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Il modello francese

Nel documento Diritti multiculturali in cammino (pagine 170-177)

L’evolversi dello Stato multiculturale europeo

6. I modelli storici di integrazione culturale in Europa

6.2. Il modello francese

Il modello di integrazione francese risulta, per molti aspetti, specularmente opposto rispetto a quello inglese su di una ideale scala che ordini i modelli europei secondo il loro livello di adesione al multiculturalismo. L’ordinamento francese è infatti improntato, più di altri, al principio dell’universalismo giuridico, e in particolare al principio di

183 Si veda C. MARTINELLI, Il modello di integrazione della Gran Bretagna, cit., 20.

184 Si veda G. CERRINA FERONI, Diritto costituzionale e società multiculturale, cit., 7 ss., che porta come

esempio l’istituzione de facto di un sistema shariatico di giustizia parallelo a quello statale, solo parzialmente regolamentato e riconosciuto. Trattasi tuttavia di un fenomeno complesso, soggetto a diverse interpretazioni: si veda in questo senso P. PAROLARI, “Shariah” e corti islamiche in Inghilterra tra mito

e realtà. Pluralità di ordinamenti giuridici e interlegalità nelle società multireligiose e multiculturali, in Materiali per una storia della cultura giuridica, n. 1, 2017.

185 Per una critica dell’approccio in esame si veda S. MAY, Language and minority rights, London-New

York, Longman, 2001.

universalità dei diritti fondamentali, come conseguenza obbligata del principio di eguaglianza formale. In linea di massima quindi il modello in esame, saldamente ancorato al principio costituzionale di égalité, non consente che vengano riservati trattamenti differenziati agli individui appartenenti a una minoranza culturale187. L’obiettivo delle

politiche dell’integrazione deve pertanto essere, in quest’ottica, il perseguimento di una società culturalmente omogenea188. Dette politiche hanno portato la Francia a conseguire

un punteggio, per il 2010, di soli 2 punti sul Multicultural Policy Index e di 53 sul MIPEX189.

È stato osservato che il modello francese si fonda su tre pilastri, e più precisamente: sull’assimilazione (lo straniero rinuncia ai valori di origine per sposare i valori dell’ordinamento francese, ricevendo in cambio la possibilità di divenire cittadino a tutti gli effetti); sull’universalismo (che si traduce nell’eguaglianza nella cittadinanza, che vieta trattamenti differenziati sulla base dell’identità culturale, etnica o religiosa); sulla laicità (la separazione il più possibile perfetta tra Stato e religione)190. È sin da ora

possibile evidenziare come un approccio sostanzialmente universalista alla tutela dei diritti fondamentali mal si concili con il riconoscimento di diritti culturali (differenziati) in capo alle minoranze. Ulteriore ostacolo a una tutela forte dei diritti culturali (e in particolare del diritto alla libertà religiosa), è il concetto di laïcité, profondamente radicato nella tradizione costituzionale francese che, pur in assenza di una sua definizione univoca da parte della dottrina (al punto che si è detto che la laïcité differirebbe dalla laicità, poiché la seconda proteggerebbe lo Stato dall’influenza della religione, mentre la prima

187 Si vedano sul tema: P. ROSANVALLON, La société des égaux, Paris, Seuil, 2011; P. BILANCIA, Società multiculturale: i diritti delle donne nella vita familiare, cit., 3 ss.; A. FACCHI, I diritti nell’Europa multiculturale, cit., 14 ss.

188 Si veda sul punto, e per una ricognizione delle origini storiche del modello francese, E. GROSSO, L’integrazione alla francese: tra assimilazione e differenza, cit., 65 ss. Si veda inoltre C. MARTINELLI, Il modello di integrazione della Gran Bretagna, cit., 17 ss., che evidenzia come il modello francese trovi

origine in un approccio coloniale specularmente opposto rispetto a quello britannico, volto alla “francesizzazione” delle colonie.

