L’evolversi dello Stato multiculturale europeo
6. I modelli storici di integrazione culturale in Europa
6.4. Il modello olandese
Il modello olandese è noto per essere stato, specie nelle ultime due decadi del XX secolo, uno tra i modelli (se non il modello) più aperti al multiculturalismo tra quelli europei, nella misura in cui esso, molto prima di quello tedesco (pur partendo da un approccio
224 Per quanto riguarda il MPI, la Germania registra 1 punto con riferimento a finanziamenti e sovvenzioni
alle associazioni rappresentative delle minoranze. Registra 0,5 punti con riferimento a: riconoscimento costituzionale o legislativo del multiculturalismo come politica ufficiale ed istituzione di un apposito organo (ministero, segretariato o altro organo consultivo) di implementazione; esenzioni da obblighi e imposizioni riguardanti l’abbigliamento; finanziamenti e sovvenzioni alle associazioni rappresentative delle minoranze; finanziamento dell’istruzione bilingue o nella lingua madre. Registra 0 punti con riferimento a: inclusione del multiculturalismo nei programmi scolastici; rappresentanza delle minoranze nei media pubblici; previsione della doppia cittadinanza; politiche di affirmative action. Per quanto riguarda il MIPEX, la Germania ha riportato i seguenti punteggi: eguaglianza e pari opportunità nell’accesso e nella mobilità con riferimento al mondo del lavoro (75); interventi sul sistema scolastico ai fini di adattarlo alle necessità delle seconde generazioni di migranti (47); possibilità per le nuove minoranze di partecipare alla vita politica (61); trasparenza ed accessibilità del procedimento per l’ottenimento della cittadinanza (66); trasparenza ed accessibilità del procedimento per il ricongiungimento familiare (57); trasparenza e accessibilità del procedimento per l’ottenimento di permessi di residenza permanente (60); misure contro la discriminazione etnica, razziale, religiosa o nazionale (56).
225 Cfr.; Quebec National Assembly, Bill n. 62, 2017.
226 Cfr. R. LAU, Quebec religious neutrality bill suspended by Superior Court judge, in Global News, 1°
sostanzialmente analogo), ha abbandonato la visione dei migranti come ospiti temporanei, accettando la dimensione strutturale del fenomeno migratorio, e normando conseguentemente le questioni relative alle istanze culturali delle nuove minoranze. Si è osservato che la circostanza non deve stupire, in quanto la stessa società olandese è stata storicamente ritenuta una società priva di una vera e propria maggioranza culturale, in virtù della convivenza nell’ordinamento di una molteplicità di gruppi etnici, religiosi e linguistici: l’apertura dell’ordinamento alle nuove minoranze è stata quindi, in un certo senso, naturale, in virtù di una sua certa multiculturalità preesistente227. I Paesi Bassi sono
stati definiti dalla dottrina, in quest’ottica, come un “Paese di minoranze”228. Proprio
l’estremo pluralismo dell’ordinamento olandese ha portato, già a partire dalla fine del XIX secolo, alla suddivisione per pilastri della società (la cosiddetta “pillarization”), una divisione lungo direttrici verticali del corpo sociale fondata su fattori religiosi (cattolico – protestante) ovvero politici (liberale – socialista), che culminava in una e vera e propria separazione per compartimenti stagni, con ogni pilastro provvisto di propri partiti politici, emittenti radio e televisive, unioni dei lavoratori e dei datori di lavoro, giornali, scuole, università, ospedali e associazioni sportive229.
Il modello olandese ha pertanto sviluppato, a partire dai primi anni ’80, l’insieme delle politiche note come Ethnic Minorities Policy, volte a favorire la dimensione socio- culturale dello sviluppo personale degli appartenenti alle nuove minoranze (che venivano definite dal legislatore come “nuovi gruppi identitari”), nella convinzione che ciò ne avrebbe altresì favorito, nel lungo periodo, l’integrazione socio-economica230. Dette
politiche hanno visto una serie di interventi proattivi da parte dello Stato finalizzati a promuovere le culture delle nuove minoranze mediante un elevato livello di tutela dei loro diritti culturali. Gli interventi in esame comprendevano, ad esempio, l’istituzione di organi consultivi, capaci di esprimere opinioni che devono essere obbligatoriamente prese in considerazione dagli apparati statali231, l’istituzione di scuole religiose, la possibilità
227 Si veda C. JOPPKE, Is multiculturalism dead?, cit., 39.
228 Si vedano P. M. SNIDERMAN, L. HAGENDOORN, When ways of life collide: Multiculturalism and its discontents in the Netherlands, Princeton, Pinceton University Press, 2007, 13.
