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Play Theory in Game and Media Studies

1. Playing with (video)games

1.2. I giochi e gli uomini

La cosa più singolare del libro di Roger Caillois è la sua stretta interdipendenza con quello scritto da Huizinga. Una relazione così forte, da rendere impossibile una lettura del testo del tutto separata dai contenuti del paragrafo precedente. Caillois, infatti, esordisce proprio con Huizinga e ne elogia il tentativo ardito di privilegiare lo studio delle pratiche ludiche e del loro contributo allo sviluppo della civiltà. Un movimento opposto a quello di Eco. Caillois procede da una parte alla definizione della natura del gioco e dell'altra all’analisi del suo ruolo nei rituali (o manifestazioni) che animano una cultura. E si ritrova così con il condividere alcuni concetti di Homo Ludens: la separazione del gioco dal vissuto reale e la sua parte normativa.

Ben più complicata, invece, si dimostra la sfida posta dagli intrecci tra gioco e cultura. Huizinga sostiene – puntualizza Caillois – che sia la cultura a venire dal gioco e detta relazione sembra data come univoca. Per il sociologo francese, i conti non tornano. Molti oggetti che l'attuale società annovera tra i giocattoli hanno tutte le caratteristiche di costrutti adulti relegati dal tempo e dagli usi ad altre attività meno importanti. Lo stesso può dirsi per quei giochi che riproducono riti e credenze ormai svuotate del loro valore sacro: la trottola come residuo del culto magico; conte e girotondi come reminiscenze di antichi incantesimi; arco, scudo e cerbottana come ricordi di armi ormai desuete. Ancora una volta, non si tratta di stabilire cosa genera cosa, ma di provare a razionalizzare le due posizioni e la scelta operata da Caillois porta al riconoscimento dell'esistenza di un parallelismo. Giocattoli e giochi rappresentano l'imitazione di oggetti e riti adulti che si sviluppano e coesistono parallelamente. Non mero svilimento o tentativo di declassare oggetti e riti a puerile divertimento, semmai innocua riproduzione, “presenza simultanea di due diversi

registri”13. Per questo, i giochi sono da considerare per lo più antagonisti alla vita quotidiana e a essa indipendenti per via di precise caratteristiche. L’operazione compiuta da Huizinga – ovvero “spiegare i giochi a partire dalle leggi, dalle usanze [...] o spiegare la giurisprudenza partendo dallo spirito del gioco [...]” – è valida a patto che istituzione e gioco non si escludano a vicenda: spesso identici, prevedono attività totalmente diverse che li rendono incompatibili14.

Alla luce di questa premessa, pare ancora più chiara l'altra accusa rivolta a Huizinga ovvero di non studiare per nulla i giochi, ma di fare piuttosto una “ricerca sulla fecondità dello spirito ludico che presiede una determinata specie di giochi: i giochi di competizione regolata”15. Dal libro dell’antropologo olandese restano fuori parecchie altre categorie quali – ad esempio – i giochi d'azzardo, probabilmente deplorevoli per il tempo ma già così economicamente rilevanti dal ritrovarsi al centro dell’interesse di Caillois. Tanto basta per segnare la contrapposizione. In Homo

Ludens manca una ricerca puntigliosa che partendo da una mappatura di tutti i giochi

miri a identificare degli universali senza però la riduzione ad unicum. Si tratta di un gioco di sponda – giusto per imbastire meta discorsi – che prende le mosse da Huizinga per far progredire un discorso che esalta il carattere ordinato e regolare del gioco rispetto alla vita reale, con il primo a farsi modello o residuo, se non impronta quando:

vi si può leggere il progredire stesso della civiltà nella misura in cui questa consiste nel passaggio da un universo caotico a un universo regolato che poggia su un sistema coerente ed equilibrato. Il gioco [...] offre [...] l'immagine di uno spazio puro, autonomo, in cui la regola, volontariamente rispettata da tutti, non favorisce né lede alcuno16.

Si provi a far ordine. Caillois parte dalla definizione di play data da Huizinga, per procedere a una revisione dei caratteri del gioco. A suo dire, il gioco sarebbe un'attività:

13 Caillois, I giochi e gli uomini, Milano, Bompiani, 2007, cit., pag. 81.

14 Ivi, pag. 83.

15 Ivi, cit., pag. 19.

• libera cui i soggetti partecipano senza obbligo, privi dalla soggezione tipica del rituale o dell'istituzione che minano al senso di mistero o alla fantasia propria del gioco con la facoltà di entrare e di uscire dallo stesso;

• separata dal resto della vita reale svolta entro precisi limiti spazio-temporali; • incerta capace di tenere intatto fino alla fine il dubbio circa l'esito dell'attività

entro cui su muovono i giocatori liberi di agire nel rispetto delle regole;

• improduttiva non tanto nel senso di essere avulsa dalla seduzione del denaro – dettaglio sfuggito a Huizinga. Per Caillois, la questione si gioca sulla capacità del gioco (o di certi giochi) di non produrre alcun profitto (altrimenti si parlerebbe di lavoro) ma di spostarne la proprietà dietro accordo tra i giocatori. Alla fine del gioco l'equilibrio iniziale è sempre ripristinato;

• regolata da norme che sostituiscono quelle della realtà per istituire una nuova legge appliccabile limitatamente a quel contesto;

• fittizia quando palesa una evidente diversità o irrealtà nei confronti della vita normale.