189 Per quanto riguarda il MPI, la Francia registra 1 punto con riferimento a: previsione della doppia

cittadinanza; finanziamenti e sovvenzioni alle associazioni rappresentative delle minoranze. Registra 0 punti in tutte le altre categorie. Per quanto riguarda il MIPEX, la Francia ha riportato i seguenti punteggi: eguaglianza e pari opportunità nell’accesso e nella mobilità con riferimento al mondo del lavoro (54); interventi sul sistema scolastico ai fini di adattarlo alle necessità delle seconde generazioni di migranti (32); possibilità per le nuove minoranze di partecipare alla vita politica (53); trasparenza ed accessibilità del procedimento per l’ottenimento della cittadinanza (61); trasparenza ed accessibilità del procedimento per il ricongiungimento familiare (51); trasparenza e accessibilità del procedimento per l’ottenimento di permessi di residenza permanente (48); misure contro la discriminazione etnica, razziale, religiosa o nazionale (76).

proteggerebbe il cittadino dalla religione), ha grandemente influenzato il modello assimilazionista191. In ogni caso si può ritenere che la laicità alla francese sia da intendersi

come laicità negativa, che tendenzialmente impone un’esclusione delle manifestazioni della libertà religiosa dalla sfera pubblica.

L’esempio più immediato del modello assimilazionista sopradescritto è rappresentato dall’approccio del legislatore e dell’autorità giudiziaria francesi alla questione dei simboli religiosi. Nel 2010, con la loi interdisant la dissimulation du visage dans l’espace

public192, è stato infatti introdotto il divieto generalizzato di indossare il cosiddetto velo

integrale (burqa o niqab) in luoghi pubblici, aperti al pubblico o nei quali si svolge un servizio pubblico. Nonostante la norma faccia formalmente riferimento a qualsiasi mezzo idoneo a nascondere il volto, essa è in realtà diretta a colpire il velo islamico, come apertamente ammesso dai proponenti nei lavori parlamentari che hanno portato alla sua approvazione193.

La legge in esame è stata peraltro successivamente portata, con il celebre caso S.A.S. v.

France194, dinnanzi alla Corte EDU che, con una decisione estremamente controversa, ha

ritenuto che nonostante la norma comporti una compressione dei diritti al rispetto della vita privata e familiare e alla libertà religiosa di cui agli artt. 8 e 9 della Convenzione, detta compressione possa essere ricondotta al fine legittimo della protezione dei diritti e della libertà altrui. Più precisamente la Corte, prendendo atto della particolare interpretazione del rapporto tra laicità e spazio pubblico tipica del costituzionalismo francese, ha ritenuto che detto fine debba considerarsi legittimo in considerazione della particolare importanza che il vedersi in volto ha, in Francia, nelle dinamiche di interazione sociale secondo il principio del vivere insieme (“vivre ensemble”). La compressione dei diritti (culturali) delle donne appartenenti alla minoranza musulmana è stata quindi ricondotta nell’ambito del margine di apprezzamento riconosciuto agli Stati.

191 Sul concetto di laïcité e sulla mancanza di una sua definizione univoca si veda H. T. SALTON, France’s other Enlightenment: laïcité, politics and the role of religion in French law, in Journal of politics and law;

vol. 5, n. 4; 2012.

192 Cfr. loi n. 2010-1192 dell’11 ottobre 2010.

193 I lavori preparatori fanno espresso riferimento alla necessità di tutelare i valori repubblicani, messi a

repentaglio dalla pratica di indossare il velo integrale, descritto come una manifestazione di un espresso rifiuto di detti valori, oltre che una pratica caratterizzata da una “violenza simbolica e deumanizzante”. Cfr.

Assemblée Nationale, projet de loi n. 2520, 19 mai 2010.

