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I diritti culturali come diritti collettivi?

Nel documento Diritti multiculturali in cammino (pagine 58-74)

Diritti culturali dell’umanità divenuti diritti fondamental

2. I diritti culturali come diritti collettivi?

Il tema dei diritti culturali è storicamente legato a doppio filo, in ambito internazionalistico, al tema dei diritti collettivi (noti anche come diritti di gruppo): nonostante i due concetti non siano sovrapponibili37, essi presentano una stretta

connessione, al punto che si è affermato che il riconoscimento dei diritti culturali, e in particolare dei diritti delle minoranze (e dei popoli indigeni) sia stato la vera spinta propulsiva ai fini dell’ingresso del concetto di collettività nel dibattito giuridico (e non solo) sui diritti umani38. Il primo profilo problematico relativo al riconoscimento di diritti

culturali costituzionali fondamentali è quello afferente alla loro titolarità, e dunque alla possibilità di ipotizzare l’esistenza nell’ordinamento costituzionale di diritti fondamentali in capo non già all’individuo, ma ad un soggetto collettivo di cui egli faccia parte.

37 Si veda sul punto A. FACCHI, I diritti nell’Europa multiculturale, Roma-Bari, Laterza, 2008, 24 ss. 38 Si veda A. JAKUBOWSKI, Introduction, in A. Jakubowski (a cura di), Cultural rights as collective rights. An international law perspective, cit., 4 ss.

L’ammissibilità di una distinzione, nell’ambito dei diritti fondamentali, tra diritti individuali e diritti collettivi, e l’esistenza stessa di diritti che siano collettivi in senso stretto, è stata ed è ancora oggetto di acceso dibattito in dottrina, dibattito che in questa sede non può essere ricostruito se non per sommi capi39. In estrema sintesi, il nodo

centrale della controversia può essere identificato nella possibilità (o meno) di ricondurre ogni posizione “di gruppo” tutelata da un ipotetico diritto collettivo a un’aggregazione di diritti individuali, e dunque l’esistenza o meno di diritti collettivi che tutelino posizioni che non possono essere “individualizzate”, e che pertanto proteggano più che la mera somma delle posizioni soggettive dei membri del gruppo singolarmente considerate40.

Per diritti collettivi, secondo la dottrina internazionalistica e filosofica maggioritaria (e in particolare secondo la dottrina in materia di diritti culturali), si devono intendere quindi i diritti la cui titolarità spetti necessariamente a un gruppo di persone, e non invece all’individuo41. Bisogna pertanto tenere ben distinti i diritti collettivi in questo senso

definiti dai diritti il cui esercizio presuppone la manifestazione di volontà contemporanea di più soggetti, quali ad esempio la libertà di riunione o la libertà di associazione, che sono invece dei diritti fondamentali individuali strettamente intesi42. Il discrimine per

definire collettivo un diritto dovrebbe essere quindi ricercato non già nelle sue modalità di esercizio, bensì nella titolarità dello stesso.

39 Per diritti fondamentali si intendono in questa sede i diritti universali, indisponibili, inalienabili,

inviolabili e invariati, e non già quelli che sono stati a volte definiti “diritti patrimoniali”, che sono invece diritti singolari, disponibili e variabili, la cui titolarità può ben essere ricondotta, ad esempio, a una persona giuridica. Si veda sulla distinzione L. FERRAJOLI, Diritti fondamentali. Un dibattito teorico, Roma-Bari, Laterza, 2001, 13 ss. Con particolare riferimento alla non riconducibilità del diritto di proprietà al catalogo di cui all’articolo 2 Cost. si veda A. M. SANDULLI, Profili costituzionali della proprietà privata, in Rivista

trimestrale di diritto e procedura civile, 1972, 467 ss.

40 Si veda N. TORBISCO CASALS, Group rights as human rights: a liberal approach to multiculturalism,

New York, Springer, 2006, 29 ss.

