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L’evoluzione dei diritti culturali nelle fonti del diritto internazionale

Nel documento Diritti multiculturali in cammino (pagine 45-58)

Diritti culturali dell’umanità divenuti diritti fondamental

1. L’evoluzione dei diritti culturali nelle fonti del diritto internazionale

La categoria dei diritti culturali trova la sua origine, come si è detto, nel diritto internazionale convenzionale a partire dal secondo dopoguerra1. Va evidenziato sin da

ora che, nonostante numerose fonti del diritto sopranazionale facciano espressa menzione della categoria, nessuna di esse affronta questioni definitorie, o almeno specifica quali dei diritti da esse riconosciuti dovrebbero essere considerati diritti culturali.

Storicamente il primo riferimento ai diritti culturali nel diritto internazionale convenzionale può essere rinvenuto nell’articolo 22 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, che peraltro, come noto, è priva di valore vincolante dal punto di vista giuridico. L’articolo 22 menziona i diritti culturali accanto a quelli economici e sociali: la categoria dei diritti culturali viene qui definita dalla Dichiarazione come indispensabile per la dignità umana e per il libero sviluppo della personalità dell’individuo2. La norma in esame, secondo un’interpretazione letterale, può essere

considerata alla stregua di una disposizione poco più che programmatica, se si considera che la stessa non definisce cosa si debba intendere per diritti culturali, né una definizione

1 Per una ricostruzione storica dell’evoluzione della categoria dei diritti culturali nelle fonti del diritto

internazionale convenzionale si veda anche S. STAMMATI, L’ampliamento dei diritti culturali fra universalismo e particolarismo, cit., 1303 ss.

2 Così l’articolo 22: “Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale,

nonché alla realizzazione attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l'organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità”.

siffatta è rinvenibile in altri articoli della Dichiarazione. A conferma di questa lettura vanno i lavori preparatori della Commissione per i diritti umani, dove durante la discussione dell’articolo in esame veniva specificato come lo stesso, nelle intenzioni dei suoi redattori, non conferisse nessuno specifico diritto individuale, ma fosse piuttosto una disposizione “ombrello”, un preambolo per i successivi articoli dedicati prevalentemente ai diritti sociali3.

A ben vedere, in realtà, nell’originaria proposta di Dichiarazione redatta dal Segretariato e dal Drafting committee4, alcuni articoli tentavano di dare un contenuto in qualche modo

organico al “contenitore vuoto” dei diritti culturali: era questo ad esempio il caso dell’articolo 46, che configurava in capo alle minoranze (definite come un numero rilevante di persone di una razza, una lingua o una religione diversa da quella della maggioranza della popolazione) il diritto di creare e mantenere, anche tramite finanziamenti pubblici, le proprie scuole e le proprie istituzioni culturali o religiose, di usare la propria lingua nei rapporti con lo Stato, nella stampa e in pubblica assemblea (trattasi quindi a ben vedere non di uno, ma di molteplici diritti, negativi e positivi). Questa e altre proposte di tutela dei diritti delle minoranze non videro tuttavia la luce, stante la contrarietà della Commissione e della sua presidenza a riconoscerli come categoria di diritti a sé stante, ritenendo sufficiente per una piena protezione delle minoranze, in un’ottica universalista, la tutela dei diritti individuali dei singoli ad esse appartenenti. La presidenza esprimeva peraltro il convincimento che il problema delle minoranze fosse un problema unicamente europeo, e che pertanto eventuali diritti delle minoranze sarebbero stati privi del necessario requisito di universalità richiesto per l’inclusione nella Dichiarazione5.

Pertanto, a eccezione del diritto all’istruzione, riconosciuto dall’articolo 26, che prevede in capo ai genitori la mera “priorità” nella scelta del genere di istruzione da impartire ai figli, gli unici diritti culturali in senso stretto a essere riconosciuti dalla Dichiarazione

3 Si veda il verbale della sessione n. 137 del Third Committee of the General Assembly (A/C.3/SR.137).

Allo stesso modo, appare difficile sostenere che la norma in esame possa essere ricondotta nell’ambito dello

ius cogens, attesa proprio l’estrema indeterminatezza della stessa.

4 Cfr.: Draft Outline of the International Bill of Human Rights prepared by the Secretariat

(E/CN.4/AC.1/3); Report of the Drafting Committee of the Commission of Human Rights (E/CN.4/21).

