Diritti culturali dell’umanità divenuti diritti fondamental
4. I diritti culturali come categoria trasversale di diritt
Una ulteriore questione problematica, che è del resto conseguenza del quadro normativo confuso a livello nazionale e sovranazionale, che impedisce di operare una sicura definizione e catalogazione dei diritti culturali esistenti, è collegata all’incertezza circa l’effettiva estensione della nozione stessa di diritti culturali (cfr. cap. I, 4.). In particolare, se si optasse per un’interpretazione restrittiva, si potrebbero identificare quali diritti culturali unicamente quei diritti che facciano espresso riferimento alla cultura, e dunque ad esempio il diritto a partecipare alla vita culturale, il diritto a mantenere la propria cultura, e così via, pervenendo all’individuazione di un elenco estremamente contenuto di diritti. Se invece si scegliesse una chiave di lettura estensiva, potrebbero essere ricompresi nella categoria tutti quei diritti che hanno uno stretto collegamento con la cultura, e in particolare alcuni diritti tendenzialmente riconosciuti in modo pacifico dalla tradizione costituzionale europea, quali ad esempio la libertà di manifestazione del
pensiero o la libertà di associazione, ma anche il diritto all’istruzione, se inteso nella sua accezione negativa89. In un’accezione ancor più estensiva, potrebbe assumere una
connotazione culturale l’esercizio di diritti ulteriori, come ad esempio il diritto alla salute, che può richiedere accorgimenti particolari per consentire la fruizione dei relativi servizi da parte di determinate culture (si pensi ad esempio alla presenza di personale maschile e femminile)90.
La dottrina ha inoltre proposto una suddivisione dei diritti culturali in diritti culturali negativi, che prevedono limitazioni alla facoltà dello Stato di interferire con le attività culturali, in particolare dei membri delle minoranze, e positivi, che prevedono in capo allo Stato l’obbligo di attivarsi ai fini di garantire l’esercizio dei diritti necessari per il mantenimento e la conservazione di una determinata cultura (ad esempio con il riconoscimento di fondi o sovvenzioni ad essa specificamente destinati)91. Con
riferimento a quest’ultima distinzione, va evidenziato come il riconoscimento di un diritto alla cultura così come definito nel paragrafo precedente, e dunque come libertà negativa di mantenere e mutare la propria identità culturale, potrebbe a ben vedere essere ritenuto assorbente non solo rispetto ai diritti di libertà posti a tutela delle manifestazioni classiche della cultura (quali religione e lingua), ma anche rispetto agli ulteriori diritti culturali negativi espressamente enunciati dal diritto internazionale convenzionale, come ad esempio il diritto all’istruzione (inteso come diritto dei genitori a istruire i figli secondo le proprie convinzioni).
In quest’ottica, si potrebbe configurare un diritto fondamentale alla libertà dell’identità culturale rispetto al quale i diversi diritti culturali negativi si pongono come specificazioni, e dunque come tutela di alcune manifestazioni “qualificate” o ricorrenti della cultura, e come tali meritevoli di tipizzazione. La suddivisione rilevante sarebbe quindi non tanto quella tra diritti culturali negativi e diritti culturali positivi, ma quella tra diritto alla cultura (negativo) e diritti culturali (positivi)92. Ciò tenendo sempre a mente
89 Per la distinzione tra diritti che espressamente menzionano la cultura e diritti direttamente collegati alla
cultura si veda Y. DONDERS, Foundation of collective cultural rights in international human rights law, cit., 91.
