L’evolversi dello Stato multiculturale europeo
5. Le opzioni politiche del legislatore nello Stato multiculturale
Alla luce della ricostruzione operata nei paragrafi precedenti, è necessario interrogarsi sulle modalità di interazione tra diritti culturali, invocati dalle nuove minoranze in chiave contro-maggioritaria, e altri diritti fondamentali o interessi costituzionalmente rilevanti degli ordinamenti ospitanti. Detto bilanciamento viene operato dal legislatore attraverso quelle che sono comunemente descritte come “politiche multiculturali”.
Va osservato che fornire una definizione di cosa costituisca una politica multiculturale è operazione estremamente complessa, attesa la già menzionata relativa evanescenza dei concetti di cultura e di multiculturalismo, e non a caso la dottrina tende a servirsi del termine in modo sostanzialmente atecnico, prescindendo da questioni definitorie. Anche le poche definizioni formulate, pur avendo il merito di cogliere alcuni degli aspetti salienti delle politiche in esame, non sembrano del tutto esaurienti.
Secondo una prima definizione, sarebbero politiche multiculturali le politiche volte a “tutelare la specificità delle minoranze”, a “riconoscerne i valori e le tradizioni”, e dunque le politiche adottate, sul finire del XX secolo, da Paesi quali Canada, Regno Unito e Olanda147. Riconducibile a questo tipo di definizione sembra essere lo strumento del
Multicultural Policy Index (elaborato per la Queen’s University, tra gli altri, da Will Kymlicka a Keith Banting), che suddivide le politiche multiculturali secondo otto macro- categorie, e in particolare: riconoscimento costituzionale o legislativo del
147 Si vedano per definizioni in questo senso: G. CERRINA FERONI, Diritto costituzionale e società multiculturale, cit., 6; C. MARTINELLI, Il modello di integrazione della Gran Bretagna, cit., 10; E.
COLOMBO, Presentazione, in Rassegna italiana di sociologia, n. 3, 2009, 401; C. GALLI, S. MEZZADRA, Editoriale. Oltre la teologia politica: religioni, potere, identità, in Filosofia politica, n. 3, 2010, 369. Tra gli autori citati, Cerrina Feroni definisce le politiche in esame come “politiche multiculturaliste”.
multiculturalismo come politica ufficiale e istituzione di un apposito organo (ministero, segretariato o altro organo consultivo) di implementazione; inclusione del multiculturalismo nei programmi scolastici; rappresentanza delle minoranze nei media pubblici; esenzioni da obblighi e imposizioni riguardanti l’abbigliamento; previsione della doppia cittadinanza; finanziamenti e sovvenzioni alle associazioni rappresentative delle minoranze; finanziamento dell’istruzione bilingue o nella lingua madre; politiche di
affirmative action148.
La definizione in esame appare parzialmente sbilanciata in senso restrittivo, individuando quali politiche multiculturali soltanto quelle volte al riconoscimento delle differenze, così escludendo però gli interventi che perseguano il più ampio fine dell’interazione e dell’integrazione.
Una seconda definizione proposta in dottrina è quella per cui le politiche multiculturali sarebbero “provvedimenti ad hoc, temporanei, strumentali al fine di produrre un’equa integrazione, e di mettere i membri dei vari gruppi in grado di godere pienamente dei diritti di cittadinanza su un piano di parità rispetto ai membri della maggioranza”149. La
definizione in esame sembra tuttavia parzialmente sbilanciata sul fronte opposto, in quanto essa subordina le politiche multiculturali al fine dell’integrazione delle minoranze (pur temperato dal requisito dell’equità, per cui l’integrazione non deve verosimilmente intendersi come assimilazione), e immagina pertanto quale requisito la temporaneità delle politiche stesse: se le politiche sono temporanee, ciò significa che esse in futuro non serviranno più, e che si ipotizza che il tratto di differenza culturale che le aveva fondate sarà scomparso. L’impostazione in esame trascura quindi il fatto che le minoranze potrebbero non voler mai rinunciare ad alcuni dei loro tratti culturali distintivi, come può essere il caso per le minoranze indigene e linguistiche, ovvero per alcune minoranze religiose, e che dunque politiche volte a garantire l’eguaglianza sostanziale in favore di dette minoranze potrebbero dover assumere carattere strutturale.
Un indice di misurazione delle politiche multiculturali che appare conforme alla definizione in esame è il Migrant Integration Policy Index, sviluppato dal Barcelona Centre for International Affairs (CIDOB) e dal Migration Policy Group (MPG), che utilizza 167 indicatori, suddivisi su otto macro-categorie di intervento, individuate in:
148 Tutti i dati relativi all’indice in esame sono reperibili sul portale http://www.queensu.ca/mcp.
eguaglianza e pari opportunità nell’accesso e nella mobilità con riferimento al mondo del lavoro; interventi sul sistema scolastico ai fini di adattarlo alle necessità delle seconde generazioni di migranti; possibilità per le nuove minoranze di partecipare alla vita politica; trasparenza e accessibilità del procedimento per l’ottenimento della cittadinanza; trasparenza e accessibilità del procedimento per il ricongiungimento familiare; eguaglianza nell’accesso al sistema sanitario; trasparenza e accessibilità del procedimento per l’ottenimento di permessi di residenza permanente; misure contro la discriminazione etnica, razziale, religiosa o nazionale150.
L’indicatore in esame, peraltro, sembra focalizzarsi prevalentemente sull’integrazione sociale ed economica, e non invece sull’integrazione culturale.
Entrambe le definizioni sinora esaminate trascurano, inoltre, il fatto che vanno ricomprese nel multiculturalismo non solo le culture delle minoranze, ma anche la cultura della maggioranza, e che pertanto rientreranno tra le politiche multiculturali anche le politiche volte a promuovere e tutelare la cultura dominante, soprattutto presso le comunità minoritarie.
Alla luce di quanto esposto, appare preferibile ritenere che facciano parte della categoria delle politiche multiculturali (o delle politiche del multiculturalismo) tutti gli interventi legislativi che mirino a confrontarsi con il multiculturalismo, e dunque a comporre, in prospettiva strutturale e di lungo periodo, le tensioni che animano la società multiculturale, a prescindere dal fatto che detto obiettivo sia perseguito accomodando le istanze identitarie delle minoranze, reprimendole attraverso la promozione della cultura maggioritaria, o tramite una soluzione intermedia. Esse saranno pertanto in primis, politiche di bilanciamento dei diritti culturali151, e più precisamente dei diritti culturali
delle minoranze con i diritti culturali della maggioranza e dei diritti culturali delle minoranze con altri diritti e interessi costituzionalmente rilevanti nell’ordinamento ospitante. Si potrebbe quindi affermare che le politiche multiculturali sono, a ben vedere, sempre politiche dell’integrazione152, dovendosi intendere per integrazione il processo di
150 Tutti i dati relativi all’indice in esame sono reperibili al sito http://www.mipex.eu.
151 Si fa riferimento al bilanciamento come tecnica, ed in particolare al bilanciamento nell’ambito dei
conflitti inter-valore, e dunque tra diritti fondamentali e altri diritti o interessi di rango costituzionale. Si veda A. MORRONE, Bilanciamento (giustizia costituzionale), in Enciclopedia del diritto, Annali, vol. II, Milano, Giuffrè, 2008.
152 È stato osservato che i diritti sono “fattori di coordinazione/integrazione”, nella misura in cui in essi “si
coglie un equilibrio tra il ri-conoscere e il volere, tra natura e cultura”. In questo senso R. BALDUZZI, La
composizione delle fratture culturali tra i diversi gruppi che convivono in un medesimo ordinamento153. Detta composizione può avvenire, per l’appunto, tramite la “riduzione
forzata” delle fratture (l’omogeneizzazione culturale e l’assimilazione), tramite la cristallizzazione delle stesse (il relativismo culturale e la separazione), ovvero, e preferibilmente (come si cercherà di argomentare), tramite il loro risanamento (l’interazione e il dialogo culturale).
In questo senso, si può affermare che le politiche multiculturali non sempre sono politiche
multiculturaliste. Le politiche multiculturali potranno avere pertanto sia contenuto
restrittivo, cercando di arginare il fenomeno del pluralismo culturale, spesso percepito come dilagante, tramite una compressione dei diritti culturali delle nuove minoranze, che espansivo, cercando di accomodare le istanze culturali di queste ultime, e dunque riconoscendone e tutelandone i diritti culturali. Accogliendo un’impostazione siffatta, un insieme più o meno coerente e organico di politiche multiculturali verrà a coincidere con quelli che vengono chiamati, comunemente, “modelli di integrazione”.
Se si vuole preliminarmente individuare, come pare opportuno, il limite oltre il quale le politiche multiculturali non possono spingersi in uno Stato democratico e pluralista, appare ancora attuale la distinzione operata da Bobbio tra politiche della cultura e politiche culturali154. Se è vero infatti che Bobbio intendeva ancora la cultura in senso
tradizionale, e dunque come l’insieme dei processi colti, elevati, all’interno della società (e così ad esempio l’arte, l’istruzione, la filosofia, e così via), rimane valida l’intuizione sottesa alla critica delle politiche culturali, e dunque il divieto per la politica di ingerirsi nell’evoluzione della cultura, pianificandola 155 . In particolare, coniugando detta
impostazione a un’accezione più ampia del concetto di cultura (e, anzi, con il concetto di culture, al plurale), dovranno ritenersi vietate quelle politiche culturali che tentino di influenzare l’evoluzione delle culture propugnando una determinata visione di quale e cosa sia la cultura. Più che di politiche multiculturali, bisognerebbe quindi forse parlare, in questo senso, di “politiche del multiculturalismo”. In quest’ottica, pertanto, a essere
153 In questo senso G. CERRINA FERONI, V. FEDERICO, Introduzione, in G. Cerrina Feroni, V. Federico
(a cura di), Società multiculturali e percorsi di integrazione. Francia, Germania, Regno Unito ed Italia a
confronto, cit., 4.
154 La celebre distinzione è proposta in N. BOBBIO, Politica e cultura, Torino, Einaudi, 1955, 37. 155 Ivi, 35 ss. Per Bobbio la cultura è la “guida spirituale della società in un determinato momento storico”,
e pertanto la politica della cultura (cultura al singolare) è una “posizione di massima apertura verso le posizioni filosofiche, ideologiche e mentali differenti, dato che è la politica relativa a ciò che è comune a tutti gli uomini di cultura e non tocca ciò che li divide”.
illegittime secondo una lettura costituzionalmente orientata saranno le politiche ispirate a logiche assimilazioniste, che tentino di trasformare o di sradicare determinate culture, mentre al contrario, valorizzando lo stretto legame tra cultura e libertà, saranno legittime le politiche volte a promuovere lo sviluppo delle culture e la pacifica interazione tra le stesse156.
È indubbio che le politiche multiculturali, nel momento storico attuale, non godono del favore di una parte consistente della cittadinanza, complice la cosiddetta “crisi dei rifugiati”, spesso strumentalizzata da forze politiche in chiave populista nell’ottica di un facile tornaconto elettorale. Nondimeno, non si deve dimenticare che le istanze contro- maggioritarie delle minoranze culturali sono l’espressione di una più generale vocazione contro-maggioritaria della Costituzione, il cui ruolo è precisamente quello di preservare i diritti fondamentali dalle pulsioni e dagli egoismi individuali157. Un costituzionalismo
garantista, rispettoso dei diritti fondamentali degli appartenenti alle minoranze (culturali e non), non può prescindere dalla capacità di scindere diritto e morale, e deve pertanto provvedere ad assicurare e proteggere tali diritti anche laddove ciò sia inviso alla maggioranza: ciò implica che il costituzionalismo garantista deve necessariamente abbracciare il pluralismo morale e il multiculturalismo ai fini di garantire la pacifica convivenza nell’ordinamento158.
È proprio in un contesto siffatto che l’adozione di politiche multiculturali da parte del legislatore diviene ancor più importante, se si considera che il fine di dette politiche dovrebbe essere, in conformità con il fondamentale principio pluralista, quello di sottrarre la cultura a impostazioni dogmatiche, incentivando la logica dell’et-et, che in campo culturale dovrebbe sempre prevalere su quella dell’aut-aut159. A maggior ragione
appaiono pertanto incompatibili con una lettura costituzionalmente orientata del pluralismo culturale le politiche restrittive (assimilazioniste), che tentino di imporre una cultura sulle altre, nonostante esse siano, specie in tempi recenti, l’indubbia espressione di un malessere diffuso nelle società ospitanti. E tuttavia, è proprio nelle epoche in cui l’intero sistema valoriale di una civiltà viene messo in discussione che è vieppiù
156 Ivi, 38.
157 Si veda G. AZZARITI, Cittadinanza e multiculturalismo: immagini riflesse e giudizio politico, cit., 191. 158 Sul non cognitivismo etico e sul costituzionalismo garantista si veda L. FERRAJOLI, Costituzionalismo principialista e costituzionalismo garantista, in Giurisprudenza costituzionale, n. 3, 2010, 2771 ss. 159 Si veda N. BOBBIO, Politica e cultura, cit., 40 ss.
necessario resistere alla “seduzione della certezza”160. Chi dovrà resistere massimamente
alla tentazione di chiudersi al diverso o, ancor peggio, di cercare di trasformare forzatamente il diverso in qualcosa di familiare, comprensibile, e perciò rassicurante, è il legislatore. Se è infatti certamente vero che “non ci si integra per legge o per decreto”161,
è indubitabilmente altrettanto vero che appare difficile integrarsi senza alcuna legge o decreto: in altre parole, è estremamente difficile ipotizzare che si possa avere una qualsiasi integrazione in assenza di apposite politiche legislative.
L’adozione di politiche multiculturali organiche da parte del legislatore appare inoltre opportuna ai fini di prevenire soluzioni “a macchia di leopardo” dei conflitti culturali, in quanto, nel silenzio del legislatore, il bilanciamento dei diritti culturali con diritti e interessi costituzionalmente rilevanti nell’ordinamento ospitante dovrà essere operato dall’autorità giudiziaria, potendo portare a risultati diversi e finanche divergenti tra loro (cfr. cap. IV, 1.3.2.).
In particolare, un intervento legislativo organico potrebbe attenuare la problematica rappresentata dalla difficile applicazione negli ordinamenti ospitanti di norme, in vigore negli ordinamenti di origine, di dubbia compatibilità costituzionale. Accade infatti sempre più di frequente che le Corti si trovino a dover fare i conti con disposizioni, specie in materia di diritto di famiglia, apparentemente contrastanti con i principi e i diritti fondamentali del costituzionalismo europeo (e basti pensare, ad esempio, ai casi della poligamia o del ripudio)162. Le norme del diritto internazionale privato, in quasi tutti gli
ordinamenti europei, prevedono per il giudice la possibilità di ricorrere alla nozione di ordine pubblico ai fini di negare l’ingresso nell’ordinamento e la conseguente applicazione delle norme in esame. In quest’ottica, si è evidenziato come la nozione di ordine pubblico stia divenendo, nell’interpretazione delle Corti, sempre più immateriale, venendo sostanzialmente gradualmente a coincidere con un’idea, alquanto evanescente, di un preteso (e non definito) nucleo di valori e di principi fondamentali ed irrinunciabili per l’ordinamento ospitante163. Detta nozione di “ordine pubblico immateriale” rischia
pertanto di divenire uno strumento malleabile (in misura eccessiva) atto a comprimere i
160 Ivi, 42.
161 Si veda C. CORSI, Peripezie di un cammino verso l’integrazione giuridica degli stranieri. Alcuni elementi sintomatici, in Rivista AIC, n. 1, 2018, 27.
162 Sul tema si veda P. BILANCIA, The dynamics of the EU integration and the impact on the national constitutional law, cit., 163 ss.
diritti culturali in modo disomogeneo e finanche pretestuoso, in virtù dell’indeterminatezza del suo contenuto.
L’intervento del legislatore tramite specifiche politiche in tema di diritti culturali delle nuove minoranze appare quindi certamente opportuno anche ai fini di riempire di contenuti chiari e definiti il contenitore vuoto dell’ordine pubblico, garantendo un bilanciamento sicuro e prevedibile dei diritti culturali con altri diritti e interessi costituzionalmente rilevanti nell’ordinamento ospitante. In altri termini, un intervento siffatto limita la discrezionalità degli ordinamenti ospitanti nel comprimere i diritti culturali, chiarendo cosa debba essere ritenuto irrinunciabile, e cosa invece possa essere sacrificato, nell’ambito della composizione dei conflitti culturali nello Stato multiculturale.
In ogni caso, le politiche volte ad incidere sul riconoscimento e sull’esercizio dei diritti culturali possono variare (e sono variate) grandemente tra i diversi ordinamenti europei, che si caratterizzano per una molteplicità di approcci, anche radicalmente diversi tra loro. Il limite costituzionale delle politiche multiculturali non appare infatti sempre rispettato, e anzi esso è apertamente rinnegato, come si vedrà, da almeno uno dei modelli storici di integrazione, quello francese, che peraltro sta godendo, se non altro nel discorso politico e, in certa misura, dottrinale, di una sorta di seconda giovinezza.