41 Non è possibile ripercorrere in questa sede l’ampio dibattito dottrinale. Si vedano, senza pretesa di

esaustività, almeno: M. A. JOVANOVIĆ, Collective rights: a legal theory, Cambridge, Cambridge University Press, 2012; D. NEWMAN, Community and collective rights: a theoretical framework for rights

held by groups, Oxford, Hart Publishing, 2011; N. TORBISCO CASALS, Group rights as human rights: a liberal approach to multiculturalism, cit.; N. LERNER, Group rights and discrimination in international law, II ed., Leiden, Nijhoff, 2003; P. JONES, Human rights, group rights, and people’s rights, in Human rights quarterly, vol. 21, n. 1, 1999; M. FREEMAN, Are there collective human rights?, in Political studies,

vol. 43 n. 1, 1995; A. BUCHANAN, Liberalism and group rights, in J. L. Coleman, A. Buchanan (a cura di), In harm’s way: essays in honor of Joel Feinberg, Cambridge, Cambridge University Press, 1994; L. GREEN, Two views of collective rights, in Canadian journal of law and jurisprudence, vol. 4, n. 2, 1991.

42 In tema si vedano, ad esempio: V. BALDINI, Che cosa è un diritto fondamentale. La classificazione dei diritti fondamentali. Profili storico-teorico-positivi, in www.dirittifondamentali.it, n. 1, 2016, 29 ss.; F.

Similmente, i diritti collettivi vanno tenuti distinti dai diritti diversificati sulla base dell’appartenenza a un gruppo: questi ultimi, infatti, sono stati definiti come i diritti che, nell’ambito di un unico ordinamento costituzionale, siano riconosciuti soltanto ai membri di un determinato gruppo, proprio in virtù dell’appartenenza al gruppo stesso, e non invece a tutti gli individui43. Trattasi in questo caso di una rottura della visione

individualista e universalistica dei diritti fondamentali come conseguenza del perseguimento dell’eguaglianza sostanziale, che tuttavia non giunge sino al riconoscimento di soggetti di diritto ulteriori rispetto all’individuo, poiché l’appartenenza a uno specifico gruppo è sì il presupposto per il riconoscimento del diritto differenziato al suo componente, ma la titolarità del diritto resta in capo a quest’ultimo e non è invece trasferita a un soggetto collettivo.

La configurabilità di diritti collettivi è stata proposta originariamente dalla dottrina comunitarista ai fini di superare una visione della persona, tipica del pensiero liberale, criticata in quanto profondamente atomistica, che prenderebbe perciò in considerazione l’individuo astraendolo dal contesto sociale, dalle connessioni e dalle interazioni che ivi si svolgono e, appunto, dalla comunità, ritenuti elementi imprescindibili del vivere insieme44.

Le teorie che postulano la configurabilità di diritti collettivi nel senso sopradescritto sono state ritenute da autorevole dottrina finanche incompatibili con l’impianto liberale della democrazia contemporanea, con la necessaria conseguenza che sarebbe impossibile riconoscere diritti siffatti nello Stato costituzionale. In primo luogo, i gruppi non sarebbero altro che la mera somma degli individui che li compongono, e la loro soggettività sarebbe pertanto una pura e semplice finzione giuridica ideata dal legislatore: un soggetto che è in ultima analisi il prodotto di una finzione, non può tuttavia essere titolare di diritti fondamentali45. In secondo luogo, i diritti collettivi sarebbero superflui,

43 Il concetto di “group differentiated rights” è stato sviluppato da W. KYMLICKA, Multicultural citizenship: a liberal theory of minority rights, cit., 45 ss. Si vedano inoltre: A. MORRONE, Multiculturalismo e Stato costituzionale, in A. Vignudelli (a cura di), Istituzioni e dinamiche del diritto. Multiculturalismo, comunicazione, federalismo, Torino, Giappichelli, 2005, 25; A. FACCHI, Diritti collettivi, diritti culturali, in Contemporanea, vol. 6, n. 4, 2003, 701 ss.; F. PALERMO, J. WOELK, Diritto costituzionale comparato dei gruppi e delle minoranze, cit., 35.

44 Si vedano in questo senso, ad esempio: C. TAYLOR, Multiculturalism and the politics of recognition,

Princeton, Princeton University Press, 1992; M. A. JOVANOVIĆ, Recognizing minority identities through

collective rights, in Human rights quarterly, n. 27, 2005.