La regolamentazione in questo senso della questione del velo islamico si pone del resto in linea di continuità con un orientamento legislativo e giurisprudenziale consolidato ormai da decenni, che aveva vietato l’ostentazione di simboli religiosi da parte dei dipendenti pubblici che eroghino un pubblico servizio, ai fini di garantire la neutralità dello Stato, e dunque di proteggere l’utente da indebite interferenze religiose, fosse anche solo per l’effetto non già di un indottrinamento attivo, bensì di simboli “passivi” come il velo o il crocifisso195.

Identico l’approccio con riferimento al sistema scolastico, e dunque al diritto all’istruzione nella sua accezione positiva e negativa (oltre che al diritto dei genitori a crescere i figli secondo le proprie convinzioni): da un lato sono state infatti approvate apposite norme, come ad esempio la loi sur les signes religieux dans les écoles publiques del 2004196, che hanno vietato di indossare simboli religiosi di qualsiasi tipo nei locali

della scuola pubblica primaria e secondaria (anche in questo caso recependo un orientamento giurisprudenziale ormai risalente), e dall’altro sono state implementate delle politiche espressamente volte a inculcare i valori della cultura maggioritaria negli studenti delle scuole dell’obbligo. Si pensi, per fare un esempio recente, al programma in undici punti presentato dall’allora Ministro dell’Istruzione Najat Vallaud-Belkacem nel 2015, che prevede, tra le altre cose: corsi di formazione per gli insegnanti ai fini di renderli in grado di trasmettere i “valori della Repubblica”; preferenza, nel reclutamento del corpo docente, per gli insegnanti che dimostrino di saper spiegare i valori della Repubblica; celebrazione dei riti e dei simboli repubblicani (bandiera, inno); istituzione di una “giornata della laicità”; sanzioni per gli studenti che attuino condotte contrastanti con i valori della Repubblica; istituzione di un “corso di educazione morale e civica”197.

L’approccio assimilazionista appena descritto è traslato anche ai diritti linguistici, con politiche volte a imporre il francese quale lingua ufficiale, e dunque con scarsi livelli di tutela per le lingue delle minoranze (storiche e nuove). In questo senso, un’apposita

195 Cfr., ad esempio: CE, 8 décembre 1948, Demoiselle Pasteau, n. 91.406; CE, 3 mai 1950, Demoiselle Jamet, n. 98.284; CE, Avis 4 / 6 SSR, du 3 mai 2000, 217017. Si vedano sul tema: S. ANGELETTI, Il divieto francese al velo integrale, tra valori, diritti, laicité e fraternité, in Federalismi.it, n. 1, 2016; N.

MARCHEI, Ebrahimian c. Francia: una nuova vittoria per il principio di neutralità dello Stato, in

Quaderni costituzionali, n. 1, 2016, 143 ss. 196 Cfr. loi n. 2004-228 del 15 marzo 2004.

197 Il piano completo, denominato “Onze mesures pour une grande mobilisation de l'École pour les valeurs de la République”, è consultabile su http://www.education.gouv.fr/cid85644/onze-mesures-pour-une-

riforma costituzionale (dell’articolo 2 Cost.) del 1992 ha espressamente introdotto in Costituzione il riconoscimento del francese come lingua della Repubblica198. Detta

previsione costituzionale ha, ad oggi, impedito alla Francia di ratificare la Carta delle Lingue Regionali o Minoritarie del Consiglio d’Europa (adottata proprio nel 1992, tanto da far sorgere qualche dubbio sulle finalità della revisione costituzionale francese): l’ultimo tentativo di ratifica, promosso dal Presidente Hollande, ha visto prima il parere negativo del Consiglio di Stato (che ravvisava, conformemente al Conseil

Constitutionnel, la violazione dei principi di eguaglianza e indivisibilità della

Repubblica)199, e poi il voto contrario del Senato.

Per comprendere l’intensità della tutela della lingua maggioritaria nell’ordinamento francese, basti prendere ad esempio la loi relative à l'emploi de la langue française (cosiddetta “loi Toubon”) del 1994, che impone l’utilizzo della lingua francese in tutte le pubblicazioni statali, in tutte le pubblicità, su tutti i luoghi di lavoro, nei contratti commerciali e in tutte le scuole che ricevano fondi statali200. La legge in esame ha portato,

tra le altre cose, alla comminazione di sanzioni in capo ad aziende americane che fornivano materiale tecnico nella solo lingua inglese ai loro dipendenti delle sedi francesi201.

