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La nascita della nozione di diritti culturali e la questione delle minoranze L’ingresso del concetto di cultura, nelle sue molteplici accezioni, nel costituzionalismo

Nel documento Diritti multiculturali in cammino (pagine 35-45)

contemporaneo ha necessariamente portato la dottrina a interrogarsi sulla configurabilità di diritti culturali, intesi come categoria di diritti che tutelino le diverse culture e le loro manifestazioni nell’ambito dello Stato costituzionale democratico e pluralista. L’impossibilità di fornire una definizione giuridica esauriente e definitiva di cultura, di cui si è detto, si combina ora con l’estrema difficoltà di definire il concetto di diritti, generando quello che è stato descritto come uno stato di indeterminatezza terminologica e concettuale che può portare a risultati pressoché infiniti, a seconda delle accezioni nelle quali i due termini vengono accostati105.

L’intersezione tra diritti e cultura può quindi portare a un ventaglio di risultati talmente ampio che risulta estremamente difficoltosa finanche la collocazione dei diritti culturali nell’ambito delle cosiddette “generazioni di diritti”106. Da un punto di vista storico-

cronologico, infatti, essi dovrebbero essere forse ricondotti alla seconda generazione, in quanto essi vengono tendenzialmente affiancati, a partire dal Secondo Dopoguerra (e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo), ai diritti economici e sociali. Da un punto di vista sostanziale, tuttavia, essi potrebbero essere collocati anche nella quarta generazione, tra i cosiddetti “nuovi diritti”, atteso che la categoria dei diritti culturali non

105 Si veda in questo senso M. A. JOVANOVIĆ, Cultural rights as collective rights, in A. Jakubowski (a

cura di), Cultural rights as collective rights. An international law perspective, Leiden-Boston, Brill-Nijhoff, 2016, 16. Non si può riproporre in questa sede, per ovvie ragioni, una ricostruzione dell’evoluzione del dibattito sul concetto di diritti soggettivi: per una approfondita declinazione della questione con riferimento al tema dei diritti culturali, si veda G. FAMIGLIETTI, Diritti culturali e diritto della cultura, cit., 14 ss.

veniva in effetti elaborata in modo organico, nonostante la sua previsione formale, sino a tempi relativamente recenti107. Se si volessero invece qualificare i diritti culturali alla

stregua di diritti collettivi (come in effetti fanno, come si vedrà, numerosi autori, specie nella dottrina internazionalistica), essi potrebbero presentare un chiaro collegamento con la terza generazione. Non bisogna trascurare, infine, che possono ben essere ritenuti diritti culturali alcuni diritti di libertà, caratterizzati da una marcata carica negativa, volti a limitare l’intervento dello Stato in ambiti quali il mantenimento della cultura di origine o l’educazione dei figli secondo le proprie convinzioni, e dunque diritti astrattamente riconducibili addirittura alla prima generazione.

In dottrina è possibile rinvenire, peraltro, una certa commistione tra la categoria dei diritti culturali e la tutela del patrimonio culturale materiale108. Va pertanto sin da ora precisato

che la tutela, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale (materiale e immateriale) devono essere ricondotte, più correttamente, alla categoria dei principi, ovvero degli interessi costituzionalmente rilevanti, e non invece a quella dei diritti fondamentali, fatta salva la possibile eccezione di un diritto individuale ad accedere e fruire del patrimonio culturale nazionale, che pure è stato ipotizzato dalla dottrina (e di cui si dirà più avanti; cfr. cap. II, 6.). Nel prosieguo dell’analisi ci si concentrerà pertanto sulla categoria dei diritti culturali come diritti dell’individuo, e non si affronterà il tema, pur connesso, della tutela e della promozione del patrimonio culturale, artistico e paesaggistico.

Come si è anticipato, la categoria dei diritti culturali nasce originariamente in stretta correlazione con la problematica delle minoranze, tanto che si è detto che i diritti culturali nascono laddove entrano in contatto culture maggioritarie e minoritarie differenti109. Del

resto ciò non stupisce, se si pensa al ruolo centrale che la questione delle minoranze aveva giocato sul piano giuridico, politico e sociale negli eventi che portarono all’esplosione del secondo conflitto mondiale. Non a caso, i primi riferimenti ai diritti culturali appaiono

107 Si veda in questo senso F: SCUTO, Diritti culturali e multiculturalismo nello Stato costituzionale, in P.

Bilancia (a cura di), Diritti culturali e nuovi modelli di sviluppo, cit., 51.

108 Per una ricostruzione congiunta delle due questioni si vedano, ad esempio: M. CARCIONE, Per una definizione dei diritti culturali garantiti dall’ordinamento italiano, in R. Balduzzi (a cura di), Annuario DRASD 2011, Milano, Giuffrè, 2011, 305 ss.; S. CAVALIERE, I livelli essenziali delle prestazioni e i nuovi “diritti culturali”, in Rivista AIC, n. 3, 2017; F. SGRÒ, La duplice natura dei diritti culturali, in P. Bilancia

(a cura di), Diritti culturali e nuovi modelli di sviluppo, cit.

109 Si vedano in questo senso: G. BRITZ, Kulturelle Rechte und Verfassung. Über den rechtlichen Umgang mit Differenz, in Jus Publicum. Beiträge zum öffentlichen Recht, vol. 60, Tübingen, Mohr Siebeck, 2000;

nella dottrina internazionalistica del primo dopoguerra, in particolare con riferimento alla necessità che la Società delle Nazioni provvedesse alla loro effettiva tutela, alla luce delle sistematiche violazioni degli stessi che gli appartenenti alle minoranze europee stavano subendo nella corsa verso l’esplosione della Seconda Guerra Mondiale110.

In quest’ottica, si può dire che i diritti culturali siano stati originariamente concepiti per rispondere all’esigenza di tutelare alcuni specifici diritti degli appartenenti alle minoranze, intese come gruppi sociali contraddistinti, appunto, da una cultura diversa da quella maggioritaria nell’ordinamento111. Il riconoscimento di detti diritti avrebbe servito

una duplice funzione: da un lato la promozione della coesistenza pacifica, e dunque il tentativo di disinnescare l’argomento per cui alcune minoranze, oppresse dagli Stati ospitanti, avrebbero dovuto essere “salvate”, dall’altro l’imposizione di un limite alle pretese delle minoranze stesse (tramite la perimetrazione dei loro diritti), in quanto il riconoscimento di determinati diritti può essere certamente letto come strumentale rispetto al controllo statale, e in particolare come tentativo di sottrarre slancio ad eventuali spinte secessioniste ovvero di evitare il riaccendersi di tensioni che, nell’immaginario collettivo, avevano portato alle due Guerre Mondiali112.

Da un punto di vista giuridico, se definire il concetto di minoranza non è forse tanto difficile quanto definire il concetto di cultura, l’impresa risulta nondimeno ardua, se si pensa che il significato del termine “minoranza” è stato ritenuto potenzialmente infinito, atteso che è possibile individuare tante minoranze quante sono le distinzioni che animano le società contemporanee113. In ogni caso, alcuni elementi che certamente contribuiscono

a definire una minoranza e che possono essere ritenuti sostanzialmente comuni nel costituzionalismo europeo, possono a ben vedere essere identificati. In primo luogo, per

110 Si vedano, ad esempio: I. L. EVANS, The protection of minorities, in British year book of international law, vol. 4, 1923-1924, 95 ss.; B. HEYKING, The international protection of minorities - The Achilles’ heel of the League of Nations, in Transactions of the Grotius society, vol. 13, 1927, 31 ss.

111 Sulla tutela delle diverse identità e culture nelle società democratiche e pluraliste si veda S. LARICCIA, Minoranze in Europa, in Enciclopedia del diritto, agg. V, Milano, Giuffrè, 2001. Sulla nozione di

minoranza culturale si vedano: F. PALERMO, J. WOELK, Diritto costituzionale comparato dei gruppi e

delle minoranze, cit., 7 ss.; W. KYMLICKA, Multicultural citizenship: a liberal theory of minority rights,

Oxford, Clarendon Press, 1995, 11 ss.

112 In questo senso si vedano, ad esempio: G. LATTANZI, La tutela dei diritti delle minoranze in Italia,

relazione in occasione dell’Incontro di Studio con la Corte Costituzionale del Kosovo, disponibile su www.cortecostituzionale.it, 7 giugno 2013; F. PALERMO, J. WOELK, Diritto costituzionale comparato

dei gruppi e delle minoranze, cit., 74 ss. e 155 ss. Con riferimento specifico ai diritti linguistici, si veda D.

E. TOSI, Diritto alla lingua in Europa, Torino, Giappichelli, 2017, 104 ss.

113 Si vedano: E. PALICI DI SUNI, Minoranze, in Digesto discipline pubblicistiche, IX, Torino, UTET,

minoranza si intende un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione di uno Stato. In secondo luogo, detto gruppo non deve trovarsi in una posizione dominante nell’ordinamento (ad esempio, detenendo il potere per il tramite della forza, o divenendo maggioranza nelle sedi della rappresentanza per il tramite di particolari meccanismi elettorali). In terzo luogo, detto gruppo deve distinguersi dal resto della popolazione sulla base di elementi etnici, linguistici, religiosi, culturali. Infine, gli appartenenti alla minoranza devono manifestare un sentimento, anche implicito, di solidarietà, una tendenza a preservare la propria cultura, le proprie tradizioni, la propria religione o la propria lingua, o più in generale gli elementi identitari che li accomunano114. Sembra

invece opportuno rinunciare sia alla cittadinanza che alla localizzazione territoriale quali criteri definitori delle minoranze, atteso che essi risultano mal conciliabili con la realtà della società globalizzata e plurale contemporanea, ed escluderebbero dall’ambito della tutela minoranze vecchie (quale ad esempio quella ebraica) e nuove (cfr. cap. III, 4.)115.

Alla luce di quanto esposto, è possibile apprezzare come la nozione di minoranza a cui faceva riferimento il panorama normativo internazionale e nazionale del Secondo Dopoguerra fosse quella delle cosiddette minoranze storiche, vale a dire le minoranze (ad esempio etniche, indigene, linguistiche) già esistenti all’interno di un dato Stato, e non fosse automaticamente estendibile alle “nuove” minoranze, ovvero ai gruppi sociali costituiti da immigrati, tipici dell’era della globalizzazione e dei sempre crescenti flussi migratori116. In ogni caso, la categoria dei diritti culturali veniva elaborata proprio in

114 Gli elementi definitori esposti sono stati ricavati a partire dalle celebri definizioni elaborate da: F.

CAPOTORTI, Il regime delle minoranze nel sistema delle Nazioni Unite e secondo l’art. 27 del Patto sui

diritti civili e politici, in Rivista internazionale dei diritti dell’uomo, n. 1, 1992. Si vedano inoltre: L.

MONTANARI, Minoranze (tutela delle), in S. Cassese (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, IV, Milano, Giuffrè, 2006; S. LARICCIA, Minoranze in Europa, cit. F. PALERMO, J. WOELK, Diritto

costituzionale comparato dei gruppi e delle minoranze, cit., 10 ss. propongono come ulteriore criterio

quello della rilevanza giuridica, del riconoscimento giuridico esplicito o implicito nell’ordinamento.

115 Si veda in questo senso E. ROSSI, Minoranze etnico-linguistiche, in Archivio giuridico, nn. 2-3, 1993,

267.

