Play Theory in Game and Media Studies
1. Playing with (video)games
1.3. Regole, strutture e superstrutture
L’idea di un legame tra gioco e una supposta struttura si manifesta con ancora più forza muovendosi dalla sociologia (e dall’antropologia) ai game studies. Jesper Juul parte idealmente proprio dalla ricerca formalista intrapresa da Caillois. Nel suo
Half-Real (2003), l’obiettivo dichiarato è arrivare alla costituzione di un classic game model che, individuando i caratteri minimi sui quali il gioco viene a costruirsi, riesca
a mettere insieme cinquemila anni di storia dei giochi. Obiettivo da raggiungere prescindendo da qualsiasi medium e guardando solo a quanto ai giochi è comune. Limitando l'analisi e l'applicazione di questo modello ai soli rules-based game (proprio in virtù della riconosciuta ambiguità nel definire game e play), Juul intende non solo trovare un framework operativo che funzioni per tutti i giochi, ma che sia altrettanto capace di vacillare – resistendo e rafforzandosi – di fronte ai casi limite che un simile strumento deve superare quando è chiamato a spiegare i come e i perché.20
18 Ivi, cit., p. XVIII.
19 Cfr. Sennett, L’uomo artigiano, Milano, Feltrinelli, 2012, pagg. 35-44.
In linea con il furore formale dei ludologi21, Juul passa in rassegna i principali tentativi di definizione del gioco alla ricerca dei principi comuni così come degli elementi problematici. L'intenzione ultima è arrivare a un modello che tenga insieme “(1) the system set up by the rules of a game [game as formal system], (2) the relation between the game and the player of the game, and (3) the relation between the laying of the game and the rest of the world”22. Un modello che funzioni come un
productive set ovvero che permetta, una volta identificato il gruppo minimo di
caratteri standard, di arrivare a produzioni, combinazioni, prodotti del tutto nuovi. La definizione di gioco che viene così a costituirsi altro non può essere che la sintesi di precedenti tentativi definitori di cui trattiene solo i tratti comuni o esclusivi. Juul passa in rassegna:
• Huizinga e Caillois
• Suits (che affronteremo più avanti)
• Avedon e Sutton Smith: “at its most elementary level then we can define a game as an exercise of volutanry control systems in which there is an opposition between forces, confined by a procedure and rules in order to produce disequilibrial outcome”;
• Crawford: “I perceive four common factors: representation ['a closed formula system that subjectively represents a subset of reality'], interaction, conflict, and safety ['the results of a game are always less harsh that the situations the game models']”;
• Kelley: “[...] a game is a form of recreation constituted by a set of rules that specify an object to be attained and the permissible means of attaining it”; • Salen e Zimmerman: “A game is a system in which players engage in an
artificial conflict, defined by rules, that results in a quantifiable outcome”;
Il punto di arrivo di questo suo lungo viaggio è la seguente definizione:
21 La distinzione tra ludologi e narratologi che ha infiammato i game studies per più di dieci anni esula dalle finalità di questo lavoro. Tuttavia, al fine di offrire uno scenario minimamente compiuto, l’oggetto della contesa ha riguardato la necessità di uno studio volto a mettere in primo piano gli elementi formali dei giochi (e in particolare dei computer games) contro l’idea di considerare gli stessi come una nuova forma di medium narrativo contrapponendo quindi il livello della rappresentazione all’astratto formalismo.
a game is a rule-based system with a variable and quantifiable outcome, where different outcomes are assigned different values, the player exerts effort in order to influence the outcome, the player feels emotionally attached to the outcome, and the consequences of the activity are negotiable23.
Rispetto a Huizinga e Caillois, è immediatamente evidente l'assenza di caratteristiche chiave quali la volontarietà del gioco e la separazione dalla vita reale. A Juul preme arrivare dritto al substrato astratto dei giochi come dimostra questa lista che ambisce a riassumere le caratteristiche dell’oggetto di studio:
1. Rules: le regole su cui il gioco si basa; devono essere definite in modo da evitare qualsiasi ambiguità che possa compromettere lo svolgimento del gioco.
2. Variable Quatifiable Outcome: intendendo la capacità delle regole di garantire un set di possibili quanto diversi risultati in maniera definita in modo che non siano oggetto di discussione.
3. Valorization of outcome: alcuni risultati devono essere più apprezzabili rispetto ad altri.
4. Player effort: il gioco contiene un tasso di sfida che porta il giocatore a un investimento diretto in grado di influenzare il sistema e il risultato.
5. Player Attached to Outcome: il conseguimento di un risultato attraverso l'intervento del giocatore produce un attaccamento personale rispetto al risultato stesso (frutto di energia profusa dal giocatore).