45 Tesi sostenuta, ad esempio, da: J. A. GRAFF, Human rights, peoples, and the right to self-determination,

inJ. Baker (a cura di), Group rights, Toronto, Toronto University Press, 1994; J. NARVESON, Collective

in quanto essi non potrebbero tutelare altro che situazioni che sarebbero già pienamente tutelate tramite una corretta interpretazione dei diritti individuali secondo una concezione universalistica degli stessi46. Si nega pertanto l’idea che il gruppo possa essere

caratterizzato da una posizione soggettiva che sia qualcosa di più della somma delle posizioni soggettive dei singoli componenti.

Risulta peraltro estremamente difficoltoso, anche a voler ammettere la possibilità di riconoscere diritti a dei soggetti collettivi, individuare le condizioni alle quali ciò potrebbe accadere, atteso che la nozione di “gruppo” è idonea a ricomprendere situazioni di fatto estremamente eterogenee tra loro. Non è possibile in questa sede soffermarsi sulla questione: basti ricordare che, pur in presenza di opinioni anche radicalmente divergenti in dottrina, un requisito minimo e imprescindibile viene spesso rinvenuto nella circostanza per cui il gruppo dovrebbe essere sempre caratterizzato da una propria specifica identità, che sia qualcosa di più e di diverso rispetto alla mera somma delle identità dei singoli componenti47. Non sarebbero in ogni caso configurabili diritti in capo

a qualsiasi soggetto dotato di personalità giuridica (e quindi, ad esempio, a società o associazioni), ma solo e soltanto a gruppi che preesistano a un dato ordinamento giuridico, come ad esempio le minoranze storiche, linguistiche o religiose48. Emerge pertanto

ancora una volta la stretta correlazione tra diritti collettivi e diritti culturali, atteso che i soggetti che sarebbero potenzialmente titolari dei primi sono quelli a cui afferiscono le posizioni, individuali o collettive che siano, oggetto di tutela dei secondi.

Ulteriore critica alla configurabilità di diritti collettivi è fondata sulla preoccupazione circa le implicazioni che il riconoscimento degli stessi avrebbe sulla tutela dei diritti individuali. Da un lato, infatti, riconoscere dei diritti ai gruppi comporterebbe la necessaria conseguenza che detti diritti possano competere, in sede di bilanciamento, con i diritti individuali, eventualmente prevalendo, e dunque portando alla preminenza del gruppo sull’individuo49. Dall’altro, riconoscere un diritto al gruppo su di una determinata

46 Si veda in questo senso J. HABERMAS, Kampf um Anerkennung im demokratischen Rechtsstaat, cit.,

89 ss.

47 Si vedano sul tema, per tutti: M. MCDONALD, Should communities have rights? Reflections on liberal individualism, in Canadian journal of law and jurisprudence, vol. 4, n. 2, 1991, 217 ss.; D. NEWMAN, Community and collective rights: a theoretical framework for rights held by groups, cit.

48 Si veda in punto M. A. JOVANOVIĆ, Collective rights: a legal theory, cit., 125 ss.

49 Si vedano sul tema: G. FAMIGLIETTI, Diritti culturali e diritto della cultura, cit., 50 ss.; J. A. GRAFF, Human rights, peoples, and the right to self-determination, cit.; I. MACDONALD, Group rights, in Philosophical papers, vol. 18, n. 2, 1989, 117 ss.; C. OFFE, “Homogeneity” and constitutional democracy:

materia comporterebbe un’“occupazione” della stessa, e conseguentemente l’impossibilità per gli individui che siano membri del gruppo di fare valere pretese relative a diritti incidenti sulla medesima materia per cui la tutela è accordata al soggetto collettivo50. Applicando la critica in esame specificatamente ai diritti culturali, il rischio

diverrebbe quello di cristallizzare determinate pratiche o tradizioni, o altre espressioni della cultura, conferendo al gruppo (o, più precisamente, ai vertici del gruppo) il potere di imporle ai membri dello stesso, così contrastando le naturali evoluzioni valoriali ed empiriche che sono sottese, come si è visto, al concetto stesso di cultura.