116 Sulla distinzione tra “nuove minoranze” (“gruppi etnici”) e “minoranze nazionali” si veda, per tutti, W.

KYMLICKA, Multicultural citizenship: a liberal theory of minority rights, cit., 11 ss. Sull’applicabilità alle sole minoranze nazionali si vedano, per tutti: F. CAPOTORTI, Study on the rights of persons belonging

to ethnic, religious, and linguistic minorities, New York, United Nations, 1991; P. THORNBERRY, The UN Declaration on the rights of Persons Belonging to National or Ethnic, religious and Linguistic Minorities: Background, analysis, observations and an update, in A. Phillips, A. Rosas (a cura di), Universal minority rights, Turku, Åbo akademi, University Institute for Human Rights, Minority Rights

Group (International), 1995; M. NOWAK, U.N. Covenant on Civil and Political Rights. CCPR

commentary, Kehl am Rhein-Arlington, Engel Publishers, 2005. Sembra avere mutato orientamento,

tuttavia, lo Human Rights Committee: cfr. UN Human Rights Committee (HRC), CCPR General Comment

seguito alla presa di coscienza che la mera tutela dei diritti fondamentali liberali “tradizionali” non era più sufficiente (e certo non lo era stata nel ventennio dei totalitarismi) a garantire un’effettiva protezione alle minoranze, e che si rendeva pertanto necessario abbandonare la prospettiva dell’eguaglianza formale per passare a quella dell’eguaglianza sostanziale, se del caso ricorrendo alla discriminazione positiva in favore dei gruppi minoritari117.

Questa configurazione dei diritti culturali come diritti differenziati, o diritti posti a protezione solo di alcuni determinati gruppi, pone dei problemi con riferimento alle teorie universalistiche dei diritti fondamentali, che postulano l’indivisibilità e l’indisponibilità dei diritti stessi, che devono essere riconosciuti indistintamente e in condizioni di eguaglianza a ogni essere umano. In questo senso, è stato argomentato che i diritti culturali dovrebbero essere qualificati come diritti relativi, in contrapposizione ai diritti universali assoluti, in quanto essi potrebbero essere invocati solo da categorie “svantaggiate”118. I diritti culturali assumerebbero pertanto un ruolo sussidiario rispetto a

quello dei diritti universali, e sarebbero configurabili solo laddove essi consentano un migliore godimento di questi ultimi, e quindi nella misura in cui essi apportino un maggiore beneficio ai meno avvantaggiati e siano liberamente rinunciabili dall’individuo alla cui tutela sono preposti119.

La ricostruzione in esame, che teorizza la disponibilità dei diritti culturali, che non sarebbero quindi diritti fondamentali in senso stretto, appare influenzata dal dibattito dottrinale di inizio secolo, che tendeva a identificare diritti culturali e diritti collettivi (cfr. cap. II, 2.). I diritti culturali sono tuttavia da interpretarsi, come si vedrà (cfr. cap. II, 3.), anche alla stregua di diritti individuali negativi, che tutelano la cultura dalle ingerenze statali: in questo senso, i diritti culturali dovrebbero essere ricondotti preferibilmente, almeno con riferimento alla protezione della sfera culturale del singolo da interferenze esterne, alla categoria dei diritti fondamentali indisponibili120.

117 Si veda sul tema V. PIERGIGLI, Lingue minoritarie ed identità culturali, Milano, Giuffrè, 2001. 118 L’applicazione del principio di differenza elaborato da Rawls alla categoria dei diritti culturali è stata

argomentata da M. LA TORRE, Universalità e relatività dei diritti fondamentali. Diritti dell’uomo, diritti

delle donne, diritti “culturali”, in Ragion pratica, n. 2, 2004, 430 ss. Lo stesso ragionamento potrebbe

peraltro essere svolto con riferimento ai diritti sociali.

119 Ibidem.

120 Sulla qualificazione dei diritti culturali come diritti fondamentali si veda anche G. FAMIGLIETTI, Diritti culturali e diritto della cultura, cit.

Il diverso problema della distorsione dei diritti culturali, e dunque la preoccupazione universalistica circa un possibile utilizzo degli stessi per imporre la cultura del gruppo all’individuo, non attiene tanto alla disponibilità degli stessi, quanto al bilanciamento tra il diritto culturale individuale e l’eventuale contrapposta esigenza di tutela del gruppo (e l’eventuale configurabilità del gruppo quale soggetto di diritto), ovvero tra il diritto dell’individuo a cui siano imposte delle pratiche culturali e il diritto culturale di chi tali pratiche imponga: in entrambi i casi, sarà il diritto del soggetto in posizione di debolezza (rispetto al gruppo) a dover prevalere in sede di bilanciamento.

