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Il modello inglese

Nel documento Diritti multiculturali in cammino (pagine 164-170)

L’evolversi dello Stato multiculturale europeo

6. I modelli storici di integrazione culturale in Europa

6.1. Il modello inglese

Il modello di integrazione inglese è noto per il suo approccio estremamente plurale, che ha consapevolmente abbracciato il multiculturalismo a partire dal Secondo Dopoguerra,

167 Sul modello di integrazione svizzero si veda G. GRASSO, Immigrazione e integrazione: il caso della Svizzera, in Osservatorio costituzionale, n. 1, 2018.

168 Cfr. J. FARRELL, Switzerland to hold referendum on whether to ban burqa after successful far-right petition, in The Independent, 15 ottobre 2017.

169 L’impianto assimilazionista del modello svizzero è peraltro confermato dagli indicatori di misurazione

delle politiche multiculturali: la Svizzera riporta infatti, per l’anno 2010, punteggi addirittura inferiori a quelli della Francia sia nel MPI (dove registra solo 1 punto) che nel MIPEX (dove registra solo 45 punti).

nel momento in cui il legislatore si è trovato a dover fare i conti con ingenti flussi migratori provenienti dalle ex-colonie. Le origini del modello possono essere ricondotte al “governo indiretto” dell’impero coloniale britannico, preoccupato principalmente di uniformare il sistema degli scambi commerciali, lasciando per il resto ampia autonomia alle popolazioni locali nell’autogoverno (anche culturale)170. È bene evidenziare sin da

subito come il modello inglese non si riduca ad un mero “laissez-faire culturale” ma sia piuttosto caratterizzato da un ruolo centrale e proattivo del legislatore, che interviene con politiche e norme specificatamente concepite per rispondere, di solito accomodandole, alle istanze sollevate dalle minoranze culturali. L’adozione di dette politiche ha portato il Regno Unito a conseguire, relativamente all’anno 2010, un punteggio di 5,5 sul Multicultural Policy Index, ed un punteggio di 62 sul MIPEX171.

Nell’ordinamento inglese, pertanto, l’appartenenza a una data minoranza culturale può legittimamente costituire il fondamento per un trattamento giuridico differenziato per il tramite del riconoscimento dei diritti culturali, secondo un principio che è stato definito come “eguaglianza delle differenze”172.

L’esempio che viene frequentemente portato, con riferimento alla libertà religiosa, è quello della legislazione ad hoc che è stata approvata per assecondare le particolari necessità delle minoranze sikh. È questo il caso del Motor-Cycle Crash Helmets

(Religious Exemption) Act, del 1976, che esenta i sikh dall’obbligo di indossare il casco

alla guida di una moto, o degli articoli 11 e 12 dell’Employment Act del 1989 (e dell’articolo 6 del Deregulation Act del 2015), che esentano i sikh dall’obbligo di

170 Per una ricostruzione in questo senso dell’evoluzione storica del modello inglese si veda C.

MARTINELLI, Il modello di integrazione della Gran Bretagna, cit. Resta aperta la domanda circa quanto l’apertura del modello inglese possa essere strumentale al mantenimento di una posizione egemonica nell’ambito del Commonwealth.

171 Per quanto riguarda il MPI, il Regno Unito registra 1 punto con riferimento a: rappresentanza delle

minoranze nei media pubblici; esenzioni da obblighi e imposizioni riguardanti l’abbigliamento; previsione della doppia cittadinanza; finanziamenti e sovvenzioni alle associazioni rappresentative delle minoranze; politiche di affirmative action. Registra 0,5 punti con riferimento a: inclusione del multiculturalismo nei programmi scolastici. Registra 0 punti con riferimento a: riconoscimento costituzionale o legislativo del multiculturalismo come politica ufficiale ed istituzione di un apposito organo (ministero, segretariato o altro organo consultivo) di implementazione; finanziamento dell’istruzione bilingue o nella lingua madre. Per quanto riguarda il MIPEX, il Regno Unito ha riportato i seguenti punteggi: eguaglianza e pari opportunità nell’accesso e nella mobilità con riferimento al mondo del lavoro (59); interventi sul sistema scolastico ai fini di adattarlo alle necessità delle seconde generazioni di migranti (68); possibilità per le nuove minoranze di partecipare alla vita politica (51); trasparenza ed accessibilità del procedimento per l’ottenimento della cittadinanza (62); trasparenza ed accessibilità del procedimento per il ricongiungimento familiare (44); trasparenza e accessibilità del procedimento per l’ottenimento di permessi di residenza permanente (62); misure contro la discriminazione etnica, razziale, religiosa o nazionale (87).

indossare l’elmetto protettivo sul luogo di lavoro. Ciò per evitare di applicare una norma che avrebbe imposto ai membri della minoranza sikh di rimuovere il tradizionale turbante che essi indossano ai fini di ottemperare a una precisa prescrizione della propria religione. Allo stesso modo, l’articolo 139 del Criminal Justice Act del 1988 e l’articolo 49 del

Criminal Law (Consolidation) (Scotland) Act del 1995 dispongono che il soggetto

accusato del porto di un’arma da taglio o da punta in luogo pubblico possa difendersi dimostrando di avere portato l’arma per motivi religiosi ovvero come parte di un costume nazionale, con ciò scriminando la condotta del sikh che indossi il coltello cerimoniale noto come kirpan (cfr. cap. IV, 2.2.3.2.).

Si è comunque evidenziato come le politiche inglesi di accomodamento delle istanze culturali delle minoranze sikh non siano (o non siano soltanto) il frutto di un approccio progressista alle questioni multiculturali, ma siano altresì il prodotto di una strategia politica ben precisa (ed efficacie) della minoranza in questione. Da un lato, infatti, i sikh hanno sempre avuto un posto all’interno dell’apparato statale britannico, e in particolare è celebre il loro contributo militare, con la presenza massiccia nei ranghi dell’esercito dell’impero: già nell’ambito di detto servizio essi erano peraltro esentati dall’indossare l’elmetto che faceva parte della divisa obbligatoria per gli altri militari173. Dall’altro, la

minoranza sikh ha condotto un’instancabile azione di lobbying, tramite una presenza trasversale ai diversi partiti politici, che ha gradualmente sensibilizzato il legislatore, “valorizzando la propria identità culturale nell’arena legislativa”, e portando quindi con successo sotto i riflettori le sue diverse problematiche174. Il caso della minoranza sikh è

comunque estremamente rappresentativo di una caratteristica saliente del modello inglese: l’attuazione delle politiche del riconoscimento e la tutela dei diritti culturali degli appartenenti alle minoranze passa attraverso un approccio sostanzialmente comunitarista, e dunque si fonda sul confronto dello Stato con le singole minoranze, e in particolare con i leader da esse espressi175.

La politica di accomodamento delle istanze culturali minoritarie non è stata tuttavia circoscritta alle minoranze che abbiano accettato di prendere parte ai meccanismi della

173 Si veda sul tema A. SIMONI, La sentenza della Cassazione sul kirpan: “voce dal sen fuggita”?, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 2, 2017, 4 ss.

174 Ibidem.

175 Si vedano sul punto: P. BILANCIA, Società multiculturale: i diritti delle donne nella vita familiare, cit.,

6; G. CERRINA FERONI, Diritto costituzionale e società multiculturale, cit., 7. Quest’ultima in particolare parla di un modello “multiculturalista-societario”.

democrazia rappresentativa (o che abbiano avuto la forza per farlo), ma è stata estesa anche alle minoranze ritenute più difficilmente integrabili.

Emblematico è in questo senso l’approccio del legislatore inglese alla pratica culturale dei matrimoni combinati (rectius, forzati), fattispecie che è divenuta sempre più frequente, essendo ancora relativamente diffusa tra le minoranze di origine indiana e pakistana. Orbene, il legislatore inglese, a fronte della preoccupante espansione di una pratica certamente lesiva dei diritti fondamentali della donna, oltre che dei fondamentali principi di eguaglianza e di dignità umana, ha deliberatamente ritenuto di non criminalizzare la pratica ricorrendo alla via della legge penale, preferendo invece predisporre una serie di rimedi civilistici, che consentono alla donna di vedere dichiarata la nullità del matrimonio (oltre che di ottenere un risarcimento), ritenendo che la sopraccitata criminalizzazione avrebbe ottenuto il risultato opposto rispetto a quello sperato, radicando ulteriormente la pratica ed esasperando lo scontro con le minoranze interessate176. Nei casi più gravi, che comportino oltre alla costrizione morale una

costrizione fisica della donna, sono stati ritenuti sufficienti gli strumenti già predisposti dalla legge penale, e in particolare il ricorso al reato di sequestro di persona177.

