Diritti culturali dell’umanità divenuti diritti fondamental
6. I diritti culturali fondamentali nell’ordinamento italiano Un possibile catalogo
Occorre ora interrogarsi, alla luce della ricostruzione operata nei paragrafi precedenti, su quali siano i diritti culturali fondamentali nell’ordinamento costituzionale italiano. A tal fine, bisognerà distinguere tra i diritti culturali che possono già ritenersi inclusi nel catalogo della Costituzione repubblicana, e diritti culturali che possono trovare ingresso nell’ordinamento per il tramite dell’apertura internazionalistica dello stesso. In generale, non sembra potersi negare l’ingresso nell’ordinamento ai diritti culturali in quanto categoria, atteso che essi possono certamente trovare un fondamento costituzionale nel combinato disposto degli articoli 2, 3 e 9 Cost., e dunque nella declinazione della tutela costituzionale della cultura secondo il principio personalista e il principio di eguaglianza e non discriminazione, negli articoli 6, 7 e 8 Cost., e dunque nella tutela delle minoranze linguistiche e religiose e nel principio di laicità dello Stato, oltre che negli articoli 10, 11 e 117 Cost., e dunque nel principio dell’apertura internazionale dell’ordinamento. L’articolo 9 in particolare, secondo un’interpretazione che sia al contempo rispettosa dei principi sopradescritti ed evolutiva con riferimento all’evoluzione del concetto di cultura, è stato ritenuto una “disposizione manifesto”, il fondamento della salvaguardia, della valorizzazione e della fruizione di quel sostrato di beni, di conoscenze, di storia, di tradizioni che ogni individuo e ogni comunità riconoscono come proprie, e dunque una vera e propria “matrice” dei diritti culturali, intesi nella loro accezione più ampia155. In
questo senso, sarebbe possibile una lettura antropocentrica dell’articolo 9, come norma posta a tutela (anche) del pluralismo culturale e delle minoranze culturali156.
Con riferimento invece agli articoli 10, 11 e 117 Cost., è noto come le fonti del diritto internazionale convenzionale, pur non potendo incidere direttamente sull’impianto costituzionale, possano da un lato fungere da punto di riferimento delle disposizioni costituzionali laddove presentino una disciplina più dettagliata e di specifica articolazione di queste ultime, e dall’altro pongano un obbligo di attuazione in capo al legislatore e di applicazione in capo al giudice157. Quanto appena affermato, come noto, a maggior
ragione in seguito alla riforma dell’articolo 117 Cost. del 2001, che impone l’esercizio della potestà legislativa statale e regionale nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Per quanto riguarda quindi, in primo luogo, il diritto fondamentale alla cultura, diverse voci in dottrina si sono espresse favorevolmente circa un suo riconoscimento, declinandolo secondo molteplici accezioni. E così si è sostenuta la configurabilità nell’ordinamento italiano di un diritto alla cultura inteso come diritto ad accedere al patrimonio culturale e a fruire liberamente dello stesso, specie dopo il decreto legge n. 146/2015 (convertito con modificazioni dalla legge n. 182/2015), con il quale i servizi necessari a garantire la fruizione dei luoghi della cultura sono stati inclusi nel novero dei servizi pubblici essenziali di cui alla legge n. 146/1990, con riferimento ai quali è giustificata la compressione del diritto costituzionale di sciopero garantito dall’articolo 40 Cost., ai fini di mantenere attivi i livelli minimi del servizio158.
Altra dottrina ha sostenuto invece l’esistenza di un diritto alla cultura riconducibile alla sfera di tutela indiretta di cui all’articolo 21 Cost., che riconoscerebbe il diritto individuale
156 Si veda J. LUTHER, Articolo 9, cit.
157 Cfr., ad esempio: Corte Cost., sentenza n. 62/1981; Corte Cost., sentenza n. 1/2002. Si vedano sul tema,
per tutti: B. CONFORTI, Diritto internazionale, X ed., Napoli, Editoriale Scientifica, 2015; A. D’ATENA, La nuova disciplina costituzionale dei rapporti internazionali e con l’Unione europea, in Rassegna
parlamentare, 2002, 916 ss.; F. SORRENTINO, Nuovi profili costituzionali dei rapporti tra diritto interno e diritto comunitario, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2002; F. GHERA, I vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali nei confronti della potestà legislativa dello Stato e delle Regioni, in P. Carnevale, F. Modugno (a cura di), Trasformazioni della funzione legislativa,
Milano, Giuffrè, 2003.
