L’evolversi dello Stato multiculturale europeo
1. Origini del multiculturalismo Nel costituzionalismo moderno
1.2.2. La seconda fase del dibattito
In una seconda fase (peraltro ancora in corso allo stato attuale) il dibattito sul multiculturalismo, dando per acquisita la legittimità di interventi del legislatore volti a tutelare le minoranze culturali, si è spostato sull’analisi delle specifiche politiche multiculturali adottate dai diversi ordinamenti, oltre che sull’impatto del multiculturalismo sull’istituto della cittadinanza47. Si sono sviluppate poi, nel corso
dell’ultimo decennio, alcune teorie sommariamente indicate con il nome di “interculturalismo”, promosse dai loro sostenitori quali via per il superamento delle criticità del multiculturalismo.
Se, nel quadro sommariamente descritto, risulta pressoché impossibile fornire una definizione univoca di cosa debba intendersi per multiculturalismo, è forse possibile circoscriverne l’ambito di applicazione, ai fini di stabilire con ragionevole certezza cosa, se non altro, non deve essere ricondotto nell’ambito del dibattito sulle politiche multiculturali. Nel corso degli anni il termine è stato utilizzato, infatti, in senso estremamente lato, con riferimento ad esempio alle rivendicazioni dei movimenti femministi, o ancora delle persone appartenenti alla cosiddetta comunità LGBTQ. Alcuni autori, ritenendo che il multiculturalismo liberale si fondi su di una falsa rappresentazione della cultura come un qualcosa di omogeneo e definito (mentre essa sarebbe invece per definizione intangibile e in continuo divenire), hanno addirittura immaginato di costruire un multiculturalismo che non sia più necessariamente connesso al concetto di cultura, ma che si basi piuttosto sul concetto di differenza, o addirittura di razza, per cui esso dovrebbe sostanzialmente tutelare ogni gruppo oggetto di discriminazione da parte della maggioranza (intesa in senso lato), fino a ricomprendere finanche la classe operaia48.
46 Ivi, 51 ss., 120 ss.
47 Si veda W. KYMLICKA, Comments on Shachar and Spinner-Halev: an update from the multiculturalism wars, cit.
48 Oltre alla già citata Young, posizioni di questo tipo sono state sostenute ad esempio, sul finire della scorsa
decade, da Anne Phillips e Tariq Modood. Per un’analisi delle posizioni in esame si veda C. JOPPKE, Is
Le tesi in esame non appaiono condivisibili, e appare più convincente ritenere che non ogni rivendicazione di riconoscimento da parte di una minoranza (oggettiva o autodefinitasi) possa essere ricondotta nell’alveo del multiculturalismo. Nonostante movimenti come ad esempio quello LGBTQ, il movimento femminista, o movimenti di
empowerment delle minoranze afroamericane abbiano indubbiamente in comune con il
multiculturalismo una forte rivendicazione identitaria, e dunque un’istanza di riconoscimento da parte dello Stato che si traduce nella domanda di diritti, essi dovrebbero esserne tenuti distinti, nella misura in cui il fattore fondante, l’elemento identitario di dette istanze non può essere rinvenuto nella cultura in senso stretto, bensì in altri fattori di discriminazione, quali possono essere, ad esempio, il genere, piuttosto che l’orientamento sessuale o la razza49.
Per il medesimo motivo non convince appieno la catalogazione, recentemente proposta in dottrina, dei “marker” multiculturali nelle quattro categorie dell’orientamento sessuale, della lingua, della religione e della razza50. Se si accoglie un’idea di cultura che è sì
strettamente collegata all’identità, ma nella quale l’individuo è attore, e non mero oggetto, e dunque un’accezione dinamica e mutevole del concetto, non appare opportuno includervi elementi classificatori sui quali l’individuo non ha alcun controllo, quali l’orientamento sessuale e la razza. In altre parole, ai fini di definire quali gruppi possano essere ricompresi nelle politiche del multiculturalismo, appare utile valorizzare un criterio volontaristico, limitando l’ambito di operatività delle stesse ai fattori di differenziazione che presuppongano una (per quanto minima o in qualche misura eterodiretta) libera scelta culturale dell’individuo. Appare pertanto preferibile escludere dal novero dei “marker” multiculturali fattori identificanti che si acquisiscono “biologicamente” e restano immutabili, quali possono essere ad esempio la razza51, l’orientamento sessuale52 o le
49 Distinzione che veniva peraltro già intuita da J. HABERMAS, Kampf um Anerkennung im demokratischen Rechtsstaat, cit., 74.
50 La classificazione in esame è stata proposta da C. JOPPKE, Is multiculturalism dead?, cit., 20.
51 Il termine razza viene qui utilizzato nel senso di cui all’articolo 3 Cost., ma potrebbe essere sostituito, ad
esempio, dal concetto di “caratteristiche genetiche” di cui all’articolo 21 comma 1 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea.
52 Il discorso cambia laddove si ritenga che l’orientamento sessuale non sia biologicamente condizionato,
ma che esso, al contrario, sia determinabile in prospettiva socio-culturale. Ancora diversa è poi la questione del diritto all’identità di genere, che la Corte Costituzionale ha riconosciuto come “elemento costitutivo del diritto all’identità personale, rientrante a pieno titolo nell’ambito dei diritti fondamentali della persona” ai sensi degli articoli 2 Cost. e 8 CEDU. Cfr. Corte Cost. n. 221/2015; Corte Cost. n. 180/2017.
disabilità congenite, mentre andranno incluse, al contrario, la lingua, la religione, o l’appartenenza etnico-tradizionale.
In questo senso, ammesso e non concesso che si possa parlare di minoranze con riferimento ai gruppi in esame, appare utile la distinzione tra minoranze volontarie e minoranze necessarie, per cui rientrerebbero tra le prime quelle minoranze che aspirino sostanzialmente a mantenere le loro caratteristiche peculiari e nei confronti delle quali lo Stato eserciti una spinta centripeta (assimilazionista), mentre rientrerebbero tra le seconde quelle minoranze che invochino uno status giuridico paritario rispetto ai membri della maggioranza e nei confronti delle quali lo Stato eserciti una spinta centrifuga (di emarginazione)53. Rientreranno nel primo gruppo le minoranze individuate secondo
criteri volontaristici (etniche, religiose, linguistiche), mentre rientreranno nel secondo le minoranze individuate secondo criteri biologici (razza, sesso, orientamento sessuale). È solo il primo gruppo che potrà quindi essere a tutti gli effetti ricondotto nell’ambito delle politiche multiculturali.
2. Il multiculturalismo come elemento strutturale nello Stato democratico: