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Il modello tedesco

Nel documento Diritti multiculturali in cammino (pagine 177-181)

L’evolversi dello Stato multiculturale europeo

6. I modelli storici di integrazione culturale in Europa

6.3. Il modello tedesco

Il modello di integrazione tedesco viene spesso citato, accanto a quello britannico e a quello francese (nonostante esso si sia sviluppato in tempi relativamente più recenti) in virtù del fatto che in esso viene scorto, da diversi commentatori, il tentativo di addivenire ad una sorta di “via di mezzo” tra l’assimilazionismo e il pluralismo estremo. In particolare, detto modello, dopo il superamento di una prima fase in cui il carattere strutturale dei fenomeni migratori veniva negato, e gli stranieri erano visti come dei meri ospiti temporanei (i cosiddetti “Gastarbeiter”), si fonderebbe ora su di un duplice e reciproco impegno: da un lato l’impegno dello Stato a riconoscere, promuovere e tutelare il pluralismo culturale, e dunque a desistere da politiche fortemente assimilazioniste, dall’altro l’impegno dell’appartenente alle minoranze culturali di studiare e accettare i valori fondanti dell’ordinamento ospitante209. Questo ultimo impegno si sostanzia in

politiche statali volte all’apprendimento della lingua tedesca, oltre che della cultura e della storia della Germania, peraltro declinando entrambi i concetti al singolare, così presupponendo un’interpretazione “rigida” e omogenea della cultura tedesca, secondo l’idea per cui essa rappresenterebbe una “Leitkultur” (cultura guida)210. Molti Länder

hanno pertanto introdotto con legge dei veri e propri obblighi di integrazione, predisponendo al contempo appositi corsi per facilitare detto processo211.

L’idea sembra essere pertanto, semplificando al massimo, quella per cui lo Stato rispetta la diversità culturale, e dunque i diritti culturali delle minoranze, ma richiede in cambio

208 Si veda G. CERRINA FERONI, Diritto costituzionale e società multiculturale, cit., 16.

209 Per una ricostruzione storica e un inquadramento costituzionale del modello si veda J. LUTHER, La Costituzione delle politiche di integrazione nella Germania multiculturale, in G. Cerrina Feroni, V.

Federico (a cura di), Società multiculturali e percorsi di integrazione. Francia, Germania, Regno Unito ed

Italia a confronto, cit. Si veda inoltre, per una ricostruzione dell’evoluzione del modello tedesco, G.

CERRINA FERONI, L’esperienza tedesca di multiculturalismo: società multietnica e aspirazioni di

identità etnoculturale, cit., 7 ss., che riconduce detto approccio nell’ambito della più generale politica

sociale del “Fördern und Fordern”, “promuovere e pretendere”, ed evidenzia come si sia giunti a questa soluzione, frutto del compromesso politico tra destra e sinistra, in seguito a un originario (e fallito) tentativo separatista.

210 Si veda J. LUTHER, La Costituzione delle politiche di integrazione nella Germania multiculturale, cit.,

103.

un livello minimo di integrazione che si sostanzia nella conoscenza e nell’accettazione degli elementi di base, fondanti, della cultura ospitante, che di detti diritti divengono il contrappeso. Dal canto suo lo Stato si impegna altresì a fornire all’appartenente alla minoranza culturale, tramite apposite politiche positive, gli strumenti necessari per conseguire detto livello minimo di integrazione.

Il modello sommariamente descritto, all’apparenza certamente equilibrato, si presta tuttavia a essere facilmente distorto, specie in virtù del fatto che esso viene attuato in gran parte con politiche adottate al livello degli Stati federati, che possono risultare disomogenee, anche a causa di “fughe in avanti” di singoli Länder desiderosi di smarcarsi rispetto alla linea del Governo centrale, spesso ritenuta troppo tollerante212. Ciò può

portare a una sostanziale disomogeneità e mancanza di coerenza complessiva del modello, con evidenti conseguenze con riferimento all’eguaglianza del trattamento riservato agli appartenenti alle minoranze culturali.