158 Detto intervento del legislatore era dovuto al rilievo che sui principali mezzi di informazione era stato
dato ad una serie di scioperi e di assemblee sindacali che avevano portato alla chiusura di importanti siti culturali (tra cui ad esempio il Colosseo e Pompei) nel pieno della stagione turistica. Si veda sul tema P. BILANCIA, L’evoluzione del diritto alla cultura: la cultura come servizio pubblico essenziale, cit. Si veda inoltre, per una definizione di diritto alla cultura orientata secondo il combinato disposto degli artt. 9 e 33 Cost., G. REPETTO, Il diritto alla cultura, cit.
a informarsi, e dunque a “conseguire” la cultura, a divenire colti, nell’accezione storicamente più risalente del termine (cfr. cap. I, 1.)159.
Parte della dottrina si è inoltre espressa, in tempi recenti, in senso favorevole al riconoscimento nell’ordinamento italiano di un diritto alla cultura nel senso che qui interessa maggiormente, e dunque come diritto a mantenere la propria cultura o diritto alla libertà dell’identità culturale (rectius, all’autodeterminazione culturale), da configurarsi come libertà negativa, come limite alle politiche assimilazioniste poste in essere dallo Stato160. Con riferimento al fondamento costituzionale di un diritto siffatto,
esso dovrebbe essere ritenuto quasi un corollario necessario della vocazione personalista dell’ordinamento italiano, consacrata tra i principi costituzionali fondamentali dall’articolo 2 Cost., in particolare se letta in correlazione con il principio di eguaglianza e non discriminazione di cui all’articolo 3 Cost.
Atteso che è fuor di dubbio, come si è detto, la tutela dell’identità culturale nella misura in cui essa risulti sovrapponibile alla tutela che la Costituzione già riconosce a singole manifestazioni della cultura, quali ad esempio la religione (articoli 8 e 19), la manifestazione del pensiero (articolo 21) o la lingua (articolo 6), occorre interrogarsi sulla sussistenza di un quid pluris di tutela che non sia esaurito dal riconoscimento dei diritti appena menzionati. E così viene in rilievo, ad esempio, la protezione costituzionale accordata a pratiche culturalmente orientate che tuttavia non rispondano a logiche meramente religiose o linguistiche, che possono variare, solo per menzionarne alcune, dall’utilizzo di determinati capi di abbigliamento, all’osservanza di specifiche regole di condotta, a pratiche più problematiche come ad esempio il consumo cerimoniale di sostanze stupefacenti o alcune forme di modificazione del corpo.
Più precisamente, se si configura, come pare corretto, il diritto alla cultura come diritto fondamentale all’autodeterminazione culturale, e dunque come protezione dalle ingerenze statali nella cultura dell’individuo, occorre interrogarsi sulla liceità,
159 Si vedano in questo senso: M. MANETTI, La libertà di manifestazione del pensiero, in R. Nania, P.
Ridola (a cura di), I diritti costituzionali, vol. II, Torino, Giappichelli, 2001, 561; M. MAZZIOTTI DI CELSO, Lezioni di diritto costituzionale, Milano, Giuffrè, 1993, 167.
160 Si vedano in questo senso: P. BILANCIA, Diritto alla cultura. Un osservatorio sulla sostenibilità culturale, cit., 10; F. SCUTO, Diritti culturali e multiculturalismo nello Stato costituzionale, cit.; F.
BASILE, Immigrazione e reati culturalmente motivati. Il diritto penale nelle società multiculturali, Milano, Giuffrè, 2010; G. FAMIGLIETTI, Diritti culturali e diritto della cultura, cit., 113 ss. Sia inoltre consentito il rinvio a G. CAVAGGION, La cultural defense e il diritto alla cultura nello Stato costituzionale, in
nell’ordinamento italiano, di politiche di tipo assimilazionista con cui il legislatore tenti di imporre determinati valori o principi, rinunciando alla propria neutralità nella determinazione del bene comune. Dal momento che la Costituzione repubblicana poggia saldamente da un lato sul bene supremo della libertà individuale, e dall’altro sui principi personalista, democratico e solidarista, e che pertanto essa non mira di per sé all’assimilazione e all’integrazione forzata, disegnando invece un modello in ultima analisi aperto alle culture ed alla diversità culturale161, il riconoscimento di un diritto fondamentale a mantenere la propria cultura come protezione dalle ingerenze statali nella sfera più intima dell’individuo (quella dell’identità), appare insito (e quasi obbligato) nell’estrinsecarsi dei principi fondamentali sopraccitati.
Un diritto formulato in senso negativo nei termini sopradescritti potrebbe verosimilmente superare indenne la critica circa la natura meta-giuridica della cultura, così come l’ulteriore critica (conseguente) per cui il riconoscimento di un diritto a mantenere la propria cultura rischierebbe di operare una gerarchizzazione delle culture nella quale risulterebbero sacrificati i diritti fondamentali dell’appartenente alla cultura “sconfitta”162. Detta questione attiene infatti al bilanciamento che sarà operato dal
legislatore e dall’autorità giudiziaria tra diritto all’autodeterminazione culturale e altri diritti e interessi costituzionalmente tutelati, ma il fatto che tale diritto possa in astratto essere oggetto di bilanciamento (come tutti gli altri diritti e interessi nell’ordinamento) non può certo portare all’esclusione a monte di un suo riconoscimento, nella misura in cui esso risulti espressione di principi costituzionali fondamentali e debba essere garantito a ciascun individuo.
L’esistenza di un diritto alla cultura nell’ordinamento costituzionale italiano è stata inoltre negata sulla base di un argomento letterale, per cui nessun riferimento a un diritto siffatto sarebbe rinvenibile nel testo della Costituzione163. Detta obiezione non sembra tuttavia
condivisibile, poiché come noto la Corte Costituzionale, attraverso la propria attività interpretativa, ha considerevolmente ampliato il catalogo dei diritti fondamentali, ben al
161 Si veda G. ZAGREBELSKY, La virtù del dubbio, Roma-Bari, Laterza, 2007, 95. 162 Si veda V. ANGIOLINI, Diritto costituzionale e società multiculturali, cit.
163 Si veda M. CARCIONE, Per una definizione dei diritti culturali garantiti dall’ordinamento italiano,
cit., che peraltro dopo avere escluso sulla base di siffatto argomento letterale l’esistenza di un diritto alla cultura non esita a riconoscere l’esistenza di una vasta gamma di diritti culturali, similmente mai menzionati in Costituzione, sulla base della loro positivizzazione nel diritto internazionale convenzionale, positivizzazione di cui tuttavia, come si è visto, gode anche il diritto alla cultura.
di là dei limiti imposti dall’interpretazione letterale. L’opera ermeneutica della Consulta è risultata particolarmente efficace proprio ai fini di approntare un’adeguata tutela a quei diritti, pur non espressamente menzionati in Costituzione, relativi alla sfera personale più intima dell’individuo, e come tali necessari per una reale operatività del principio personalista di cui all’articolo 2 Cost.
Un diritto fondamentale all’autodeterminazione culturale potrebbe essere indubbiamente ricondotto nel novero di questo tipo di diritti, e anzi, si potrebbe addirittura argomentare che la giurisprudenza della Corte abbia già, implicitamente (ma non troppo), riconosciuto l’esistenza del diritto in esame. La Consulta ha infatti espressamente riconosciuto l’esistenza di un diritto fondamentale all’identità personale, da essa interpretato come un diritto “ad essere se stessi”, che tutela “le acquisizioni di idee ed esperienze, con le convinzioni ideologiche, religiose, morali e sociali che differenziano, ed allo stesso tempo qualificano, l’individuo”: l’identità è “un bene per sé medesima”, e “a ciascuno è riconosciuto il diritto a che la sua individualità sia preservata”, ai fini di tutelare “l’integrità della sfera personale” e la libertà di “autodeterminarsi nella vita privata”164.
Un’interpretazione della giurisprudenza sopradescritta secondo principio di eguaglianza non potrebbe che portare al riconoscimento di un diritto all’identità culturale, anche minoritaria, poiché se l’identità è tutelata essa non può essere tutelata solo in quanto conforme ai valori maggioritari.