Un ulteriore problema che si è posto e che ancora si pone in dottrina, attesa la complessità delle questioni definitorie sopraccitate, è il criterio da utilizzare per l’individuazione dei diritti culturali, e dunque per la perimetrazione degli stessi all’interno della ben più ampia categoria dei diritti individuali fondamentali. Infatti, nonostante in dottrina si tenda a fare riferimento in generale ai “diritti culturali”, dando l’impressione che si tratti di una categoria ben individuabile ed individuata, si è ancora ben lungi dalla formulazione di un catalogo esaustivo e viene addirittura revocata in dubbio, da autorevole dottrina, la stessa esistenza dei diritti culturali quale categoria autonoma (cfr. cap. II, 4.)121.

Una delle definizioni più diffuse di diritti culturali è quella per cui apparterrebbero a detta categoria i diritti fondamentali che promuovono e proteggono gli interessi culturali degli individui e delle comunità, il cui fine è quello di avanzare la capacità di questi ultimi di preservare, sviluppare e cambiare la propria identità culturale122. Trattasi di definizione

estremamente generale, e che perciò se da un lato consente la flessibilità necessaria e forse indispensabile per coniugare il concetto di cultura con la teoria dei diritti fondamentali, dall’altro sembra aprire tutta una serie di problematiche proprio a causa della sua indeterminatezza, in primis con riferimento alla dubbia possibilità di utilizzarla in concreto ai fini di individuare con certezza quali diritti siano “culturali” e quali no. Secondo un’altra interpretazione i diritti culturali potrebbero essere concepiti alternativamente in chiave funzionale-oggettiva, e dunque definiti in virtù della loro funzione costitutiva della coscienza individuale e collettiva, ovvero in chiave soggettiva, e pertanto essi sarebbero diritti particolari di soggetti appartenenti a categorie culturali e

121 Si veda sul punto V. ANGIOLINI, Diritto costituzionale e società multiculturali, cit., 27 ss.

122 Definizione elaborata da Y. DONDERS, Cultural rights and the UNESCO Convention: more than meets the eye?, in C. De Beukalaer, M. Pyykkönen, J. P. Singh (a cura di), Globalization, culture and development – The UNESCO Convention on cultural diversity, London, Palgrave MacMillan, 2015, 117.

sociali diversamente ampie, che postulano di divenire parte dei diritti di tutti, di parlare anche attraverso i diritti universali determinando per ciò stesso anche il mutamento di questi ultimi123.

Kymlicka propone, nella sua teoria della cittadinanza multiculturale, la suddivisione dei diritti di gruppo in tre sottocategorie, e più precisamente nei diritti: di rappresentanza (istituzione di particolari meccanismi nell’ambito della democrazia rappresentativa che consentano il dialogo e il riconoscimento delle minoranze culturali); di autogoverno (relativi all’autoamministrazione delle singole minoranze, specie di quelle localizzate territorialmente); polietnici (tutela negativa e positiva volta a conservare determinate pratiche espressive dell’identità culturale di una data minoranza)124. Non viene peraltro

chiarito quali tra queste categorie possano essere ritenute categorie di diritti culturali. Sembra in ogni caso che possano certamente rientrare nella categoria i diritti “polietnici”, in virtù della loro specifica finalità di tutela dell’identità culturale.