Un esempio delle criticità appena menzionate sono i test di cittadinanza che alcuni Länder hanno introdotto nel corso della prima decade del nuovo millennio. Ci si riferisce in particolare al test di cittadinanza introdotto nel 2005 nel Baden-Wurttemberg (che peraltro si applicava inizialmente soltanto ai soggetti di fede islamica), che conteneva domande volte a sondare approfonditamente le convinzioni individuali, chiedendo come il candidato avrebbe reagito se avesse scoperto l’omosessualità del figlio, ovvero se ritenesse accettabile che la moglie o la figlia vestissero all’occidentale. Un tenore analogo aveva il test introdotto nel 2006 nel Land di Hessen, che chiedeva se il candidato ritenesse accettabile che una donna uscisse in pubblico senza essere accompagnata da un parente maschio, o fin dove egli ritenesse corretto spingersi nell’esercizio dello ius corrigendi nei confronti dei figli.

I test appena descritti sono stati oggetto di aspre polemiche, e sono stati infine sostituiti, nel 2008, da un test federale maggiormente improntato a criteri di neutralità e non discriminazione, con un elenco di domande di storia, geografia, cultura generale e fondamenti di diritto costituzionale, al quale gli Stati federati possono attingere, con conseguente sensibile limitazione della discrezionalità di questi ultimi213.

212 Si pensi anche alla recente frattura nella coalizione di governo, innescata dal dissenso della CSU (forza

politica regionale bavarese) sulla linea politica in materia di immigrazione dettata dalla Cancelliera Merkel.

213 Sulla vicenda dei test di integrazione per l’accesso alla cittadinanza in Germania si veda L. ORGAD, Illiberal liberalism. Cultural restrictions on migration and access to citizenship in Europe, in The American journal of comparative law, vol. 58, n. 1, 2010, 66 ss.

Ulteriore esempio delle fughe in avanti dei singoli Land sulle questioni dell’integrazione è rappresentato dalla legge sull’integrazione della Baviera del 2016 che, muovendo dal modello del promuovere e pretendere, ha introdotto delle disposizioni che sono state definite dalla dottrina come misure di “polizia dell’integrazione”, con cui si prevede che chiunque non dimostri un soddisfacente livello di integrazione (per il tramite di una condotta che esprima il rifiuto dei valori e dei diritti costituzionali fondamentali) possa essere obbligato a sottoporsi a un “corso di base sui valori di fondo, liberali e democratici, dell’ordinamento”214.

Le incertezze applicative e le frammentazioni del modello tedesco emergono del resto anche nell’approccio giurisprudenziale alle questioni del multiculturalismo (e più precisamente del diritto alla libertà religiosa e a mantenere la propria cultura): emblematica è, anche in questo caso, la vicenda del velo islamico. Una serie di sentenze “timide” della Corte costituzionale federale del 2003215 aveva lasciato spazio per i

legislatori dei Länder, come ad esempio la Baviera e la Renania settentrionale – Vestfalia, per introdurre norme che vietassero alle insegnanti di indossare il velo sul posto di lavoro216. Dette leggi erano state poi ritenute legittime dai Tribunali costituzionali dei

singoli Land217. Il risultato era, ancora una volta, una tutela estremamente disomogenea

del medesimo diritto (il diritto alla manifestazione della libertà religiosa) sul territorio dello Stato. Anche in questo caso, è dovuto intervenire lo Stato centrale per mettere ordine nella materia, con la celebre sentenza del 27 gennaio 2015 del Tribunale costituzionale federale218 che ha ritenuto illegittimo il divieto di indossare il velo per gli insegnanti,

sposando una concezione plurale del principio di laicità dello Stato, e ritenendo il velo un’espressione legittima dell’identità personale219.

214 Si veda sul tema J. LUTHER, La Costituzione delle politiche di integrazione nella Germania multiculturale, cit., 106 ss.

215 Cfr. BVerfG, 24.09.2003 - 2 BvR 1436/02.

216 Cfr., ad esempio: Bayerisches Gesetz über das Erziehungs- und Unterrichtswesen (BayEUG) del 31

maggio 2000 (emendata il 26 luglio 2006); Schulgesetz für das Land Nordrhein-Westfalen (Schulgesetz

NRW - SchulG) del 15 febbraio 2005 (anche in questo caso emendata nel 2006).

217 Cfr., ad esempio, BayVGH, 15.012007, Vf. 11-VII-05. Per una ricostruzione approfondita della vicenda

si vedano: G. CERRINA FERONI, L’esperienza tedesca di multiculturalismo: società multietnica e

aspirazioni di identità etnoculturale, cit., 13 ss.; J. LUTHER, Il velo scoperto dalla legge: profili di giurisprudenza costituzionale comparata, in S. Ferrari (a cura di), Islam ed Europa, Roma, Carocci, 2006. 218 Cfr. BVerfG, 27.01.2015 -1 BvR 471/10, 1 BvR 1181/10.

