerato come uno degli elementi di un superset che raccoglie, stadio dopo stadio, tutti i precedenti media e che adesso si trova in una fase di proximal evolution, di passaggio al prossimo stadio. In un processo di reimmaginazione collettiva di nuove forme espressive in cui il computer ha incamerato – così come ha fatto il cinema – le precedenti forme mediali, i giochi digitali hanno rimescolato ancora le carte, forti della capacità della macchina cui si appoggiano di replicare la struttura formale dei giochi del passato e del presente. Poiché strumento “of divorcing behaviors and symbols from their real world context and manipulating them as pure symbolic systems”57 i giochi digitali potrebbero contribuire quindi al prossimo stadio di avanzamento in un rapporto ancora più intimo tra uomo e macchina.

La proposta di Murray è complessa quanto affascinante. Da una parte il legame tra gioco ed evoluzione umana: in questo contesto il gioco è visto come un'arena in cui replicare pattern per prepararsi alla vista sociale e attraverso cui arrivare all'acquisizione del linguaggio. Sono l’arena in cui i comportamenti del reale si trasformano in simboli da manipolare per l'esplorazione preparatoria del mondo. Dall'altra, il ruolo della tecnologia nel supportare questo processo di evoluzione: il computer è l'ultimo di una serie di media che introietta i precedenti per nuovi costrutti

simbolici58. In questo caso i giochi, nella loro incarnazione digitale, sono la “lingua” adottata dal computer per masticare simboli e prepararsi al prossimo salto evolutivo.

Play, benché mai nominato direttamente, diventa quindi

l’applicazione/imitazione/manipolazione di pattern nel gioco o nei contesti a questo assimilabili.