229 Sulla pillarization dell’ordinamento olandese si veda, per tutti, A. LIJPHART, The politics of accommodation: pluralism and democracy in the Netherlands, Berkeley, University of California Press,
1968.
230 Si vedano in questo senso J. W. DUYVENDAK, P. W. A. SCHOLTEN, Beyond the Dutch “multicultural model”. The coproduction of integration policy frames in the Netherlands, in Journal of International Migration and integration, vol. 12, n. 3, 2011, 338 ss.
di istituire e frequentare corsi sulla lingua e la cultura del gruppo di appartenenza, l’istituzione di emittenti radiotelevisive dedicate per ogni gruppo culturale.
È importante notare che le politiche in esame non venivano estese egualmente a tutte le nuove minoranze, ma solo a quelle di immigrazione più risalente, o comunque verso le quali il legislatore sentiva una particolare responsabilità, in virtù di un loro legame qualificato con l’ordinamento: si trattava più precisamente delle minoranze cinese, turca, moluccana, dell’Europa del Sud, caraibica, surinamese, marocchina e, genericamente, dei rifugiati232. Con riferimento ai diritti politici, invece, con un intervento legislativo che
viene ritenuto organico rispetto al modello di integrazione prescelto, veniva introdotto sin dal 1985 il diritto di voto alle elezioni locali per i non cittadini residenti da almeno cinque anni, mentre nel 1986 veniva semplificato il percorso di accesso alla cittadinanza. Le politiche in esame hanno consentito all’Olanda di conseguire un punteggio di 4 sul Multicultural Policy Index (per il 2000), e di 69 sul MIPEX (per il 2010)233.
È bene precisare che l’approccio in esame si distingue da quello inglese, parimenti multiculturale, ma solo in apparenza simile, per la particolare attenzione che esso dedica ai gruppi, concentrandosi sulla dimensione culturale collettiva delle minoranze di migranti, anziché sulla tutela dei diritti (culturali) individuali234. In questo senso, si è
evidenziato come l’approccio della suddivisione in pilastri, già utilizzato dal legislatore ai fini di governare le tensioni culturali che animavano le diverse componenti della cittadinanza nell’ordinamento, sia stato sostanzialmente traslato alla questione delle nuove minoranze235. Ciò appare per la verità piuttosto paradossale, se si considera che
232 Si veda M. P. VINK, Dutch “multiculturalism” beyond the pillarisation myth, in Political studies review, vol. 5, n. 3, 2007, 342.
233 Per quanto riguarda il MPI, i Paesi Bassi registrano 1 punto con riferimento a: rappresentanza delle
minoranze nei media pubblici; politiche di affirmative action. Registrano 0,5 punti con riferimento a: riconoscimento costituzionale o legislativo del multiculturalismo come politica ufficiale ed istituzione di un apposito organo (ministero, segretariato o altro organo consultivo) di implementazione; esenzioni da obblighi e imposizioni riguardanti l’abbigliamento; previsione della doppia cittadinanza; finanziamenti e sovvenzioni alle associazioni rappresentative delle minoranze. Registrano 0 punti con riferimento a: inclusione del multiculturalismo nei programmi scolastici; finanziamento dell’istruzione bilingue o nella lingua madre. Per quanto riguarda il MIPEX, i Paesi Bassi hanno riportato i seguenti punteggi: eguaglianza e pari opportunità nell’accesso e nella mobilità con riferimento al mondo del lavoro (91); interventi sul sistema scolastico ai fini di adattarlo alle necessità delle seconde generazioni di migranti (60); possibilità per le nuove minoranze di partecipare alla vita politica (72); trasparenza ed accessibilità del procedimento per l’ottenimento della cittadinanza (68); trasparenza ed accessibilità del procedimento per il ricongiungimento familiare (62); trasparenza e accessibilità del procedimento per l’ottenimento di permessi di residenza permanente (56); misure contro la discriminazione etnica, razziale, religiosa o nazionale (73).