Un approccio fortemente assimilazionista è riscontrabile anche con riferimento alla regolamentazione di pratiche culturali minoritarie come, ad esempio, la poligamia. Anche in Francia, come nel resto d’Europa, la bigamia è reato, punito dall’articolo 433-20 del

Code pénal. Con riferimento ai matrimoni poligamici contratti all’estero, vige dal 1993

nell’ordinamento francese un divieto totale di ricongiungimento con mogli ulteriori rispetto alla prima202. Il legislatore francese ha tuttavia ritenuto di non limitarsi al divieto

di ricongiungimento pro futuro, ma è intervenuto anche sui nuclei poligamici esistenti, e

198 Cfr. loi constitutionnelle n. 92-554 del 25 giugno 1992. Vero è che le lingue regionali sono state

successivamente riconosciute al livello costituzionale, all’articolo 75-1, dalla loi constitutionnelle n. 2008- 724, ma vero è altresì che tale riconoscimento è stato subordinato alla rassicurazione che “in nessun caso potrà essere messa in discussione la centralità del francese che esprime il principio costituzionale della unità del popolo e della sovranità presso di lui”. Si veda M. CAVINO, La costituzionalizzazione delle lingue

regionali come vicenda emblematica dei rapporti tra sovranità e autonomia in Francia, in Annuario DRASD 2010, Milano, Giuffrè, 2010, specie 115.

199 Cfr.: Conseil d’État, avis n. 390.268 del 30 luglio 2015; Conseil constitutionnel, décision n. 99-412 DC

del 15 giugno 1999.

200 Cfr. loi n. 94-665 del 4 agosto 1994.

201 Cfr. Cour d’Appelle de Versailles, décision n. 127 del 2 marzo 2006, R.G. n°05/01344, GE Medical Systems vs. GE Medical Systems SCS Works Council.

dunque su quelle famiglie che già vivevano in Francia in una relazione poligamica sulla base di permessi di soggiorno precedenti al divieto di ricongiungimento del 1993. La politica adottata dal Governo francese, nota come “décohabitation”, prevedeva il rinnovo automatico del permesso di soggiorno unicamente per la prima tra le mogli che avesse fatto ingresso nel territorio dello Stato (la prima a entrare in Francia in ordine cronologico, indipendentemente dal fatto che ella sia stata sposata per prima dal marito); per quanto riguarda il marito e le mogli ulteriori, essi venivano fortemente incentivati a lasciare la casa coniugale e reperire una separata soluzione abitativa, in quanto in caso contrario avrebbero rischiato di incorrere nella trasformazione del visto in visto temporaneo. Detto processo era peraltro facilitato con la predisposizione di apposite agevolazioni (in particolare con riferimento ai servizi sociali e alla disponibilità di apposite soluzioni abitative) per le donne che avessero deciso di abbandonare il nucleo poligamico203. Giova

evidenziare peraltro che la poligamia viene ritenuta, per il tramite di interpretazioni rese con apposite circolari ministeriali, riconducibile alle condotte sintomatiche della mancanza di una “assimilazione alla comunità francese”, che ai sensi degli articoli da 21 a 24 del Code civil preclude la concessione della cittadinanza204.

Come si è visto, quindi, il modello francese (e i modelli assimilazionisti in generale), consente che il legislatore implementi delle politiche proattive volte espressamente a reprimere specifiche pratiche culturali che siano percepite come incompatibili con i valori e i principi fondanti dell’ordinamento. Un modello assimilazionista siffatto presuppone, tuttavia, una gerarchizzazione delle culture, o quantomeno la nozione che alcune culture siano “recessive” rispetto alla cultura maggioritaria, con la conseguenza che, in ultima analisi, le politiche sopradescritte risultano finalizzate a sradicare l’appartenente alla minoranza culturale ai fini di poterlo poi meglio assimilare205.

