L’evolversi dello Stato multiculturale europeo
3. Le critiche della compatibilità del multiculturalismo con alcuni principi fondamentali nello Stato costituzionale
3.3. Multiculturalismo, principio di eguaglianza e principio di tutela delle minoranze
Alla luce di quanto sinora esposto, appare per certi verti sorprendente che una ulteriore critica rivolta al multiculturalismo sia proprio quella per cui esso risulterebbe sostanzialmente illiberale, in quanto esso si porrebbe in contrasto con il principio fondamentale di eguaglianza di cui all’articolo 3 Cost., predicando da un lato la rinuncia alla neutralità dello Stato, e dall’altro la rinuncia alla generalità delle leggi (nella misura in cui esso giustifica apposite politiche volte ad accomodare le istanze delle minoranze culturali)98. Il multiculturalismo sarebbe pertanto foriero di una società divisa, nella quale
i diversi gruppi sociali rifiutano l’interazione gli uni con gli altri, finendo inevitabilmente per scontrarsi nel lungo periodo99. Detta ricostruzione muove dal presupposto per cui il
multiculturalismo comporterebbe una coesistenza delle diverse culture “a compartimenti stagni”, per cui esse condividerebbero uno stesso territorio, rappresentando però universi tra loro distinti100.
Una ricostruzione siffatta sembra tuttavia sottovalutare la componente solidarista e coesiva del multiculturalismo, che nondimeno è presente, specie nelle teorie della cittadinanza multiculturale, che pur argomentando la legittimità di trattamenti differenziati in favore delle culture minoritarie, valorizzano la necessità di forgiare una cittadinanza che sia al contempo rispettosa delle differenze e propedeutica alla promozione di un comune senso di appartenenza a una medesima società101. Se letto in
quest’ottica, il multiculturalismo risulterebbe certamente compatibile con il principio di eguaglianza, poiché non bisogna dimenticare che l’articolo 3 Cost. prevede, accanto
98 Si veda in questo senso G. SARTORI, Pluralismo, multiculturalismo e estranei, cit., 80 ss. Sartori ritiene,
più precisamente, che un trattamento legislativo diseguale possa essere legittimo solo se volto a conseguire un fine di eguaglianza. Ciò non accadrebbe nel multiculturalismo, in quanto l’obiettivo ultimo sarebbe una società divisa e radicalmente ineguale.
99 Per G. CERRINA FERONI, Diritto costituzionale e società multiculturale, cit., 5, “l’idea è quella della
coesistenza di sistemi equivalenti che non potrebbero entrare in una relazione di scambio ma solo in un rapporto di collisione”.
100 Ibidem.
101 Sulla cittadinanza multiculturale e sulla componente coesiva del multiculturalismo (descritta con
l’evocativa formula dei “legami che uniscono”) si veda. KYMLICKA, Multicultural citizenship: a liberal
all’eguaglianza formale, l’eguaglianza sostanziale 102 . Le teorie liberali del
multiculturalismo, a ben vedere, non fanno altro che aggiungere l’appartenenza culturale ai fattori di diseguaglianza “strutturali”, come ad esempio la classe sociale o lo stato di salute, che incidono sull’individuo dalla nascita e in assenza di una sua libera scelta, precludendo una reale eguaglianza (formale) tra gli individui103.
Se è vero come è vero che ogni ordinamento costituzionale è espressione dell’impianto culturale e valoriale della maggioranza dei suoi componenti, lo stesso legislatore sarà, anche solo implicitamente, influenzato da fattori culturali: la neutralità statuale rispetto all’individuazione del bene comune non potrà mai essere, pertanto, una piena neutralità culturale. L’appartenente alla cultura minoritaria si troverà dunque in una posizione di svantaggio rispetto all’appartenente alla cultura dominante, e sarà compito dello Stato attivarsi con apposite politiche ai fini di rimuovere le diseguaglianze che detta situazione ingenera. Lo strumento tramite cui esso può farlo sarà, come si argomenterà più avanti, una effettiva tutela dei diritti culturali.