Sviluppando ulteriormente la tesi in esame, si è sostenuto in chiave universalista che i diritti culturali (se intesi come autonoma categoria di diritti collettivi) non potrebbero che essere, per loro stessa natura, subordinati e accessori rispetto ai diritti civili e politici, e anzi potrebbero rappresentare una minaccia per questi ultimi: nel riconoscimento di diritti collettivi in capo alle minoranze culturali sarebbe infatti possibile scorgere una sorta di surrettizia propagazione delle culture minoritarie per via legislativa, mentre l’attenzione dovrebbe essere volta alla tutela dell’individuo51. È l’individuo infatti che, scegliendo di

esercitare i propri diritti nell’ambito di una determinata visione del mondo (o cultura) ne propaga l’esistenza: il gruppo culturale deve essere strumento e veicolo per la fruizione del diritto individuale, mentre il riconoscimento di diritti collettivi rischierebbe di ridurre l’individuo a strumento attraverso il quale si realizza la sopravvivenza del gruppo52. I

diritti culturali rischierebbero dunque di divenire strumento di protezione delle minoranze piuttosto che dei loro membri, arrivando finanche alla coercizione della loro libertà, imponendo la partecipazione a un gruppo piuttosto che ad un altro.

Per quanto riguarda l’ordinamento costituzionale italiano, nonostante in Assemblea costituente si fosse affacciato il dibattito sui diritti delle comunità nelle quali si organizza il corpo sociale, appare tendenzialmente da escludersi che i soggetti collettivi, e in

113 ss. Si è addirittura ipotizzato un diritto del gruppo culturale di proteggere la propria identità tramite l’espulsione dei non-membri, si veda A. JAKUBOWSKI, Introduction, cit., 6 ss. Robert Alexy ha sostenuto inoltre che i diritti individuali possono essere bilanciati con interessi collettivi (che a loro volta possono fondare diritti collettivi), e che non è sufficiente affermare che, in questi casi, dovrebbe essere sempre il diritto individuale a prevalere. Si veda R. ALEXY, A theory of constitutional rights, Oxford, Oxford University Press, 2002, 65 ss.

50 Si veda in questo senso A. VINCENT, Can groups be persons?, in Review of metaphysics, vol. 42, n. 44,

1989, 687 ss.

51 Si veda J. HABERMAS, Solidarietà tra estranei. Interventi su “Fatti e norme”, Milano, Guerini e

Associati, 1997.

particolare il gruppo “qualificato” che sono le minoranze, possano essere titolari di diritti costituzionali fondamentali, e che dunque detti diritti possano essere azionabili non già dal singolo, ma dal gruppo stesso in quanto soggetto autonomo53. Ciò nonostante si

rilevino in dottrina delle voci, per il momento ancora isolate, che mettono in discussione il paradigma per cui la titolarità dei diritti costituzionali fondamentali debba essere ricondotta esclusivamente in capo all’individuo54.

L’impostazione restrittiva appare del resto coerente con un’interpretazione conforme al principio personalista sancito dall’articolo 2 della Costituzione repubblicana, per cui la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo, sia nelle (e non “alle” o “delle”) formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. Le formazioni sociali non dispongono pertanto di diritti opponibili a quelli degli individui che le compongono, poiché è in quegli individui che tutti i diritti fondamentali iniziano e finiscono55. La formazione sociale deve quindi divenire lo strumento per la piena

espansione della personalità dell’individuo, e se è vero che i diritti riconosciuti dalla Costituzione possono essere certamente goduti in gruppo, il gruppo non può tuttavia godere di diritti autonomi che rischino di prevaricare i diritti del singolo.

