L’evolversi dello Stato multiculturale europeo
2. Il multiculturalismo come elemento strutturale nello Stato democratico: verso lo Stato multiculturale?
Alla luce di quanto esposto nel paragrafo precedente, il multiculturalismo può essere inteso come la nuova modalità di gestione e riconoscimento, da parte dello Stato costituzionale, delle differenze culturali, e dunque come superamento di quello che era l’approccio tipico dello Stato liberale. È stato infatti evidenziato come prima delle teorie del multiculturalismo le politiche in materia di minoranze culturali non prevedessero altro che: l’assimilazione coatta, mediante deportazione o imposizione della lingua e dei costumi maggioritari (si pensi alle minoranze indigene del Nord-America); l’isolamento e la separazione fisica dalla maggioranza (si pensi alla ghettizzazione delle minoranze ebraiche in Europa); l’attribuzione ai loro membri di uno status deteriore rispetto a quello degli appartenenti alla maggioranza culturale, e dunque di minori diritti (si pensi alla minoranza afroamericana negli Stati Uniti sino agli anni ’60)54.
53 La distinzione è proposta da A. PIZZORUSSO, Minoranze etnico-linguistiche, cit.
54 Sul tema si veda G. PINO, Libertà religiosa e società multiculturale, cit., 159. L’assimilazionismo ha
peraltro certamente sempre rappresentato la regola, ma detta regola ha conosciuto delle eccezioni. Si vedano in questo senso, e per una ricostruzione storica della tutela delle minoranze in Europa, F. PALERMO, J. WOELK, Diritto costituzionale comparato dei gruppi e delle minoranze, cit., 67 ss.
Inoltre, la globalizzazione e il costante incremento dei flussi migratori che hanno interessato, specie nelle ultime due decadi, gli ordinamenti appartenenti al cosiddetto “mondo occidentale” in generale, e l’Europa in particolare, hanno comportato la necessità di confrontarsi non più solo con la tutela delle minoranze nazionali o indigene, ma anche con le istanze e le problematiche relative alle nuove minoranze, frutto dell’aggregazione dei migranti e del loro radicamento in nuovi ordinamenti55. La domanda pressante alla
quale diveniva necessario dare una risposta era se il modello di società aperta predicato dalle Costituzioni europee a partire dal secondo dopoguerra fosse un progetto rivolto anche agli stranieri e alle minoranze culturali, o se al contrario esso fosse riservato ai cittadini56.
Non sorprende pertanto che la teoria del multiculturalismo, originariamente elaborata in Canada, si sia in seguito espansa, in primo luogo da un punto di vista geografico, nel resto del mondo occidentale, venendo ufficialmente adottata da ordinamenti che si trovavano a fare i conti con un sempre crescente pluralismo culturale, e in secondo luogo da un punto di vista concettuale, andando a ricomprendere tutte le diverse minoranze culturali e non più solo quelle storiche. E così, a partire dagli anni ’70, un’adesione più o meno espressa al modello multiculturale, sulla scorta dell’ordinamento canadese, è stata data, nell’ordine, dall’Australia, dal Regno Unito, dalla Germania e dall’Olanda. Si è parlato in questo senso, con riferimento alle ultime decadi del secolo scorso, di una “crescita inarrestabile” del multiculturalismo, inteso come modello culturale e politico- istituzionale per la gestione delle società multietniche e multiculturali57.
In altre parole, mentre il mondo sembrava divenire sempre più piccolo 58 , il
multiculturalismo espandeva i suoi confini. È importante sottolineare tuttavia una radicale differenza tra il multiculturalismo europeo e il multiculturalismo nel resto del mondo occidentale: se in Canada, in Australia, in America Latina e negli Stati Uniti, infatti, il multiculturalismo viene teorizzato ai fini di gestire i conflitti di una società frammentata
ab origine in virtù della coesistenza di molteplici tipi di minoranze (indigene, etniche,
religiose), in Europa il multiculturalismo viene invece importato specificatamente al fine di gestire un processo di frammentazione della società ancora in divenire, come
55 Si è parlato in questo senso di una universalizzazione della nozione di multiculturalismo. Si veda G.
ZAGREBELSKY, La virtù del dubbio, cit., 110.
56 Si veda C. PINELLI, Società multiculturale e Stato costituzionale, cit., 7 ss.
57 Si veda G. CERRINA FERONI, Diritto costituzionale e società multiculturale, cit., 4 ss.
conseguenza dei sempre crescenti flussi migratori che interessano il continente sul finire del XX secolo59.