Un’impostazione di questo tipo comporta una serie di problematiche con riferimento al principio di eguaglianza e non discriminazione, atteso che l’identità culturale (nella forma dell’identità religiosa o etnica) diviene il fattore determinante nella selezione per via legislativa delle condotte vietate nell’ordinamento. Ciò emerge con chiarezza nel caso

203 Per un’approfondita analisi sulla politica francese della décohabitation si veda V. FEDERICO, La Francia si interroga sulla poligamia, in Quaderni costituzionali, n. 2, 2010, 371 ss.

204 Cfr. Circulaire DPM n. 2000-254 del 12 maggio 2000, per cui “la polygamie effective, caractérisée par l’existence de plusieurs unions simultanées, est constitutive d’un défaut d’assimilation qui entraîne l’irrecevabilité de la demande”.

della décohabitation: una condotta non penalmente illegittima nell’ordinamento (vivere

more uxorio con più di una donna) viene vietata (o comunque fortemente disincentivata)

quando essa viene posta in essere dall’appartenente alla minoranza culturale, mentre la medesima condotta sarebbe perfettamente lecita nel caso in cui essa fosse posta in essere da cittadini francesi206. Ad essere illecita o vietata non è pertanto la condotta in senso

oggettivo, in quanto espressiva di un qualche disvalore sociale, bensì il motivo soggettivo (culturale) per cui detta condotta è stata posta in essere, con evidenti conseguenze con riferimento al principio di legalità, oltre che in termini di invasività della sfera più intima dell’individuo da parte dello Stato.

In generale quindi il modello francese giustifica una compressione significativa dei diritti fondamentali, e in particolare dei diritti culturali, delle minoranze, ai fini di tutelare i principi e i valori ritenuti identificanti e irrinunciabili per l’ordinamento. Ciò emerge con chiarezza sia nel caso del velo integrale, che nel caso della poligamia, in cui la libertà religiosa (nella sua sfera esterna, e dunque la manifestazione pubblica del credo religioso) viene completamente negata per salvaguardare i valori di laicità ed eguaglianza. Trattasi peraltro di una tutela quantomeno ambigua, se si considera che, ai fini di tutelare la parità di genere e la libertà di autodeterminazione della donna, si finisce per negarle qualsiasi scelta con riferimento all’esercizio di diritti personalissimi, vietandole di adottare le pratiche in esame anche laddove l’adesione alle stesse sia stata pacificamente libera e informata (come del resto era accaduto nel caso S.A.S. v. France).

In ogni caso, la principale critica che viene mossa al modello francese è che, a fronte di un considerevole sacrificio dell’appartenente alla minoranza culturale, che vede fortemente compressi alcuni suoi diritti fondamentali (per il tramite della richiesta di assimilazione), la promessa di integrazione resta sulla carta, in quanto alla cittadinanza (formalmente concessa) non si accompagna il riconoscimento sociale (sostanzialmente negato), con conseguenze traumatiche in termine di disgregamento della coesione sociale207. Del resto, anche la dottrina che lo ha ritenuto in qualche misura preferibile al

modello inglese riconosce come lo stesso abbia di fatto paradossalmente avuto il medesimo problematico effetto: la sostanziale ghettizzazione delle minoranze culturali,

206 Si segnala tuttavia che il Governo francese ha espresso, in alcune occasioni, aperture in favore di una

riforma del Code civil che introduca la possibilità di spogliare della cittadinanza chi dovesse praticare la poligamia. Cfr. ad esempio C. GABIZON, Code de la nationalité: les pistes d’une réforme, in Le Figaro, 4 maggio 2010.

che vengono escluse dalla vita sociale e finiscono per auto-segregarsi pur di conservare il proprio stile di vita208.

Nel documento Diritti multiculturali in cammino (pagine 170-177)