Il principio di diritto sopradescritto trova conferma nella nota sentenza n. 239/1984 della Corte Costituzionale, che ha ritenuto costituzionalmente illegittima, poiché incompatibile con gli articoli 2, 3 e 18 Cost., la norma che prevedeva l’appartenenza coattiva e automatica dei membri della minoranza ebraica alla Comunità israelitica, storicamente motivata sulla scorta della necessità di tutelare da un lato l’interesse superiore (specie

53 In questo senso: R. BIN, Formazioni sociali, in Accademia della Crusca (a cura di), Dizionario della Costituzione, Firenze, Pubblicazioni dell’Assemblea regionale toscana, 2009; P. TORRETTA, Diritti fondamentali e protezione delle “istanze collettive di diversità”: il caso delle minoranze linguistiche, in Diritto pubblico comparato ed europeo, n. 2, 2014, 699; A. PIZZORUSSO, Minoranze e maggioranze,

Torino, Einaudi, 1993, 67; A. PIZZORUSSO, Minoranze etnico-linguistiche, cit., 533.

54 E così ad esempio si è ipotizzata la configurabilità dell’ambiente o della natura come titolari di diritti

propri: si veda R. LOUVIN, La dimensione sociale ed ecologica del diritto all’acqua, in S. Gambino (a cura di), Diritti sociali e crisi economica. Problemi e prospettive, Torino, Giappichelli, 2015, 519 ss. Discorso simile per quanto riguarda i diritti degli animali: si veda F. RESCIGNO, I diritti degli animali.

Da res a soggetti, Torino, Giappichelli, 2005. La natura (anche) collettiva dei diritti culturali è stata

sostenuta, inoltre, da: G. PINO, Libertà religiosa e società multiculturale, in T. Mazzarese (a cura di),

Diritto, tradizioni, traduzioni, cit.; F. SGRÒ, La duplice natura dei diritti culturali, cit., 61 ss.

55 Si veda R. BIN, Formazioni sociali, cit. Sul pericolo di una preminenza delle formazioni sociali

sull’individuo si veda inoltre: M. NIGRO, Formazioni sociali, poteri privati e libertà del terzo, Milano, Giuffrè, 1977, 581 ss. E neppure si può ritenere che l’articolo 2 Cost. consenta letture dei diritti individuali come limitabili in favore del concetto di “bene comune”. Si veda in questo senso R. BALDUZZI, La Carta

dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea: un esempio di costitutional drafting?, in Quaderni regionali, n. 2, 2003, 408.

finanziario) della Comunità, dall’altro il diritto del singolo a godere dei beni e dei servizi espressi dalla Comunità stessa. Il principio di diritto posto dalla Consulta trova altresì il suo corollario nella libertà di aderire (o non aderire) non già alle sole associazioni, ma a tutte le formazioni sociali, di cui l’individuo può far parte solo e soltanto in presenza di una chiara manifestazione di volontà in tal senso56.

Contro un riconoscimento di diritti culturali collettivi nell’ordinamento costituzionale italiano sembrerebbe deporre inoltre il fatto che il Costituente abbia composto il catalogo dei diritti costituzionalmente riconosciuti utilizzando esclusivamente diritti individuali. Sembra peraltro difficile ipotizzare l’esistenza di diritti fondamentali collettivi che non si sovrappongano a diritti fondamentali individuali, dal momento che la concreta ed effettiva tutela dei secondi, se del caso anche mediante interpretazione estensiva, finirebbe per esaurire il campo di applicazione dei primi57.

Ai fini di ritenere configurabili dei diritti culturali costituzionali fondamentali a titolarità collettiva bisognerebbe obbligatoriamente accedere o alla tesi per cui il catalogo dei diritti fondamentali riconosciuti in Costituzione sarebbe un catalogo aperto, e dunque espandibile in via giurisdizionale o finanche legislativa ex articolo 2 Cost.58, o alla tesi

per cui dei diritti culturali collettivi già esisterebbero nel diritto internazionale convenzionale o nel diritto europeo, e troverebbero ingresso nell’ordinamento italiano per il tramite delle clausole di apertura internazionale dello stesso ex articoli 10, 11 e 117 Cost.