Discorso analogo può essere svolto con riferimento alla poligamia (rectius, poliginia), se si considera che, nonostante la bigamia sia reato nel Regno Unito, il Matrimonial

Proceedings (Polygamous Marriages) Act del 1972, con disposizione poi recepita dal Matrimonial Causes Act del 1973, consente al Giudice di conoscere dei matrimoni

poligamici, specie con riferimento agli effetti della cessazione degli stessi. Il riconoscimento del matrimonio poligamico contratto in un ordinamento in cui esso è previsto comporta, tra le altre cose, l’ammissione dei nuclei poligamici al welfare in misura proporzionale al numero dei loro componenti, con benefici quali, ad esempio, assegni per ciascuna delle mogli o sgravi fiscali aumentati in funzione delle dimensioni del nucleo178. Interessante peraltro notare come, ai sensi dell’Immigration Act del 1988,

un’unione poligamica non possa fondare un’istanza di ricongiungimento. Il risultato,

176 Si veda C. PINELLI, Società multiculturale e Stato costituzionale, cit., 20.

177 Cfr., ad esempio, i casi R v. Ghulam Rasool [1990–1] 12 Cr. App. R (S.) 771 e R v. Sakina Bibi Khan and Mohammed Bashir [1999] 1 Cr. App. R (S.) 329. In entrambi i casi i genitori, che avevano tentato (nel

secondo addirittura con somministrazione di narcotici) di rapire la figlia per portarla con loro in patria, dove si sarebbe dovuta sposare contro la sua volontà, venivano condannati per sequestro di persona.

178 Si veda sul tema P. BILANCIA, Società multiculturale: i diritti delle donne nella vita familiare, cit., 7

abbastanza paradossale, è il riconoscimento degli effetti e degli obblighi derivanti dal matrimonio poligamico, a patto che lo stesso sia stato ritualmente celebrato nell’ordinamento di origine, affiancato al divieto di utilizzare il medesimo matrimonio poligamico come fondamento di una richiesta di ricongiungimento con più di una singola moglie. La conseguenza è che il marito e la seconda moglie, pur non potendo ricongiungersi sulla base di un visto fondato sul rapporto poligamico, potranno vedere il loro matrimonio riconosciuto come sostanzialmente valido e produttivo di effetti nell’ordinamento laddove la seconda moglie riesca a ottenere un visto ovvero un permesso di residenza per qualsiasi altra ragione (lavorativo, umanitario, ecc.)179.

L’approccio in esame è applicato altresì ai diritti linguistici. Il Regno Unito non ha infatti una politica ufficiale in tema di multilinguismo, e il riconoscimento delle lingue delle minoranze storiche viene attuato su base locale, con riferimento in particolare alle lingue celtiche (come ad esempio gallese, scozzese, irlandese)180. Con riferimento alle nuove

minoranze, è stato anche in questo caso adottato un approccio fondato sull’accomodamento delle istanze culturali provenienti dalle singole minoranze culturali, con la conclusione di accordi ad hoc con i loro vertici. Non è raro, pertanto, vedere cartelli stradali, nomi delle vie o fermate del treno con indicazione bilingue del nome, in cui all’inglese viene affiancato di volta in volta il punjabi, l’urdu, il cinese, o il bengali. L’esposizione di detti cartelli viene deliberata a livello locale dai singoli City Council o da specifici esercenti di pubblici servizi in seguito a intese con le rappresentanze delle minoranze culturali maggiormente rappresentative nel territorio di riferimento181.

Similmente, il sistema scolastico è stato improntato, sin dagli anni ’80, al multiculturalismo, con programmi educativi che dedicano ampio spazio allo studio delle culture minoritarie, delle loro peculiarità e della loro lingua182. Anche in questo caso,

tuttavia, un’ampia autonomia è lasciata alle singole comunità rappresentative delle

179 Ibidem.

180 Cfr., ad esempio: il Welsh Language Act del 1993 e il Gaelic Language (Scotland) Act del 2005. Si

vedano sul tema: R. DUNBAR, Language legislation and language rights in the United Kingdom, in

European Yearbook of minority issues, vol. 2, n. 1, 2002, 95 ss.; A. MARCHETTI, Il pluralismo linguistico nel sistema scolastico del Regno Unito: origini e sviluppi di un sistema a tutele differenziate, tra minoranze storiche e “nuove minoranze”, in F. Biondi Dal Monte, V. Casamassima, E. Rossi (a cura di), Lingua, istruzione e integrazione delle nuove minoranze, Pisa, Pisa University Press, 2017, 133 ss.

181 Cfr., ad esempio: Language row over station signs, in BBC News, 11 settembre 2007; Prince George could be getting Punjabi street signs, in CBC NEWS, 27 maggio 2015.

182 Si veda T. MODOOD, S. MAY, Multiculturalism and education in Britain: an internally contested debate, in International journal of educational research, n. 35, 2001, 305 ss.

culture minoritarie, che possono fondare propri istituti scolastici riconosciuti dallo Stato: è questo il caso, ad esempio, delle scuole sikh o di quelle musulmane. Anche l’accesso dei simboli religiosi alle scuole è, di norma, libero, garantendo un elevato livello di tutela del diritto all’istruzione (nelle sue componenti negativa e positiva) oltre che del diritto dei genitori di crescere i figli secondo le proprie convinzioni.

Le politiche sopradescritte sono accomunate dal fatto che, a fronte dello specifico riconoscimento della liceità di determinate pratiche culturali (o quantomeno della loro non illiceità penale, che può essere a ben vedere letta come tolleranza), non sono poste in essere delle misure proattive volte a favorire la coesione sociale e l’interazione tra le culture minoritarie e quella maggioritaria. E così, ad esempio, nel caso dei matrimoni forzati, nonostante l’intervento legislativo volto a valorizzare la volontà della donna come alternativa alla criminalizzazione della pratica, mancano delle misure volte da un lato a portare a conoscenza della donna i rimedi che la disciplina civilistica mette a sua disposizione, e dunque la possibilità di liberarsi del rapporto imposto e di ottenere la necessaria protezione, mediante “vie di uscita” appositamente predisposte (con il rischio che i rimedi in esame restino, a ben vedere, lettera morta, attesa l’impossibilità della donna di attivarli, per ignoranza degli stessi o per paura di essere abbandonata a se stessa ed esposta a ritorsioni o a gravi difficoltà economiche una volta liberatasi), e dall’altro a sensibilizzare le comunità interessate in merito alla lesività della pratica con riferimento alla dignità umana e in generale circa la contrarietà della stessa ai principi fondamentali dell’ordinamento ospitante.

Discorso analogo può essere fatto per la poligamia, con riferimento alla quale molto è stato fatto per tentare di evitare che la donna nel nucleo poligamico goda di diritti o in generale di una condizione sociale deteriore rispetto alla donna nel nucleo monogamico, sennonché poco si è fatto per assicurarsi che la scelta di appartenere al nucleo poligamico sia libera da coercizioni. Sotto questo punto di vista il rimando acritico alla validità del matrimonio secondo i criteri dell’ordinamento di origine appare come un’abdicazione potenzialmente pericolosa, atteso che detti criteri, pur legali nell’ordinamento di provenienza, potrebbero ben contrastare con principi fondamentali e irrinunciabili dell’ordinamento ospitante (si pensi al caso in cui le modalità di perfezionamento del vincolo matrimoniale non siano idonee a garantire una piena acquisizione del consenso

della donna, come può a volte accadere con il matrimonio per procura, cfr. cap. IV, 2.4.7.).

La critica che viene frequentemente mossa al modello inglese è pertanto quella per cui esso, recependo in modo quasi acritico le sollecitazioni e le istanze delle minoranze culturali, e dunque garantendo un elevato livello di tutela dei diritti culturali delle nuove minoranze senza chiedere come contropartita l’adesione a precisi doveri e obblighi di integrazione, avrebbe favorito la moltiplicazione delle differenze, creando delle vere e proprie isole culturali in seno ad un’unica società183. Dette isole non comunicano né tra

di loro né con la “terraferma” rappresentata dalla maggioranza culturale, vivendo in una sorta di autoreferenzialismo, a volte addirittura giuridico, al punto di darsi proprie norme e propri sistemi di giustizia paralleli rispetto a quello statale184. Ciò è ben esemplificato

dall’approccio alla questione della lingua: l’approccio storico del legislatore inglese è infatti stato quello di garantire la piena autonomia linguistica alle nuove minoranze all’interno delle rispettive comunità, senza tuttavia istituire alcuna politica di bilinguismo in loro favore185.

Si tratterebbe quindi di un modello che ha generato “co-esistenza senza con-vivenza”, una separazione che, a fronte della posizione dominante dal punto di vista economico e culturale di cui gode la maggioranza, si traduce non già in mera separazione ma in vera e propria segregazione delle minoranze186.

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