Il perseguimento dell’eguaglianza sostanziale tra le culture potrà avvenire altresì attraverso le cosiddette “discriminazioni positive”, in quanto anche l’adozione di provvedimenti speciali a tutela della cultura delle minoranze deve ritenersi non già deroga al principio di eguaglianza, ma sua necessaria attuazione 104 . Lo scopo del
multiculturalismo, inteso come insieme di politiche, è quindi quello di proteggere le “minoranze strutturali”105. Il multiculturalismo diviene, pertanto, lo strumento attraverso
il quale si ottiene una piena tutela ed espansione dei diritti culturali, ovvero il giusto contemperamento tra i diritti culturali delle minoranze e i diritti culturali della maggioranza. Se inteso in questo senso, il multiculturalismo pone diversi problemi con riferimento al principio di tutela delle minoranze “storiche” e alla disparità di trattamento tra queste ultime e le nuove minoranze, imponendo di interrogarsi sulla possibilità di
102 Sulle garanzie delle minoranze culturali come attuazione del principio di eguaglianza sostanziale si veda
anche E. ROSSI, Minoranze etnico-linguistiche, cit., 281.
103 Ivi, 109 ss. Trattasi di una concezione del principio di eguaglianza che è stata definita, non senza un
certo sarcasmo, “luck egalitarianism”, per cui lo Stato dovrebbe rimediare alle diseguaglianze strutturali sopraccitate, ma non dovrebbe invece curarsi delle diseguaglianze che siano il frutto delle libere scelte dell’individuo. Si veda sul tema E. S. ANDERSON, What is the point of equality?, in Ethics, vol. 109, n. 2, 1999.
104 Si veda A. PIZZORUSSO, Minoranze etnico-linguistiche, cit.
105 Parla di “structural minorities” C. JOPPKE, Is multiculturalism dead?, cit., 3. Il concetto potrebbe
chiudere il cerchio con riferimento al complesso rapporto tra multiculturalismo e diritti delle minoranze, superando la distinzione tra minoranze storiche e nuove minoranze.
infrangere il paradigma del legame con il territorio quale presupposto per il riconoscimento di forme di tutela minoritaria.
La compatibilità del multiculturalismo con i principi costituzionali fondamentali è stata inoltre messa in discussione, sempre con riferimento al principio di eguaglianza, da chi ritiene che esso possa portare a una violazione dell’eguaglianza di genere e della parità tra i sessi. Si è detto più precisamente che il multiculturalismo sarebbe incompatibile con il femminismo, dovendosi intendere con quest’ultimo termine l’idea per cui le donne non debbano essere svantaggiate sulla base del sesso, avendo diritto alle stesse opportunità e alla stessa dignità degli uomini106.
La critica si fonda sulla constatazione per cui il multiculturalismo, a prescindere dalla nobiltà dei suoi intenti in astratto, nella prassi verrebbe utilizzato ai fini di giustificare la sopravvivenza e la propagazione di culture ispirate a una visione patriarcale della famiglia e della società, nelle quali il ruolo dell’uomo assume portata prevaricante a discapito dei diritti fondamentali delle donne (e finanche dei figli e, soprattutto, delle figlie). Ciò sarebbe imputabile da un lato al fatto che le pratiche culturali inciderebbero prevalentemente su questioni afferenti al matrimonio, al divorzio, a diritti e doveri relativi alla prole, alla successione e ai diritti relativi alla proprietà e all’indirizzo della vita familiare, ambiti che impatterebbero in misura minore sulla vita della donna che su quella dell’uomo, e dall’altro al fatto che il controllo dell’uomo sulla donna sarebbe addirittura il fine stesso della maggior parte delle culture107. Se così stessero le cose, tuttavia, va
osservato che il problema non sarebbe il multiculturalismo, ma la cultura stessa, e se è vero come è vero che la (almeno una) cultura è connaturata all’essere umano, si tratterebbe per giunta di un problema irrisolvibile, salvo voler postulare una (impossibile) neutralizzazione dello Stato e del legislatore rispetto alla cultura in generale.