5 Si vedano sul tema: M. D. EVANS, Religious liberty and international law in Europe, Cambridge,

Cambridge University Press, 1997, 182 ss.; P. THORNBERRY, International law and the rights of

minorities, Oxford, Clarendon Press, 1991. Si veda altresì il verbale della sessione n. 161 del Third Committee of the General Assembly (A/C.3/SR.161).

sono quelli elencati all’articolo 27 comma 1, per cui ogni individuo ha il diritto di: partecipare alla vita culturale della comunità; godere delle arti; partecipare al progresso scientifico e ai suoi benefici6. Il diritto a godere delle arti fa riferimento alla cultura nella

sua accezione restrittiva (patrimonio culturale), mentre il diritto di partecipare al progresso scientifico appare, per come è formulato, norma programmatica o comunque riferibile a un principio più che a un diritto dell’individuo. Per quanto riguarda il diritto a partecipare alla vita culturale della comunità, anche alla luce del sopradescritto approccio di sostanziale chiusura alla questione dei diritti delle minoranze, esso deve essere inteso, secondo interpretazione storica, come diritto a partecipare alle attività culturali della maggioranza7, conseguente al divieto di discriminazione, e dunque tendenzialmente come

una sorta di “diritto all’assimilazione”.

Trattasi comunque di un innegabile primo passo avanti nell’evoluzione del rapporto tra cultura e diritti, dal momento che la Dichiarazione si discosta significativamente dalla concezione materiale tipica del costituzionalismo di quegli anni, e dunque accoglie l’idea per cui la cultura può essere tutelata per il tramite di diritti soggettivi anziché dei soli principi o interessi rilevanti per lo Stato.

Negli anni successivi, nonostante questo primo riconoscimento dei diritti culturali come categoria di diritti a sé stante, non si evidenziavano sforzi definitori degni di nota. Vista la lentezza con la quale la categoria dei diritti culturali veniva elaborata, a fronte della rapida evoluzione delle categorie dei diritti sociali ed economici (ad essa concettualmente affiancate dalle Dichiarazioni del Secondo Dopoguerra), tale categoria è stata definita dalla dottrina come la “cenerentola” della famiglia dei diritti umani8. La tendenza che

emerge dall’analisi delle fonti, nel solco del disposto della Dichiarazione del 1948, è quella di riconoscere formalmente l’esistenza dei diritti culturali, solitamente affiancati ai diritti economici e sociali, ma di non fornire una definizione della categoria o una sua effettiva articolazione, individuando in linea di massima come due unici diritti culturali

6 Così l’articolo 27 comma 1: “Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale

della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici”. Natura almeno parzialmente culturale potrebbe inoltre essere riconosciuta alla componente “morale” del diritto di autore, tutelata dal secondo comma del medesimo articolo, per cui “Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore”.

7 Si veda in questo senso anche A. F. VRDOLJAK, Standing and collective cultural rights, in A.

Jakubowski (a cura di), Cultural rights as collective rights. An international law perspective, cit., 274.

8 Secondo l’evocativa formula utilizzata da H. NIEC, Casting the foundation for the implementation of cultural rights, in H. Niec (a cura di), Cultural rights and wrongs, Paris, UNESCO Publishing, 1998, 176.

il diritto a partecipare alle attività culturali ed il diritto all’istruzione (originariamente inteso come il diritto a ricevere un’istruzione, a volte con una blanda tutela delle scelte genitoriali circa le caratteristiche della stessa). In questo senso va, ad esempio, la Convenzione Internazionale sull’Eliminazione di tutte le Forme di Discriminazione Razziale del 19659.

Alcuni diritti culturali nel solco di quelli di cui all’articolo 27 della Dichiarazione del 1948 venivano riconosciuti e garantiti inoltre dall’articolo 15 del Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali del 1966 che tutela più precisamente: il diritto di partecipare alla vita culturale dello Stato; il diritto a godere dei benefici del progresso scientifico; il diritto a godere della tutela degli interessi morali e materiali scaturenti da qualunque produzione scientifica, letteraria o artistica10. La circostanza per cui nella fonte

in esame siano riconosciuti solo tre diritti culturali, per giunta in un unico articolo (sempre fatto salvo il riconoscimento del diritto all’istruzione, di cui all’articolo 13, che prevedeva peraltro il diritto dei genitori di curare l’educazione religiosa e morale dei figli in conformità alle proprie convinzioni), è piuttosto singolare, se si considera che il titolo della Convenzione sembrerebbe parificare formalmente i diritti culturali (al plurale) alle ben più note (e sviluppate) categorie dei diritti sociali ed economici.