6. Negotiable consequences: ogni gioco può, in via opzionale, avere conseguenze nella vita reale. Questo processo di negoziazione trova la sua essenza nella possibilità tra le parti di negoziare e mitigare queste conseguenze contribuendo a rendere quanto più labile il confine tra ciò che è gioco e ciò che non lo è.
Questi sei elementi sono assegnati a degli specifici registri, secondo il seguente ordine:
a. game as formal system: 1, 2, 4
b. relationship between the player and the game: 3, 4 (sovrapposizione con a), 5 c. the game and the rest of the world: 6
In pratica, una simile struttura, mentre definisce cosa è un gioco, fa un lavoro ancora più importante dicendo anche l'esatto opposto – cosa non è gioco – e relega in una sorta di limbo tutto ciò che sta tra i due opposti, in una condizione dall'equilibrio precario possibile quando uno o più degli elementi su identificati vengono a mancare oppure esasperati o ribaltati24. Il grafico tratto dal libro è certamente ben più esplicativo:
Figura 3 - Games e non-games secondo Juul
Secondo Juul, il classic game model costituisce una piattaforma astratta che non serve a spiegare il perché i giochi siano enjoyable, ma per fungere da base per l’elaborazione di nuove combinazioni e modelli.
L'aspetto più interessante di questo approccio è la centralità attribuita all’elemento normativo. Istituendo degli ostacoli atti a limitare le nostre azioni
24 Si pensi a The Sims (Maxis, 2000, PC). Per l’assenza di un’adeguata valorizzazione di risultati (nonché degli stessi obiettivi), il gioco si cofigura più come una sandbox (open ended simulation) che come gioco rigidamente inteso.
all’interno del gioco, le regole rappresentano il momento di massimo piacere: il giocatore costruisce la sua esperienza confrontandosi continuamente con il sistema durante il progredire del gameplay assegnando a limiti e goal il compito di mettere in forma l'esperienza stessa. Dalle regole, Juul fa dipendere un’altra qualità essenziale del gioco: la transmedialità come trasmissione operativa del gioco da un sistema a un altro. Così com’è possibile trasportare da un media all’altro delle storie come strutture narrative indipendenti, lo stesso può essere fatto tra giochi (analogici) e computer. Il punto di incontro sarebbe la natura di sistemi che accomuna entrambi gli attori:
there is no set of equipment or material support common to all games. What is common, however, is a specific sort of immaterial support, namely the upholding of the rules [...that...] is in actuality provided by human beings, computers, or physical law (sports) 25.
L'affinità tra regole e algoritmi (o gli aspetti computazionali tipici del computer) costituirebbe il raggiungimento di un nuovo momento di libertà e immersione per il giocatore che è finalmente libero dal dover gestire le regole lasciate alla macchina.
Quello che però Juul è incapace di fare è superare il suo stretto vincolo strutturalista. Nello spiegare The Sims (Maxis, 2000, PC) attraverso la sua sostanza immateriale come una forma deviata di gioco (deviata da un uso improprio di alcuni elementi formali quali la mancanza di obiettivi), egli guarda al design – alle conseguenze di una trasformazione degli elementi formali – ma non all'esperienza o alla soggettività dei giocatori. Il fatto è che identificare un'area grigia da destinare a quelle pratiche più disparate non riconducibili al gioco perché prive di obiettivi e troppo aperte alla negoziazione delle regole (Figura 3) – sandbox o playground (ovvero sistemi aperti in cui l'esperienza non è costretta da goal definiti e quindi libera di muoversi dentro e fuori i corridoi principali previsti)26 – significa perdere totalmente di vista uno dei punti di forza del gioco quale processo in-formato da una struttura. Kucklich lo dice più chiaramente:
25 Juul, 2005, cit., pag.48.
26 Juul, “Without a goal”, in Krzywinska, and Atkins (eds), Videogame/Player/Text, Manchester, Manchester University Press 2007.
playing with the game, rather than by the rules is [part] of the playful behaviour that surrounds games. [as well as] real-life consequences of games must be attribuited to the way they are played, rather to the games themselves. In other words: play mediates between games and the real world27.
L'operazione riesce in parte a Skaff Elias, Garfield e Gutschera. Evitando qualsiasi intento definitorio, i tre game designer si avvicinano all'oggetto game con un approccio player-centric che li porta a identificarne e discutere le caratteristiche ovvero quel “general group of features that give a high-level description of the sort of game it is”28. La prima mossa che i tre compiono è dichiarare i computer games come un tipo di gioco tra tanti e non più particolare di altri (in una velata critica alla ludologia). L’unica differenza sostanziale starebbe, secondo gli autori, nell'espressione di una progettualità (deliberate design) tipica dei giochi digitali che mancherebbe ai giochi classici: questi ultimi sono il risultato di un processo di evoluzione e miglioramento “inconscio” avvenuto durante un lungo arco temporale, frutto di un processo di accrescimento, negoziazione e sedimentazione che ne ha testato e validato la struttura. Fatta questa premessa, i tre puntano a un'adozione estensiva e omnicomprensiva che tenga dentro tutto quello che normalmente il sentire comune considera un gioco, dagli scacchi fino alle parole crociate. Da qui la necessità di coniare qualche nuovo neologismo: orthogame – giochi con due o più giocatori, un sistema di pesi per misurare la performance degli attori coinvolti (es. punti, condizioni di vittoria, ecc.) e una finalità affine al puro divertimento; agential game – giochi con specifiche caratteristiche in grado di influenzare il giocatore come risultato del loro agire; infine, systemic game – si sposta l'influenza sull'esperienza di gioco dal giocatore al sistema. A rigor di logica, questa non può essere che una separazione tutt'altro che rigorosa e netta poiché – si prendano gli scacchi ad esempio – caratteristiche quali la durata della sessione o della singola mossa, così come il
downturn (turno in cui il giocatore non “gioca”) si reggono sì su una struttura di base
su cui meccaniche e dinamiche (e le regole stesse) si danno, ma variano con il variare dei giocatori senza che alcun intervento a livello strutturale avvenga.
27 Kucklich, 2004, cit., pag. 20.
28 Skaff Elias, Garfield, Gutschera, Characteristics of Games, Cambridge (MA), The MiT Press, 2012, cit., pag. 3.
Va ribadito che l'analisi offerta dai tre è di tipo discorsivo o descrittivo, scarsamente interessata all'essenza del gioco. Essa è ben più propensa all'identificazione delle strategie progettuali sottointese usando – elemento del tutto nuovo – il punto di vista del giocatore (le caratteristiche discusse, scrivono gli autori, sono identificate così come si farebbe tra amici dopo una sessione di gioco). Tuttavia, nell’isolare una serie di macro-elementi – durata del gioco, numero dei giocatori ed euristica (l'ideale capacità del gioco di offrirsi accessibile ai neofiti e gratificante anche ai giocatori più bravi) tra quelle fondamentali e in grado di influenzare la altre – il contributo dei tre game designer finisce con il rimanere asservito alla materia costitutiva del gioco e somigliare così all'approccio di Juul. Anche quando si rifiuta di abbracciare qualsiasi definizione di gioco – o di dichiarare una propria visione di play – il libro fa registrare la continua presenza di una tensione tra caratteristiche più o meno formali e un grado di libertà entro cui l'esperienza del giocatore si muove. Tale tensione raggiunge il suo apice in chiusura del libro – come a marcare la separazione da ciò che è gioco – quando, conclusa l'analisi di ciò che sta dentro il gioco, si passa alla superstructure ovvero all'area grigia esterna al gioco, al limbo di Juul, all'area esterna al gioco entro cui si iscrivono queste pratiche:
• metagame o “the soft structure outside the game, linking the game with other life goals such as status or self-expression, mastery[...]”29;
• conceit, livello metaforico applicato al gioco e che può fungere da stimolo e motivazione;
• spectation o semplice guardare come condizione persino più divertente del diretto giocare;
• customization o potenziale trasformazione di un gioco in una famiglia di giochi che condividono lo stesso “motore”, ma in cui ogni gioco rappresenta un nuovo membro della famiglia; entro detta area rientrano persino la negoziazione di handicap o regole e il misbehavior – comportamenti non direttamente sanzionati dal sistema, ma che la stessa comunità di giocatori può riconoscere come inappropriati30;
29 Skaff Elias, Garfield, Gutschera, 2012, cit., pag. 203.
30 Cfr. Consalvo, Cheating: Gaining Advantage in Videogames, Cambridge (MA), The MiT Press, 2007.
• play lifetime come durata dell'interesse verso l'esperienza offerta (contrasto tra
exhaustible contents31 e regole e tasso di variabilità).
Da tanta rigorosa complicazione si deduce che non solo è impossibile definire i giochi, ma che è altrettanto difficile pretendere di rinunciare a qualsiasi ordinamento definendo come partenza delle caratteristiche meramente discorsive. Nel primo caso, una manciata ristretta di elementi rischiano di sovraccaricare erroneamente alcuni di essi; nel secondo, il quadro ottenuto rischia di essere così frammentato dal rendere complicato riuscire a capire di cosa si stia realmente parlando, tanto da dire che la risposta al rigido ordine definitorio della struttura non è necessariamente la rinuncia anarchica a qualsiasi definizione.