I termini “società multiculturale” e “multiculturalismo” vengano sovente utilizzati, in dottrina, in modo fungibile e in chiave descrittiva, intendendo per società multiculturale qualsiasi società nella quale si verifichino dei contrasti tra diverse culture60. Si è quindi
proposta la definizione di “Stato multiculturale” ai fini di descrivere la realtà del pluralismo (religioso, etnico, linguistico e, appunto, culturale) estremo che nello Stato si determina come conseguenza delle migrazioni61. Sempre in quest’ottica è stata inoltre
sostenuta una distinzione tra i concetti di società multiculturale (o Stato multiculturale), che farebbe riferimento al mero dato empirico e oggettivo della presenza di culture diverse in uno stesso ordinamento, e multiculturalismo, che indicherebbe invece un preciso modello politico, giuridico ed etico62.
La locuzione “Stato multiculturale” sembra in ogni caso cogliere efficacemente la dimensione strutturale del multiculturalismo, che è ormai divenuto fattore ineludibile nelle società europee contemporanee, a fronte di continui, inesauribili (e virtualmente inarrestabili) flussi migratori che contribuiscono all’insediamento e al radicamento di culture nuove ed estremamente diverse l’una dall’altra63. Il cittadino straniero non porta
con sé soltanto la propria forza lavoro, ma anche la propria cultura, l’insieme delle tradizioni, delle pratiche, dei valori secondo i quali è cresciuto ed è stato educato nel proprio ordinamento di origine. Vengono quindi a crearsi negli ordinamenti ospitanti delle “nuove minoranze”, dei gruppi sociali che nascono dall’aggregazione più o meno spontanea degli stranieri che vi si stabiliscono64. Si moltiplicano pertanto le occasioni di
59 Si veda in proposito C. JOPPKE, Is multiculturalism dead?, cit., 33 ss., che distingue tra
“multiculturalismo del Nuovo Mondo” e “multiculturalismo del Vecchio Mondo”. Sebbene il continente europeo abbia conosciuto migrazioni anche più estese, specie nella prima metà del XX secolo (e specie tra le due Guerre Mondiali), è bene tenere a mente che dette migrazioni erano sostanzialmente intra-europee, e vedevano quindi protagonisti individui caratterizzati da differenze culturali contenute, non paragonabili a quelle che caratterizzano il fenomeno migratorio nella sua fase attuale.
60 In questo senso, ad esempio, A. MORRONE, Multiculturalismo e Stato costituzionale, cit., 21.
61 Definizione proposta da V. BALDINI, Lo Stato multiculturale e il mito della Costituzione per valori, in
AA. VV. (a cura di), Scritti in onore di Angelo Mattioni, Milano, Vita e Pensiero, 2011, con la precisazione che non si tratta di una nuova forma di Stato, bensì di una formula prettamente descrittiva.
62 Distinzione operata, ad esempio, da: C. MARTINELLI, Il modello di integrazione della Gran Bretagna,
in G. Cerrina Feroni, V. Federico (a cura di), Società multiculturali e percorsi di integrazione. Francia,
Germania, Regno Unito ed Italia a confronto, Firenze, Firenze University Press, 2017, 9 ss.; G. CERRINA
FERONI, Diritto costituzionale e società multiculturale, cit., 3.
63 Si veda T. GROPPI, Multiculturalismo 4.0, in Osservatorio costituzionale, n. 1, 2018, 3.
64 Si può ritenere che il fenomeno della formazione delle nuove minoranze si abbia laddove il migrante
confronto, ma anche di scontro, tra la cultura (o le culture) maggioritarie e le nuove culture “importate” attraverso i fenomeni migratori.
Nessun problema si pone, per quel che rileva in questa analisi, con riferimento alle culture di minoranze che storicamente abbiano condiviso, almeno in parte, la storia e la cultura europee (si pensi ad esempio all’Europa dell’est). Diversa è invece la questione laddove le nuove minoranze vivano secondo una scala di valori e di principi divergente, se non addirittura contrastante, rispetto a quella dell’ordinamento ospitante. Si tratta del fenomeno, oggetto di un acceso e ricco dibattito politico e dottrinale a partire dalla fine del secolo scorso, che è stato definito dalla dottrina come scontro di culture (Kulturkämpfe)65, se non addirittura come scontro di civiltà (clash of civilizations)66.