Elaborando sulla tripartizione appena descritta si è inoltre proposta una ripartizione dei diritti culturali su di una griglia composta da otto diverse sotto-categorie, che ne consentirebbe una più agevole individuazione. In questo senso sarebbero diritti culturali quei diritti afferenti a: esenzioni da obblighi che la legge normalmente prevede (è questo, ad esempio, il caso della cultural defense; cfr. cap. III, 7.1.); assistenza con riferimento ad ambiti in cui la maggioranza culturale non avrebbe bisogno di aiuto (ad esempio, traduzioni); autogoverno delle minoranze (secondo diversi livelli di decentramento); limitazioni esterne, che comprimono i diritti degli appartenenti alla cultura maggioritaria per preservare quella minoritaria (come ad esempio l’imposizione di una determinata lingua minoritaria in un dato territorio); limitazioni interne, che comprimono la libertà dei membri (e possono arrivare sino all’espulsione dal gruppo minoritario); applicazione di determinate regole, diverse da quelle normalmente previste nell’ordinamento (come nel caso dell’applicazione di norme giuridiche tradizionali ai soggetti indigeni); rappresentanza delle minoranze negli organi di Governo (ad esempio, previsione di quote

123 Secondo la definizione elaborata da S. STAMMATI, L’ampliamento dei diritti culturali fra universalismo e particolarismo, in A. Pisaneschi, L. Violini (a cura di), Poteri, garanzie e diritti a sessanta anni dalla Costituzione. Scritti per Giovanni Grottanelli dè Santi, Milano, Giuffrè, 2008, 1347.

124 La suddivisione è proposta in W. KYMLICKA, Multicultural citizenship: a liberal theory of minority rights, cit., 113 ss.

riservate alle minoranze); rivendicazioni simboliche (ad esempio riconoscimento di festività tipiche della minoranza o utilizzo dei nomi tradizionali per persone e luoghi)125.

Secondo altri autori, invece, non sarebbe possibile per il giurista l’elaborazione di una categoria o di un catalogo dei diritti culturali, o si tratterebbe in ogni caso di un esercizio in ultima analisi sterile, dovendo preferirsi un approccio empirico, che valuti il caso concreto ed elabori una soluzione a partire dagli strumenti giuridici che l’ordinamento offre126.

Altra tesi, ancor più radicale, nega tout court l’esistenza di una categoria di diritti culturali, contestando che rientri tra le prerogative dello Stato quella di concedere come “culturali” determinati diritti, escludendo quindi al contempo la “culturalità” di altri: la cultura impregnerebbe di sé l’intero svolgimento della personalità umana, e pertanto essa sarebbe insita in ogni diritto e nel suo esercizio127. Trattasi di impostazione che si pone

del resto sostanzialmente in linea di continuità con la tendenza prevalente nel costituzionalismo del secondo dopoguerra, e dunque con l’interpretazione della cultura quale concetto meta-giuridico, come tale sottratto alla sfera del diritto costituzionale. Va tuttavia sottolineato che un ragionamento siffatto non appare dirimente circa l’autonomia ontologica della categoria dei diritti culturali nella misura in cui esso potrebbe essere svolto, a ben vedere, anche per il diritto alla libertà religiosa o linguistica, in quanto si potrebbe ben sostenere che la religione e la lingua, al pari della cultura (di cui del resto esse sono delle manifestazioni), possano informare l’intero svolgimento della personalità umana, e dunque condizionare le modalità di esercizio di ogni diritto dell’individuo. Ciò non ha tuttavia impedito il riconoscimento del ruolo della religione o della lingua nelle Costituzioni contemporanee, né il riconoscimento di specifici diritti religiosi o linguistici.

Tutto ciò premesso, è un dato di fatto che la categoria dei diritti culturali, nonostante i numerosi sforzi definitori sopradescritti, sia ben lungi da un’elaborazione organica e soddisfacente. Una possibile spiegazione della lentezza del processo di riconoscimento dei diritti culturali all’interno degli ordinamenti costituzionali occidentali, oltre che della relativa riluttanza del legislatore e delle Corti a confrontarsi con le tematiche ad essi

125 La nota classificazione è stata elaborata da J. T. LEVY, Classifying cultural rights, in I. Shapiro, W.

Kymlicka (a cura di), Ethnicity and group rights, New York, New York University Press, 1997, 24 ss.

126 Si veda in questo senso F. CERRONE, I diritti all’identità e le minoranze, in

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