90 Ibidem. Il tema interseca peraltro il dibattito sulla possibilità di qualificare i diritti culturali come una
“riformulazione di diritti sociali”. Si vedano in questo senso: G. FAMIGLIETTI, Diritti culturali e diritto
della cultura, cit., 49; L. DEGRASSI, Diritti, libertà e cultura. Un approccio di base, in www.dirittifondamentali.it, n. 1, 2017, 2; F. SGRÒ, La duplice natura dei diritti culturali, cit., 63. 91 Distinzione proposta, ad esempio, da G. PINO, Libertà religiosa e società multiculturale, cit., 161. 92 Suddivisione che è possibile rinvenire anche in: T. MAZZARESE, Diritto, diritti, pluralismo culturale. Un’introduzione, cit., 10 ss.; F. SCUTO, Diritti culturali e multiculturalismo nello Stato costituzionale, cit.
che, almeno con riferimento all’ordinamento costituzionale italiano, la distinzione non può riguardare la titolarità dei diritti in questione, essendo da escludersi la configurabilità di diritti a titolarità collettiva, sebbene i diritti culturali positivi presuppongano, naturalmente, una qualche forma di aggregazione o di associazione dei gruppi culturali che dovranno beneficiare dell’obbligo di facere posto in capo allo Stato.
In ogni caso, più che a una netta suddivisione o categorizzazione, sarebbe forse opportuno fare riferimento a una trasversalità dei diritti culturali, in primo luogo proprio rispetto ai diritti di libertà (diritti negativi), e ai diritti economici e sociali (diritti positivi)93, che
consenta pertanto di superare la bipartizione tradizionale del costituzionalismo (e del diritto internazionale) del Secondo Dopoguerra94. I diritti culturali sarebbero pertanto da
leggersi come una categoria di diritti che si sovrappone alle categorie tradizionali, andando a ricomprendere i diritti fondamentali che, pur non facendo espresso riferimento alla cultura, hanno con essa un collegamento qualificato95. Un’impostazione di questo
tipo era del resto emersa, quantomeno in potenza, in alcune ricostruzioni operate dalla dottrina già oltre vent’anni fa, con i diritti culturali che erano stati definiti come una “categoria occulta” di diritti, nascosta nelle pieghe delle categorie tradizionali, con riferimento alle quali essa può apportare un valore aggiunto senza tuttavia esaurirne il contenuto96.
Teorizzare i diritti culturali quali categoria trasversale rispetto alle categorie classiche dei diritti fondamentali consente peraltro di semplificare notevolmente le questioni definitorie esaminate nei paragrafi precedenti. Se infatti si può certamente ritenere che esistano dei diritti culturali in senso stretto, e cioè quei diritti che fanno espresso riferimento alla cultura (come ad esempio il diritto a partecipare alla vita culturale ovvero il diritto a mantenere la propria cultura), è altrettanto vero che altri diritti fondamentali, pur non potendo essere ritenuti diritti culturali in senso stretto, si prestano ad essere inclusi nella categoria con riferimento alle specifiche modalità del loro esercizio, che possono
93 Si intendono qui per diritti positivi quelli che pongono in capo allo Stato un obbligo di fare, pur consci
del fatto che, a ben vedere, la distinzione è contestabile, in quanto ogni diritto ha una sua componente negativa e positiva, per quanto una delle due possa risultare prevalente. Si veda sul punto R. BIN, Diritti e
fraintendimenti, in Ragion pratica, n. 14, 2000.
94 Si veda J. LUTHER, Le Frontiere dei diritti culturali in Europa, cit., 226.
95 Si veda in questo senso Y. DONDERS, Towards a right to cultural identity?, cit., 3.
96 La definizione di “categoria occulta” di diritti è stata elaborata da P. MEYER-BISCH, Les droits culturels forment-ils une catégorie spécifique de droits de l’homme? Quelques difficultés logiques, in P. Meyer-
Bisch (a cura di), Les droits culturels, une catégorie sous-développée de droits de l’homme, Fribourg, Editions Universitaires Fribourg Suisse, 1993, 17 ss.
spesso essere ispirate proprio a questioni culturali ovvero identitarie (si pensi, ad esempio, al diritto di associazione ovvero al diritto al rispetto della vita familiare, o ancora alla libertà di manifestazione del pensiero). Immaginare i diritti culturali come una categoria trasversale consentirebbe quindi di individuare un nucleo di diritti “culturali” in senso stretto, al quale si affiancherebbero diritti formalmente appartenenti ad altre categorie, ma che possono divenire culturali qualora la loro modalità di esercizio lo consenta, con particolare riferimento alle motivazioni o alle finalità della loro attivazione.