Gli ultimi due punti segnano per Caillois l'evidente molteplicità dei giochi e la necessità di una suddivisione capace di tenere in debita considerazione tutti quei numerosi caratteri che contrappongono i giochi alla realtà. Qualcosa di più distintivo del semplice concetto di separazione e che sappia dare il senso del gioco come un'isola non felice, bensì terribile per via dell'incertezza che l'attanaglia. Da qui, l’esigenza di un lavoro di ricerca che porti a una classificazione dei giochi a cominciare proprio dalle rispettive specificità. Caillois sceglie un modello ad asse mobile capace di dare il senso della complessità dell'oggetto di studio. Secondo questo modello, i giochi si dividono in:

• agon, attività basate sulla competizione e in virtù della quale vengono create artificialmente pari condizioni di partenza affinché nessuno dei contendenti sia avvantaggiato rispetto agli altri;

• alea, attività in antitesi all'agon ovvero basate non sulle capacità dei partecipanti, ma su condizioni da essi indipendenti. In questa tipologia di giochi, è il destino il vero avversario. A cambiare sono anche le modalità di relazione al gioco: non lavoro, fatica o affidamento esclusivo alle proprie

capacità ma fiducia nella fortuna e ricerca di qualsiasi indizio utile a vincere il fato;

• mimicry, attività di evasione in cui prevale il mascheramento (trasformazione in altro) dei partecipanti. Rispetto all'agon e all'alea in cui la creazione di un'imposta condizione di parità crea un mondo altro, qui si gioca a farsi altro e dalla ricerca di questo effetto di spiazzamento, dal ricorso alla fantasia e all'interpretazione che sta il piacere di questa tipologia di gioco;

• ilinx, attività basate sulla vertigine e distruzione temporanea della stabilità percettiva in favore di un senso di panico.

Gli elementi di tale tassonomia non sono autoescludenti e prevedono contaminazioni e dipendenze. Agon e mimicry – per esempio – spesso hanno punti di contatto: si pensi a tutte quelle volte in cui la sfida sfocia o prevede una qualche di trasformazione in spettacolo. O ancora, agon e alea si mostrano connessi quando, partendo dalla condizione generale di incertezza comune a tutti i giochi, il risultato della competizione in sé diventa oggetto di scommessa e quindi gioco aleatorio (alea). Ne deriva una sorta di mobilità dei tipi individuati cui va aggiunta un altro livello come asse parallelo entro i cui estremi si muove il giocatore: ludus e paidia. Non si tratta di “categorie del gioco, ma di modi di giocare”17. Ludus e paidia, sostiene Caillois, indicano una libertà primaria insita nei giochi. Nel primo caso ci si riferisce al gusto della sfida, esagerazione o esasperazione delle regole per misurare sé stessi più che confrontarsi con un rivale (differenza cruciale per la distinzione dell'agon). Mentre con paidia si guarda alla libertà dell'improvvisazione e della spensieratezza. Il riferimento alla mobilità dell'asse non è casuale: serve a marcare ancora una volta la vivacità dello schema e il suo ruolo cruciale nel determinare il destino del gioco e di una cultura. Aspetto che Pier Aldo Rovati, nella sua prefazione all'edizione italiana del libro, mette bene a fuoco con un’analisi del rapporto tra gioco aleatorio e di competizione e la società contemporanea:

[...] così alla società della mimicry-ilinx ha dato il cambio la civiltà dell'agon-alea, che è l'unica [...] che oggi concepiamo, regolata da un dosaggio di merito personale e di sorte [...] ma talora la sorte è l'ultimo criterio di equità, la garanzia di imparzialità e

uguaglianza. L'agon è [...] l'unico aspetto del gioco cui attribuiamo un valore, tutti gli altri vengono penalizzati come disvalori18.

Non è un caso se alla stessa conclusione arriva anni dopo lo stesso Sennett (2012) quando nota che uno dei due modelli che la modernità ha scelto per stimolare il lavoratore è proprio la competizione ove il confronto con gli altri possa essere vissuto come stimolo a fare meglio in virtù di una mera ricompensa personale19. La maschera, la vertigine e la stessa sorte sono disvalori relegati ai margini (i parchi giochi che accolgono i grandi macchinari per l'ebrezza collettiva si ergono allora come isole all'interno di una società al sicuro con le sue regole livellanti). Non per questo forme reiette o addirittura fisse, ma elementi mobili di una struttura in continuo movimento che dice che “l’uomo non è per nulla padrone del suo gioco” ma è preda del gioco, in balia di quel piacere che deriva dall'incertezza che ne governa il suo mondo.