La tesi in esame si fonda, in buona misura, sull’idea per cui il riconoscimento di diritti di gruppo sia presupposto, e anzi indispensabile, per il multiculturalismo, e che siano proprio detti diritti a essere pericolosi per l’eguaglianza tra i sessi108, senza che peraltro
sia specificato se per diritti di gruppo si intendano diritti a titolarità collettiva ovvero diritti individuali differenziati sulla base dell’appartenenza ad un gruppo.
106 Si veda S. M. OKIN, Is multiculturalism bad for women?, Princeton, Princeton University Press, 1999,
10 ss. In senso analogo M. D’AMICO, Laicità costituzionale e fondamentalismi tra Italia ed Europa:
considerazioni a partire da alcune decisioni giurisprudenziali, cit., 32 ss. 107 Si veda S. M. OKIN, Is multiculturalism bad for women?, cit., 13. 108 Ibidem.
Nel primo caso, si tratterebbe di una critica a una versione del multiculturalismo minoritaria, atteso da un lato che persino le teorie multiculturali delle origini (come ad esempio quella di Kymlicka) adottavano un approccio sostanzialmente riduzionista, riconoscendo la titolarità dei diritti culturali in capo all’individuo, e dall’altro che le versioni comunitariste del multiculturalismo sono state quasi immediatamente abbandonate, specie in Europa, dalla dottrina maggioritaria, in favore della sua versione liberale, fondata sul riconoscimento del gruppo quale criterio discretivo nel godimento dei diritti culturali, la cui titolarità permane tuttavia saldamente in capo all’individuo. Nel secondo caso, la critica rifletterebbe una scarsa fiducia nella capacità del legislatore (e dell’autorità giudiziaria) di operare un bilanciamento ragionevole dei diritti individuali: se infatti i diritti differenziati degli appartenenti alla minoranza culturale dovessero entrare in conflitto con i diritti fondamentali della donna (così come con quelli di qualsiasi altro individuo), la questione può e deve, come in ogni altro caso di contrasto tra diritti individuali fondamentali, essere risolta secondo la tecnica del bilanciamento.
In definitiva delle due una: se la preoccupazione è quella che il riconoscimento delle identità culturali dei gruppi finisca per travolgere i diritti fondamentali dei loro singoli appartenenti, il problema finisce per risolversi in una riedizione del dibattito sulla configurabilità di diritti in capo ai gruppi e sul rapporto tra questi diritti e i diritti dell’individuo, senza che sia dato rinvenire particolari caratteri di novità nella declinazione della questione con riferimento al solo genere femminile109. Se invece la
preoccupazione è che il multiculturalismo sia per sua stessa natura una tutela di culture patriarcali, si tratterebbe di un’illegittima generalizzazione, di un’interpretazione autentica (e ben poco lusinghiera) delle culture minoritarie attraverso le lenti della cultura maggioritaria, che rischia di sfociare in esiti paternalistici, se non addirittura neo- colonialisti, nel momento in cui l’interprete del cosiddetto “mondo occidentale” assume un’automatica superiorità della propria cultura rispetto a culture terze invariabilmente classificate come barbare e arretrate. Si è parlato, in questo senso, di una visione “eurocentrica” dei diritti della donna110. La preoccupazione in esame sembra inoltre
sottovalutare, in modo per la verità piuttosto paradossale, la libertà di scelta e il libero
109 La preoccupazione di tutelare i diritti della donna appartenente alla minoranza culturale rimarrebbe
infatti assorbita in quella, più generale, di tutelare i diritti fondamentali di tutti i componenti del gruppo, problema ben presente alla dottrina ormai da tempo (cfr. cap. II, 2.).
110 Si veda A. FACCHI, Donne, culture e diritto: aspetti dell’immigrazione femminile in Europa, in Ragion pratica, n. 10, 1998, 181.
arbitrio della donna, ridotta a mero oggetto (di prevaricazione o di tutela), senza considerare il fatto che ella stessa può essere artefice del proprio destino, scegliendo la propria cultura e, se del caso, battendosi per modificarla dall’interno111.