A prescindere dalle considerazioni circa la presunta impossibilità di una integrazione, o finanche di una mera convivenza, con determinate minoranze, il multiculturalismo rischia di divenire (e per molti aspetti è già divenuto) il campo di battaglia sul quale le diverse culture minoritarie lottano ai fini di ottenere il riconoscimento da parte della cultura maggioritaria. Detto scontro si sposta, dal punto di vista giuspubblicistico, sul tema dei principi e dei diritti, e in particolare sulla portata della tutela che principi quali il principio personalista, pluralista, di eguaglianza e di laicità dello Stato garantiscono alle culture minoritarie, e dunque sulla possibilità che diritti fondamentali quali il diritto alla libertà religiosa, di coscienza e di pensiero, ovvero il diritto alla cultura (a mantenere la propria cultura) competano in sede di bilanciamento con altri diritti fondamentali o con interessi costituzionalmente rilevanti, comprimendoli nell’ottica della protezione dell’identità culturale individuale (e, in alcuni casi, collettiva). In altre parole, una nuova serie di questioni problematiche nasce dal fatto che le nuove minoranze culturali hanno iniziato a “prendere sul serio” dei principi e dei diritti che, in una società caratterizzata da un elevato livello di omogeneità culturale quale era, ad esempio, quella italiana per la maggior parte del secolo scorso (si può sicuramente parlare, se non di una società monoculturale, di una
identificabile. Si veda in questo senso L. ORGAD, The cultural defense on Nations. A liberal theory of
majority rights, Oxford, Oxford University Press, 2015, 29.
65 Secondo la definizione di J. HABERMAS, Kampf um Anerkennung im demokratischen Rechtsstaat, cit.,
84.
società quasi monolingue e monoreligiosa), non venivano azionati nella loro piena portata67.
È importante evidenziare quindi come il multiculturalismo abbia assunto una dimensione strutturale a prescindere dal fatto che con il termine si voglia indicare lo stato di fatto della società multiculturale ovvero specifiche politiche volte alla gestione dell’integrazione. Se si accetta infatti la premessa, che pare allo stato incontestabile, per cui il multiculturalismo (usando il termine in senso descrittivo) è ormai un elemento strutturale negli ordinamenti del mondo occidentale, frutto di fenomeni altrettanto strutturali e finanche epocali, quali la globalizzazione e le migrazioni68, è evidente come
lo Stato debba necessariamente farsi carico di governarlo, e come pertanto l’implementazione di politiche multiculturali, volte ad affrontare le questioni dello “scontro tra culture”, venga ad assumere una portata altrettanto permanente e irreversibile. Il “peccato originale” di molte delle principali posizioni critiche rispetto al multiculturalismo sta pertanto proprio nel fatto di ritenere che esso costituisca una scelta, che sia possibile aderire allo stesso oppure rinnegarlo, omettendo così di rilevare come esso rappresenti invece ormai un dato ineludibile negli ordinamenti costituzionali occidentali.
Il multiculturalismo rappresenta quindi una sfida inedita, sfida che è stata definita come il risultato di una trasformazione strutturale della società, ma anche dello Stato di diritto, che impone una radicale riforma dell’ordinamento giuridico per poter essere seriamente affrontata69. Si potrebbe ribattere che una possibile soluzione alla questione sarebbe
quella di attuare politiche volte non già a tutelare le nuove minoranze, ma ad assimilarle, e dunque a ottenere la loro integrazione tramite l’assorbimento delle stesse nella cultura maggioritaria (impostazione che è stata peraltro sposata pienamente in alcuni ordinamenti). Da questo punto di vista, la scissione tra dimensione descrittiva e dimensione giuridico-politica del concetto di multiculturalismo70 potrebbe celare una
67 Si veda O. GIOLO, Migranti. Diritti in bilico?, in T. Mazzarese (a cura di), Diritto, tradizioni, traduzioni. La tutela dei diritti nelle società multiculturali, cit., 191.
68 Si veda in questo senso F. SCUTO, I diritti fondamentali della persona quale limite al contrasto dell’immigrazione irregolare, Milano, Giuffrè, 2012, 308. Parla di multiculturalismo come “caratteristica
indefettibile dello Stato” E. ROSSI, Minoranze etnico-linguistiche, cit., 271.
69 In questo senso V. BALDINI, Diritto, pluralismo culturale, Costituzione. La prospettiva storico- filosofica quale “precomprensione” per l’interpretazione dei “valori” costituzionali, cit., 1.
70 Si vedano G. CERRINA FERONI, Diritto costituzionale e società multiculturale, cit., 3; C.
strumentalità della stessa rispetto al ripudio della seconda, e più pregnante, accezione del concetto. In altre parole, si afferma che ad essere ineludibile, strutturale, sarebbe solo la presenza di diverse culture in una sola società, ma che sarebbe invece possibile approcciarsi alle questioni della convivenza tra dette culture senza ritenerle tutte egualmente degne di riconoscimento e tutela. Un’impostazione siffatta, tuttavia, solleva più di un dubbio circa la sua compatibilità costituzionale non solo con riferimento all’ordinamento italiano, ma anche con riferimento ai principi fondamentali della tradizione costituzionale comune europea. Si tratterebbe infatti di politiche volte ad affermare (rectius, ripristinare) l’identità nazionale e finanche etnica come presupposto dello Stato costituzionale, impostazione che sembra tuttavia contrastare apertamente con i sopraccitati principi pluralista, personalista e di eguaglianza, strizzando l’occhio alla retorica della “fortezza Europa”, e che sembra anacronistica in un continente in cui l’integrazione, non solo economica, sta muovendo passi (seppur a tratti faticosi) tutt’altro che trascurabili71.