219 Sulla sentenza in esame si veda A. ZEI, Illegittimo il divieto per le insegnanti di indossare il velo e altri simboli della fede, in Nomos, n. 1, 2015.

La vicenda in esame è altresì emblematica dell’approccio del modello tedesco alla tutela del diritto all’istruzione e del diritto dei genitori a crescere i figli secondo le proprie convinzioni. La situazione si presenta estremamente frammentata, con “fughe in avanti” dei singoli Stati federati volte a far valere un’interpretazione particolarmente rigida della laicità dello Stato, tale da ricomprendere un obbligo di neutralità non solo dei programmi, ma addirittura del corpo docente, finanche nel suo aspetto esteriore (nonostante la norma fondamentale preveda la possibilità dell’insegnamento scolastico della religione)220.

Con riferimento ai diritti linguistici, la Germania riconosce e sovvenziona, con riferimento alle loro attività di promozione della cultura e della lingua, quattro minoranze nazionali: quella danese, quella frisona, quella sinti e rom, e quella sorba221. Non è

regolata la questione dei diritti linguistici delle nuove minoranze, ma anche in questo caso sembra che le soluzioni adottate divergano considerevolmente spostandosi sul territorio. Basti pensare che alcune scuole hanno adottato regolamenti che impongono l’utilizzo della sola lingua tedesca a tutti gli studenti nello svolgimento di ogni attività formativa, mentre altre hanno istituito corsi fortemente imperniati sul bilinguismo tedesco–turco ovvero tedesco–inglese222. Allo stesso modo, è stato evidenziato come nonostante

l’aspettativa generale del legislatore sia che le nuove minoranze imparino il tedesco, la concreta predisposizione di corsi di lingua realmente efficaci è sostanzialmente rimessa ai legislatori dei singoli Länder223.

Alla luce di quanto esposto, la critica che si può avanzare al modello tedesco è forse quella di non essere, a ben vedere, un reale modello, in assenza di una politica omogenea e definita o, meglio, in assenza della forza in capo al legislatore federale di imporre un modello omogeneo e coerente agli Stati federati (se non altro nella forma di principi direttivi), con la conseguenza che l’impressione è quella di un quadro composito nell’ambito del quale le direzioni sono diverse e molteplici, con la sovrapposizione di modelli, statali e regionali, anche radicalmente differenti tra loro. La difficoltà di fornire

220 Si vedano sul tema S. KORIOTH, I. AUGSBERG, Religion and the secular State in Germany, in J.

Martínez-Torrón, W. Cole Durham (a cura di), Religion and the secular State, Provo, International Center for Law and Religious Studies, Brigham Young University, 2010, 328 ss.

221 I riferimenti normativi sono principalmente le Costituzioni dei singoli Länder. Si veda G. CERRINA

FERONI, L’esperienza tedesca di multiculturalismo: società multietnica e aspirazioni di identità

etnoculturale, cit., 2 ss.

222 Si veda sul tema L. MARTIN, “Speak German or sweep the schoolyard”: linguistic human rights in Germany, in Profession, 2008, 130 ss.

una lettura univoca del modello in esame sembra confermata dal fatto che il Multicultural Policy Index e il MIPEX, con riferimento al 2010, forniscono risultati opposti per la Germania, con il primo che le assegna il punteggio, relativamente basso, di 2,5, e il secondo quello, relativamente alto, di 60224.

La sofferenza del modello tedesco potrebbe peraltro essere ritenuta sintomatica di una maggiore difficoltà degli Stati federali nel gestire le questioni dell’integrazione e dei diritti culturali, in virtù delle forti competenze che sono di norma riservate in questa e altre materie connesse (come istruzione, salute, lavoro) agli Stati federati. Si pensi del resto che persino nel Canada multiculturale, in cui, come si è visto, la vocazione multiculturale dell’ordinamento è stata recepita al livello costituzionale, il Quebec si è recentemente smarcato, in rottura con il Governo centrale, introducendo un divieto di indossare il velo integrale per i dipendenti pubblici e per i privati che desiderino accedere a determinati servizi pubblici225 (divieto che, per la verità, è stato quasi immediatamente

sospeso dalla Superior Court, nella parte in cui imponeva la rimozione del velo per l’accesso a pubblici servizi di primaria importanza226).

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