234 Si veda C. JOPPKE, Is multiculturalism dead?, cit., 39.
235 Si vedano, in questo senso: H. ENTZINGER, The Rise and fall of multiculturalism: the case of the Netherlands, in C. Joppke, E. Morawska (a cura di), Toward assimilation and citizenship, Basingstoke,
l’approccio per pilastri era stato abbandonato, con riferimento alle questioni interne, già a partire dalla fine degli anni ’60, essendo ritenuto eccessivamente divisivo236.
Nondimeno, il caso olandese appare estremamente rilevante, in quanto esso sembra riconoscere, unico tra gli ordinamenti europei, una sorta di diritti culturali collettivi, nel senso in cui essi vengono intesi nel diritto internazionale convenzionale e negli ordinamenti “geneticamente multiculturali” 237 . In particolare, l’istituzione dei
sopraccitati organi consultivi delle nuove minoranze ricorda da vicino i diritti culturali di partecipazione che vengono normalmente riconosciuti alle minoranze storiche, e più precisamente alle minoranze indigene, nell’ordinamento canadese e negli ordinamenti dell’America Latina. Difficile infatti sostenere che la titolarità dei diritti in esame possa essere individuale, salvo laddove si voglia ricondurli a una particolare forma di esercizio dei diritti politici e di partecipazione alla formazione delle decisioni in un ordinamento democratico e plurale.
Il caso dell’ordinamento olandese risulta importante anche perché proprio esso, tra i primi a sposare un modello dichiaratamente multiculturale che a tratti, per organicità e sistematicità delle politiche adottate, ricordava addirittura quello canadese, è stato altresì il primo a operare una brusca inversione di rotta di centottanta gradi, abbandonando definitivamente il multiculturalismo in favore di politiche assimilazioniste anche particolarmente dure. Detta svolta può essere imputata, almeno in parte, alla particolare congiuntura sociale e politica creatasi nel Paese all’inizio del nuovo millennio, con i noti fatti dell’11 settembre 2001, a cui si aggiungevano le morti del politico populista e anti- islamico Pim Fortuyn, ucciso nel 2002 da un attivista ambientalista proprio a causa delle sue posizioni sulle minoranze islamiche, e del regista e intellettuale Theo van Gogh, ucciso nel 2004 da un cittadino olandese di origini marocchine, verosimilmente per avere trattato tematiche quali la posizione della donna nella cultura islamica assieme alla politica Ayaan Hirsi Ali, nota critica di alcune delle posizioni più radicali del credo
Palgrave Macmillan, 2003; V. GUIRAUDON, K. PHALET, J. TER WAL, Monitoring ethnic minorities in
the Netherlands, in International Social Science Journal, vol. 57, n. 183, 2005. In senso contrario si veda
tuttavia M. P. VINK, Dutch `multiculturalism' beyond the pillarisation myth, cit., 342 ss.
236 Si vedano J. W. DUYVENDAK, P. W. A. SCHOLTEN, Beyond the Dutch “multicultural model”. The coproduction of integration policy frames in the Netherlands, cit., 338 ss.
237 Secondo la definizione di D. AMIRANTE, V. PEPE, Presentazione, in D. Amirante, V. Pepe (a cura
di), Stato democratico e società multiculturale. Dalla tutela delle minoranze al riconoscimento delle
musulmano, a sua volta oggetto di gravissime minacce di morte, che ha lasciato il Paese nel 2006.
L’abbandono del multiculturalismo è stato predicato, anche se in misura e con toni diversi, da quasi tutte le forze politiche principali, ed è culminato in quello che è stato definito come un “liberalismo repressivo”, volto all’integrazione, anche forzata, delle nuove minoranze238. Un esempio delle nuove politiche assimilazioniste è la “legge
sull’integrazione civica all’estero” del 2006239. Essa prevede, infatti, che chi fa domanda
per l’ottenimento di un permesso di soggiorno dall’estero debba obbligatoriamente sottoporsi a un test, tenuto presso la più vicina ambasciata olandese, composto da due parti: una relativa alla conoscenza della lingua, e una relativa alla conoscenza della cultura dell’ordinamento ospitante. Non esistono materiali scritti per la preparazione dell’esame, e ai candidati viene mostrato il film “Coming to the Netherlands”, che mostra scene quali, ad esempio, coppie omosessuali in atteggiamenti intimi ovvero donne in topless (che possono essere ritenute offensive per alcune culture), invitando sostanzialmente chi non dovesse aderire a una certa visione etico-morale della società a non trasferirsi nei Paesi Bassi240. Il test ha inoltre un costo estremamente elevato (specie per gli standard di Paesi
extra-europei), e si applica addirittura agli individui coniugati a cittadini olandesi, con conseguenze potenzialmente lesive del fondamentale diritto all’unità familiare tutelato dall’articolo 8 della CEDU.
Il test in esame risulta peraltro indicativo del generale atteggiamento adottato dal legislatore olandese nei confronti delle nuove minoranze a partire dalla svolta assimilazionista del sistema, che appare ispirato a logiche discriminatorie sotto una pluralità di profili. Con riferimento alla platea dei soggetti coinvolti, ad esempio, nonostante il test sia formalmente non discriminatorio, avendo portata generale e applicandosi a qualsiasi richiedente un permesso di soggiorno, esso è invece di fatto mirato a specifici Paesi (e in particolare quelli a prevalenza islamica), in virtù di una lista delle esenzioni che include tutti gli ordinamenti facenti parte del cosiddetto “mondo occidentale”. Allo stesso modo, il test appare discriminatorio e irragionevole nella misura
238 Parla di “repressive liberalism” M. P. VINK, Dutch “multiculturalism” beyond the pillarisation myth,
cit., 338.
239 Cfr. Wet Inburgering in Het Buitenland del 2006.
240 Sul test di integrazione olandese si vedano: L. ORGAD, Illiberal liberalism. Cultural restrictions on migration and access to citizenship in Europe, cit., 71 ss.; M. P. VINK, Dutch “multiculturalism” beyond the pillarisation myth, cit., 346 ss.
in cui esso pretende che il migrante si integri nella cultura ospitante ancor prima di averne potuto avere esperienza diretta, con una sorta di richiesta di “integrazione preventiva” che sembra del tutto irrazionale: se è vero infatti che l’integrazione è un processo, che presuppone lo scambio e l’interazione su base quotidiana con la cultura dell’ordinamento ospitante, pretendere che lo straniero faccia ingresso nell’ordinamento “già integrato” equivale in ultima analisi a porre in capo a quest’ultimo un obbligo impossibile da assolvere.
In questo senso, si è detto convincentemente che il modello olandese, dopo la svolta del nuovo millennio, pretende ora dagli appartenenti alle nuove minoranze l’adempimento di obblighi di integrazione che equivalgono a pretendere che uno studente superi l’esame finale del corso al primo giorno di scuola241.
Non appare di molto diverso l’approccio con riferimento ai membri delle nuove minoranze che già si trovino nell’ordinamento olandese, atteso che nel 2006 è stata introdotta la nuova “legge sull’integrazione civica”242 che, applicandosi a tutti i residenti
sprovvisti della cittadinanza olandese (o europea) tra i 16 e i 65 anni, impone la frequenza di appositi corsi di integrazione, in adempimento di un supposto “dovere di integrazione civica”: il mancato adempimento di detto dovere nell’arco di cinque anni può portare alla comminazione di sanzioni amministrative243. Ai fini di comprendere la portata e la
durezza della svolta assimilazionista dell’ordinamento, si consideri che, in un primo periodo, si era addirittura proposto di applicare il medesimo test anche a determinate categorie di cittadini olandesi, e in particolare a quelli provenienti dalle ex colonie delle Antille e di Aruba244.
Il revirement appena descritto ha influenzato in misura non trascurabile anche il riconoscimento dei diritti linguistici delle nuove minoranze. Se infatti nella fase più plurale del modello erano state messe in atto politiche volte a facilitare l’insegnamento delle lingue delle nuove minoranze nelle scuole, a partire dal 2004 si è registrata un’interruzione dei finanziamenti per le attività in esame che, se letta in parallelo con il requisito della conoscenza dell’olandese per accedere al permesso di soggiorno, risulta
241 Espressione riportata da L. ORGAD, Illiberal liberalism. Cultural restrictions on migration and access to citizenship in Europe, cit., 72.
242 Cfr. Wet Inburgering del 2006.
243 Si veda M. P. VINK, Dutch “multiculturalism” beyond the pillarisation myth, cit., 347. 244 Ibidem.
coerente con la sterzata in senso assimilazionista che ha caratterizzato il modello nel complesso245.