La critica che potrebbe essere avanzata a una ricostruzione siffatta è quella per cui si ricadrebbe, in sostanza, ancora una volta nel tentativo di dare ingresso nell’ordinamento alla cultura quale concetto meta-giuridico, finendo per riconoscere potenzialmente natura culturale a ogni diritto costituzionale, in quanto ogni diritto potrebbe essere (e anzi, non potrebbe non essere) esercitato in modo culturalmente orientato97. A ben vedere, sembra
tuttavia possibile operare un discrimine tra diritti a potenziale contenuto culturale (contenuto culturale che può divenire certamente prevalente, o finanche necessario) e diritti in cui invece il contenuto culturale è assente, o comunque del tutto marginale rispetto alla reale posizione soggettiva tutelata. Si dovrebbero pertanto escludere dalla categoria dei diritti culturali, in primo luogo, i diritti di libertà classici, che tutelano la libertà personale nelle sue diverse articolazioni (e dunque anche nel domicilio, nella corrispondenza, e così via). Si dovrebbero parimenti escludere i diritti a contenuto strettamente economico e sociale, e dunque i diritti di prestazione che tutelino interessi materiali (quali ad esempio il diritto alla previdenza sociale o il diritto di stabilimento). Devono poi escludersi dal novero dei diritti culturali i diritti politici, nonostante essi, come si vedrà, possano giocare un ruolo decisivo nella ricomposizione delle tensioni culturali nello Stato costituzionale98.
La tesi della trasversalità dei diritti culturali risulta convincente, con alcuni temperamenti. Essa ha infatti l’indubbio merito di cogliere la duttilità della categoria di diritti in esame, che del resto non può che essere la naturale conseguenza della declinazione giuspubblicistica del concetto di cultura, che informa il modo stesso di interfacciarsi con la realtà dell’individuo, e che dunque può informare l’esercizio di un vasto numero di
97 Si veda, di nuovo, V. ANGIOLINI, Diritto costituzionale e società multiculturali, cit., 27 ss.
98 La non riconducibilità dei diritti sinora menzionati alla categoria dei diritti culturali è stata già
argomentata da J. LUTHER, Le Frontiere dei diritti culturali in Europa, cit., 228 ss., che peraltro propone come criterio di discernimento quello dell’immaterialità dell’interesse tutelato.
diritti fondamentali99. Nondimeno, esistono alcuni diritti culturali codificati dal diritto
internazionale convenzionale che non sembrano riconducibili ad alcuna delle categorie “classiche” dei diritti, e che dunque giustificherebbero l’individuazione di un nucleo di diritti culturali “in senso stretto” e indipendente. La categoria dei diritti culturali potrebbe pertanto ritenersi categoria “mista”, a geometrie variabili, caratterizzata da un nucleo di diritti intrinsecamente culturali, o culturali in senso stretto, oltre che da un ventaglio ulteriore di diritti, culturali in senso trasversale, e dunque da quei diritti che, pur essendo tradizionalmente riconducibili ad altre categorie, presentano con la cultura un collegamento sufficientemente stretto (o qualificato) da poter divenire diritti culturali in virtù della loro modalità di esercizio nel caso concreto.
Carattere culturale in senso lato dovrebbe essere riconosciuto a diritti quali ad esempio la libertà di espressione, la libertà di riunione e la libertà di associazione100. Carattere
culturale in senso stretto dovrebbe essere invece riconosciuto al diritto alla cultura (a mantenere la propria cultura), al diritto alla libertà religiosa e al diritto alla lingua, laddove essi non dovessero essere ritenuti assorbiti in quest’ultimo diritto, al diritto a partecipare alla vita culturale e al diritto all’istruzione (nelle sue accezioni positiva e negativa). È proprio quest’ultima formulazione trasversale di diritti culturali che sembra prevalere attualmente nel sistema multilivello di tutela dei diritti.