Un ulteriore diritto culturale veniva riconosciuto, nello stesso anno, dall’articolo 27 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici del 1966, per cui agli appartenenti alle minoranze etniche, religiose o linguistiche, negli Stati dove dette minoranze esistono, deve essere riconosciuto il diritto di avere una vita culturale propria, di professare e

9 Così l’articolo 5: “In base agli obblighi fondamentali di cui all’articolo 2 della presente Convenzione, gli

Stati contraenti si impegnano a vietare e ad eliminare la discriminazione razziale in tutte le sue forme ed a garantire a ciascuno il diritto all’eguaglianza dinanzi alla legge senza distinzione di razza, colore od origine nazionale o etnica, nel pieno godimento dei seguenti diritti: [...] e) i diritti economici, sociali e culturali, ed in particolare: [...] v) il diritto all’educazione ed alla formazione professionale, vi) il diritto di partecipare in condizioni di parità alle attività culturali”.

10 Così l’articolo 15: “Gli Stati parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo: a) a

partecipare alla vita culturale; b) a godere dei benefici del progresso scientifico e delle sue applicazioni; c) a godere della tutela degli interessi morali e materiali scaturenti da qualunque produzione scientifica, letteraria o artistica di cui egli sia l'autore. Le misure che gli Stati parti del presente Patto dovranno prendere per conseguire la piena attuazione di questo diritto comprenderanno quelle necessarie per il mantenimento, lo sviluppo e la diffusione della scienza e della cultura. Gli Stati parti del presente Patto si impegnano a rispettare la libertà indispensabile per la ricerca scientifica e l'attività creativa. Gli Stati parti del presente Patto riconoscono i benefici che risulteranno dall'incoraggiamento e dallo sviluppo dei contatti e dalla collaborazione internazionale nei campi scientifico e culturale”. Per un’ampia analisi del contenuto del diritto a partecipare alla vita culturale si veda Y. DONDERS, Towards a right to cultural identity?, cit., 139 ss.

praticare la propria religione, o di usare la propria lingua, in comune con gli altri membri del proprio gruppo11.

A ben vedere l’articolo in esame potrebbe persino essere letto come il primo tentativo di formulare un catalogo di diritti culturali propriamente inteso, se si considera che esso non sembra riconoscere, in effetti, un solo diritto culturale (o alla cultura), ma garantisce diritti separati ed individuabili, e più precisamente: il diritto di avere una vita culturale propria; il diritto di professare e praticare la propria religione; il diritto di usare la propria lingua. Se il diritto alla libertà religiosa come espressione culturale non rappresenta, come si è visto nei paragrafi precedenti, una novità, lo stesso non si può dire del diritto ad una vita culturale propria, che a differenza del diritto a partecipare alla vita culturale maggioritaria, riconosciuto precedentemente dal diritto internazionale convenzionale, garantisce la libertà di riconoscersi in culture diverse da quella prevalente nello Stato in cui si vive. Ragionamento analogo può essere svolto per quanto riguarda il diritto ad utilizzare la lingua minoritaria. Problematico inoltre, anche sotto il profilo definitorio, il rapporto tra cultura, religione e lingua, atteso che la religione e la lingua sono manifestazioni della cultura, e dunque i tre beni protetti dalla norma potrebbero ben porsi in rapporto di genus e species (sulla questione si tornerà più avanti).

Si tratta in ogni caso di diritti negativi, che tutelano l’individuo dall’indebita ingerenza dello Stato, ma si tratta nondimeno di una positivizzazione di detti diritti in quanto espressioni delle culture al plurale, e dunque in quanto tutela delle culture minoritarie rispetto alla cultura maggioritaria. In questo senso lo Stato non incorre in un obbligo positivo di sostenere o promuovere le culture diverse da quella maggioritaria, ma nemmeno può intervenire ai fini di imporre quest’ultima, e dunque per favorire un’assimilazione coatta. L’interpretazione dell’articolo in esame da parte dello Human

Rights Committe ha peraltro specificato che esso richiederebbe almeno quelle misure

positive necessarie a preservare l’identità delle minoranze, preservazione che costituisce il presupposto per l’esercizio dei diritti ivi riconosciuti12. La disposizione in esame è stata

11 Così l’articolo 27: “In quegli Stati, nei quali esistono minoranze etniche, religiose, o linguistiche, gli

individui appartenenti a tali minoranze non possono essere privati del diritto di avere una vita culturale propria, di professare e praticare la propria religione, o di usare la propria lingua, in comune con gli altri membri del proprio gruppo”.