Anche a volere accogliere una delle due impostazioni sopraccitate, nel primo caso sembra difficile sostenere che l’opera di espansione del catalogo dei diritti costituzionali fondamentali possa spingersi sino all’individuazione di nuovi modelli di tutela incompatibili con l’impianto personalista ideato in fase costituente, mentre nel secondo

56 Cfr.: Corte Cost., sentenza n. 69/1962; Corte Cost., sentenza n. 239/1984.

57 Sull’approccio riduzionista alla suddivisione tra diritti individuali e diritti collettivi, e sulla falsa

antinomia tra le due categorie, si veda W. KYMLICKA, Multicultural citizenship: a liberal theory of

minority rights, cit., 45 ss. In senso analogo A. MORRONE, Multiculturalismo e Stato costituzionale, cit.

25 ss.

58 Si vedano C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, II ed., Padova, CEDAM, 1969; A. BARBERA, Commento all’art. 2, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, cit., 50; A. SPADARO, Il problema del fondamento dei diritti “fondamentali”, in Diritto e società, n. 3, 1991; F. MODUGNO, I “nuovi diritti” nella giurisprudenza costituzionale, cit. In senso contrario si vedano, per tutti: P. GROSSI, Introduzione ad uno studio sui diritti inviolabili nella Costituzione italiana, Padova, CEDAM, 1972, 160;

P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna, Il Mulino, 1984, 54; A. BALDASSARRE,

Diritti inviolabili, cit.; A. PACE, Problematica delle libertà costituzionali. Parte generale, III ed., Padova,

caso ci si scontrerebbe con l’oggettività del fatto che l’esistenza di diritti culturali collettivi è questione tutt’altro che pacifica anche nel diritto internazionale, se si considera che esso è storicamente “allergico” all’attribuzione di diritti ai gruppi, e soprattutto alle minoranze, e percorre di norma la via dei diritti individuali come conseguenza della nota refrattarietà degli Stati a riconoscere quali soggetti, e finanche soggetti di diritto, entità che potrebbero un giorno avanzare, forti di detto riconoscimento, istanze secessioniste o comunque lesive dell’unitarietà dell’ordinamento59. Inoltre, anche a voler ammettere che

nel diritto sovranazionale i diritti culturali siano diritti collettivi, ci si potrebbe in ogni caso spingere sino a leggere nel principio di titolarità individuale dei diritti fondamentali (espressione del principio personalista di cui all’articolo 2 Cost.) un principio fondamentale dell’ordinamento costituzionale italiano, idoneo a fungere da controlimite al riconoscimento di soggetti collettivi di diritti.

L’unico approccio costituzionalmente compatibile alla questione dei diritti collettivi, che non neghi recisamente l’esistenza degli stessi, sembrerebbe in effetti consistere nell’immaginarli come diritti in qualche modo recessivi e strumentali rispetto ai diritti individuali. Recessivi perché essi non potrebbero prevalere, in sede di bilanciamento, sui diritti individuali, portando ad una compressione intollerabile degli stessi, strumentali perché essi sarebbero ammissibili solo nella misura in cui la tutela collettiva consenta altresì una migliore garanzia delle posizioni individuali interessate, senza privare tuttavia queste ultime della loro soggettività autonoma, specie con riferimento alla eventuale divergenza tra le posizioni del singolo e quelle del gruppo.

In definitiva, quantomeno con riferimento all’ordinamento costituzionale italiano, i diritti culturali individuali sembrano assumere una decisa preminenza su eventuali diritti culturali collettivi, atteso che questi ultimi sarebbero, a seconda della soluzione ermeneutica preferita, subordinati ai primi, ovvero assorbiti dall’espansione della tutela del diritto individuale corrispondente60. Sarà pertanto sulla dimensione individuale dei

59 Il compromesso individuato dal diritto internazionale convenzionale è stato quello di riconoscere, agli

articoli 1 e 27 del Patto sui Diritti Civili e Politici, che i popoli hanno un diritto all’autodeterminazione, ma le minoranze hanno un diritto, non collettivo, alla protezione dalla discriminazione. Si veda in questo senso A. CASSESE, Self-determination of peoples: a legal reappraisal, Cambridge, Cambridge University Press, 1995, 48 ss. Si noti in proposito che sono stati ritenuti diritti individuali, e non già diritti collettivi, dagli organi ufficiali delle Nazioni Unite, addirittura i diritti delle popolazioni indigene di cui alla Dichiarazione

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