Un approccio costituzionalmente orientato sembrerebbe imporre pertanto, quale via preferibile, se non addirittura obbligata, l’adozione di politiche di tipo multiculturale per rispondere al fenomeno strutturale del multiculturalismo: in questo senso le due accezioni (descrittiva e giuridico-politica) del termine si pongono in una relazione di necessaria continuità. Ne consegue che al ruolo contro-maggioritario assunto dal legislatore, che si trova a dover valutare l’adozione di politiche multiculturali spesso largamente impopolari, si va necessariamente ad aggiungere un ruolo contro-maggioritario delle Corti, che sono chiamate dalle istanze culturali delle nuove minoranze a garantire protezione e tutela ai diritti culturali di queste ultime, contro quella “tirannia delle maggioranze” che a ben vedere mette a repentaglio il fondamentale principio pluralista (ed in particolare il pluralismo culturale)72.
Emerge quindi la doppia (e per certi versi paradossale) lettura che può essere data della Costituzione nella società multiculturale: vengono infatti messe alla prova, allo stesso tempo, la forza inclusiva e la forza identificante e identitaria della Costituzione73.
71 Si veda in questo senso C. PINELLI, Società multiculturale e Stato costituzionale, cit., 8.
72 Sul ruolo contro-maggioritario delle Corti si veda S. MANCINI, La supervisione europea presa sul serio: la controversia sul crocifisso tra margine di apprezzamento e ruolo contro-maggioritario delle Corti, cit. 73 Si veda V. BALDINI, Diritto, pluralismo culturale, Costituzione. La prospettiva storico-filosofica quale “precomprensione” per l’interpretazione dei “valori” costituzionali, cit., 2.
Quest’ultima viene invocata, da un lato, da chi avversa il multiculturalismo, quale argine al pluralismo culturale, percepito come dilagante: i principi e i diritti fondamentali vengono utilizzati per tracciare il confine, il discrimine tra chi può entrare a far parte della società ospitante e chi invece non deve essere ritenuto il beneaccetto. Adottando questa prima lettura, la maggioranza culturale si trincera dietro alla Costituzione, utilizzandola come scudo contro la contaminazione interculturale.
Dall’altro lato, si evidenzia invece come la Costituzione possa giocare un ruolo unificante, pur nelle considerevoli differenze che animano lo Stato multiculturale, divenendo il “medio dell’integrazione”, agevolando così la formazione di un’identità collettiva74.
A prescindere dall’interpretazione che si preferisca, entrambe le posizioni sono accomunate dalla presa d’atto che la Costituzione, in quanto tavola dei valori e principi identificanti per la maggioranza culturale ospitante, nella società multiculturale viene sottoposta ad una tensione sempre crescente. Non è da escludersi peraltro un approccio riduzionista all’apparente dicotomia appena descritta: a ben vedere, la Costituzione potrebbe fungere da motore dell’integrazione e della coesione sociale, ponendo però al contempo le regole e i limiti che il rispetto delle diverse culture e dei diritti ad esse connessi deve necessariamente incontrare, proprio nell’ottica della tutela e della promozione della coesione sociale, a cui nessun ordinamento può realisticamente rinunciare, pena il concretizzarsi del rischio dello scivolamento nel relativismo giuridico75.
Si rende pertanto necessario vagliare il rapporto tra multiculturalismo e alcuni principi costituzionali fondamentali, al fine di valutarne la compatibilità, anche alla luce delle critiche che hanno denunciato come l’approccio multiculturale rappresenterebbe, se portato alle sue estreme conseguenze, un pericolo per la tenuta stessa dell’impianto costituzionale.
74 In questo senso V. BALDINI, Lo Stato multiculturale e il mito della Costituzione per valori, cit. 75 Si intende qui per relativismo la rinuncia da parte dello Stato all’individuazione di valori comuni e alla
produzione di leggi ad essi ispirate, e non già l’idea di relativismo kelseniana per cui è relativa la validità dei giudizi di valore. Si veda sul tema H. KELSEN, Foundations of democracy, cit., 97. Si veda inoltre C. PINELLI, Principio di laicità, libertà di religione, accezioni di “relativismo”, in Diritto pubblico, n. 3, 2006.
3. Le critiche della compatibilità del multiculturalismo con alcuni principi