12 Cfr. UN Human Rights Committee (HRC), CCPR General Comment No. 23: Article 27 (Rights of Minorities), 8 April 1994, CCPR/C/21/Rev.1/Add.5. Trattasi peraltro di un’interpretazione consolidata

presso tutti i Committees, si veda F. LENZERINI, The safeguarding of collective cultural rights through

pertanto invocata con successo dinnanzi allo Human Rights Committee, ai fini ad esempio di rivendicare diritti (individuali) sulle terre13 ovvero il diritto di godere della propria

cultura nell’ambito della propria comunità (senza ingerenze statali)14 o ancora il diritto

all’utilizzo della propria lingua15 da parte di appartenenti alle minoranze storiche o

indigene.

Va altresì evidenziata sin da ora una caratteristica ulteriore dei diritti riconosciuti dall’articolo in esame: essi possono essere certamente goduti individualmente, ma anche “in comune con gli altri membri del proprio gruppo”. Si sovrappone così alla tutela riconosciuta alla cultura una dimensione collettiva della stessa, e così il diritto alla propria cultura, religione o lingua non resta confinato nella sfera più intima dell’individuo, ma viene proiettato nella sfera pubblica, e quindi con un necessario coinvolgimento delle collettività. Detta dimensione collettiva non deve essere confusa, peraltro, con una titolarità collettiva dei diritti in esame16.

Il rinnovato approccio alla questione ha portato inoltre a un’evoluzione anche nell’interpretazione dei sopraccitati articoli 27 della Dichiarazione del 1948 e 15 del Patto sui Diritti Economici, Sociali e Culturali del 1966, il cui ambito di tutela viene ampliato, per via interpretativa appunto, sino a ricomprendere anche la tutela della cultura delle minoranze17.

international law, in A. Jakubowski (a cura di), Cultural rights as collective rights. An international law perspective, cit., 133 ss.

13 Cfr. Chief Bernard Ominayak and the Lubicon Lake Band v. Canada, Communication No. 167/1984,

U.N. Doc. CCPR/C/38/D/167/1984.

14 Cfr.: Sandra Lovelace v. Canada, Communication No. 24/1977: Canada 30/07/81, UN Doc.

CCPR/C/13/D/24/1977; Ivan Kitok v. Sweden, Communication No. 197/1985, CCPR/C/33/D/197/1985;

Poma Poma v. Peru, Communication No. 1457/2006, U.N. Doc. CCPR/C/95/D/1457/2006; Georgopoulos and ors. v. Greece, Communication No. 1799/2008, U.N. Doc. CCPR/C/99/D/1799/2008.

15 Cfr. Mavlonov and Sa’di v. Uzbekistan, Communication No. 1334/2004, U.N. Doc.

CCPR/C/95/D/1334/2004.

16 Si veda in questo senso la distinzione tra “community rights” e “communal rights” operata da Y.

DONDERS, Foundation of collective cultural rights in international human rights law, in A. Jakubowski (a cura di), Cultural rights as collective rights. An international law perspective, cit., 89 ss.

17 Cfr.: Committee on Economic, Social and Cultural Rights (CESCR), General comment no. 21, Right of everyone to take part in cultural life (art. 15, para. 1a of the Covenant on Economic, Social and Cultural Rights), 21 December 2009, E/C.12/GC/21. Veniva fornita una lettura in questo senso addirittura della

tutela del diritto d’autore, cfr. UN Committee on Economic, Social and Cultural Rights (CESCR), General

Comment No. 17: The Right of Everyone to Benefit from the Protection of the Moral and Material Interests Resulting from any Scientific, Literary or Artistic Production of Which He or She is the Author (Art. 15, Para. 1 (c) of the Covenant), 12 January 2006, E/C.12/GC/17. Si veda sul tema A. F. VRDOLJAK, Standing and collective cultural rights, cit., 274 ss.

Anche nel Patto sui Diritti Civili e Politici veniva riconosciuto, all’articolo 18, il diritto dei genitori di educare i figli secondo le proprie convinzioni morali e religiose18.

La Dichiarazione sulla Razza e i Pregiudizi Razziali del 1978, pur essendo sprovvista di valore giuridico vincolante, sembra riconoscere all’articolo 1 un diritto individuale a mantenere la propria identità culturale19, peraltro per la prima volta con riferimento

espresso non solo alle minoranze nazionali, ma anche alle minoranze formatesi per effetto dei flussi migratori che contribuiscono allo sviluppo del Paese che li accoglie, così come chiarito dal comma 3 dell’articolo 920. Interessante notare come le disposizioni in

commento possano essere interpretate nel senso che il riconoscimento di un diritto al rispetto dell’identità e dei valori culturali dei membri delle minoranze sarebbe subordinato al contributo di questi ultimi allo sviluppo del Paese, e potrebbe quindi essere negato in caso di ospiti “sgraditi”, prefigurando così un’idea di proporzionalità tra doveri e diritti delle minoranze.

La Convenzione sull’Eliminazione di tutte le Forme di Discriminazione contro le Donne del 1979 riprendeva, all’articolo 13, quasi alla lettera la formulazione già vista del diritto a partecipare alla vita culturale21.

In continuità con le novità introdotte dal Patto sui Diritti Civili e Politici si pone poi la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia del 1989, che all’articolo 30 riprende quasi testualmente la formulazione del sopraccitato articolo 2722. La Convenzione del

1989 mostra inoltre una particolare attenzione alle questioni della cultura, e amplia

18 Così l’articolo 18 comma 4: “Gli Stati parti del presente Patto si impegnano a rispettare la libertà dei

genitori e, ove del caso, dei tutori legali, di curare l’educazione religiosa e morale dei figli in conformità alle proprie convinzioni”.

19 Così l’articolo 1 comma 3: “L'identità di origine non può condizionare la facoltà degli esseri umani di

vivere diversamente, così come non lo possono le differenze basate sulla diversità delle culture, dell'ambiente e della storia, né può ledere il diritto di mantenere la propria identità culturale”.

20 Così l’articolo 9 comma 3: “I gruppi di popolazione di origine straniera, specialmente i lavoratori emigrati

e le loro famiglie, che contribuiscono allo sviluppo del paese che li accoglie, dovranno beneficiare di disposizioni idonee ad assicurare loro la sicurezza e il rispetto della loro dignità e dei loro valori culturali ed a facilitare l'adattamento al nuovo ambiente e la promozione professionale, in modo che essi possano in seguito reinserirsi nel loro paese di origine e contribuire al suo sviluppo; si dovrebbe inoltre dare la possibilità ai loro figli di ricevere un insegnamento nella loro lingua materna”.

21 Così l’articolo 13: “Gli Stati parte devono prendere tutte le misure adeguate per eliminare la

discriminazione contro le donne in altri campi della vita economica e sociale, al fine di assicurare gli stessi diritti, su una base di uguaglianza tra uomini e donne, e in particolare: [...] il diritto di partecipare alle attività ricreative, agli sport ed a tutte le forme di vita culturale”.

22 Così l’articolo 30: “Negli Stati in cui esistono minoranze etniche, religiose o linguistiche oppure persone

di origine autoctona, un fanciullo autoctono o che appartiene a una di tali minoranze non può essere privato del diritto di avere una propria vita culturale, di professare e di praticare la propria religione o di far uso della propria lingua insieme agli altri membri del suo gruppo”.

ulteriormente il catalogo dei diritti culturali, completando il processo evolutivo del diritto all’istruzione, approntando una inedita tutela della cultura del minore, con riferimento a entrambi i volti del diritto all’istruzione, e dunque non solo al diritto a ricevere un’istruzione, che è propedeutico al conseguimento della “cultura” in senso stretto, e potrebbe in ogni caso essere interpretato come mezzo necessario per la partecipazione alle attività culturali maggioritarie, ma anche al diritto dei genitori di educare i figli secondo le proprie convinzioni.

In quest’ultimo senso, la Convenzione sembra ribaltare la tradizionale concezione del minore quale “oggetto” del diritto dei genitori a trasmettere i propri valori nell’ambito educativo, elevandolo piuttosto a soggetto di un autonomo diritto culturale: il diritto a essere educato secondo i valori propri della sua cultura di appartenenza. L’articolo 29, infatti, sancisce il principio per cui l’educazione del fanciullo deve avere come finalità lo sviluppo della sua identità, della sua lingua, e dei suoi valori culturali, oltre che il rispetto dei valori nazionali del Paese in cui vive, di quello di cui è originario e delle civiltà diverse dalla sua23.

Appare estremamente indicativo del rinnovato approccio, figlio dell’era della

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