Con riferimento al diritto fondamentale a partecipare alla vita culturale, che come si è visto è stato riconosciuto in diversi strumenti del diritto internazionale ovvero nelle Costituzioni di altri Stati, è più complesso arrivare a una conclusione univoca in merito alla sua configurabilità nell’ordinamento italiano. Atteso che la lettera degli articoli 9 e 33 Cost. non sembra risolutiva sul punto, la giurisprudenza della Corte Costituzionale si è inizialmente assestata nel senso di rinvenire nella tutela della vita culturale del Paese un interesse costituzionalmente rilevante, piuttosto che un diritto individuale165. Ancora una
volta, tuttavia, una lettura orientata secondo il fondamentale principio personalista, e in particolare secondo il combinato disposto degli articoli 2 e 9 Cost., non può che indurre a ritenere che la partecipazione ad attività culturali sia un elemento fondamentale, se non l’elemento fondamentale, per lo svolgimento della personalità dell’individuo. E del resto,
164 Cfr.: Corte Cost., sentenza n. 13/1994; Corte Cost., sentenza n. 332/2000. 165 Cfr.: Corte Cost., sentenza n. 269/2005; Corte Cost., sentenza n. 221/2007.
alcune sentenze della Consulta, pur non menzionando espressamente il diritto in esame, sembrano riconoscere indirettamente un diritto a partecipare alla vita culturale in capo a categorie “svantaggiate” quali ad esempio i detenuti o gli individui diversamente abili166.
Un diritto a partecipare alla vita culturale non può peraltro essere ritenuto del tutto sovrapponibile al sopraccitato diritto ad accedere e fruire del patrimonio artistico nazionale, atteso che il primo, al contrario del secondo, sembra postulare un ruolo attivo dell’individuo, che non è quindi mero fruitore del patrimonio culturale “statico” ma assume invece un ruolo di impulso nell’ambito delle attività culturali interessate, “facendo” cultura.
In ogni caso, il diritto in esame può certamente trovare ingresso nell’ordinamento italiano per il tramite del principio di apertura internazionalistica. Come si è visto infatti, si tratta di un diritto riconosciuto da quasi tutti gli strumenti del diritto internazionale convenzionale in materia di diritti umani, oltre che dalla giurisprudenza della Corte EDU, e dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea (che riconosce il diritto a partecipare alla vita sociale e culturale in capo agli anziani167). È stato peraltro evidenziato
come il diritto a partecipare alla vita culturale sia di norma implicito ed estrapolabile dal combinato disposto dei normali diritti civili garantiti a ciascun individuo, integrando un’espressione del fondamentale principio di dignità umana: la menzione della sola popolazione degli anziani nella Carta di Nizza deve essere ricondotta agli accorgimenti e alle attenzioni particolari che tale categoria richiede da parte dello Stato per potere fare un effettivo e pieno utilizzo del diritto in esame168. In questo senso il diritto a partecipare
alla vita culturale (e sociale) dovrebbe intendersi come diritto fondamentale comune a tutti gli ordinamenti costituzionali europei.
Per quanto riguarda il diritto dei genitori di educare e istruire i figli secondo le proprie convinzioni culturali, filosofiche e religiose esso, pur non essendo espressamente riconosciuto nella Costituzione repubblicana, può sicuramente essere dedotto dal combinato disposto degli articoli 2, 3, 8, 19, 21 e 30 Cost.169. In generale, uno Stato
166 Cfr., ad esempio: Corte Cost., sentenza n. 376/1997; Corte Cost., sentenza n. 251/2008.
167 Così l’articolo 25: “L’Unione riconosce e rispetta il diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa
e indipendente e di partecipare alla vita sociale e culturale”.
168 Si veda P. F. LOTITO, Art. 25, in R. Bifulco, M. Cartabia, A. Celotto (a cura di), L’Europa dei diritti. Commento alla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea, cit., 195 ss.
169 Si veda sul tema, per tutti, F. CUOCOLO, Lezioni di diritto pubblico, IV ed., Milano, Giuffrè, 2006,
pluralista dovrebbe rimanere indifferente rispetto al tipo di educazione che viene impartita all’interno delle famiglie, con il limite dell’interesse preminente del minore. Il diritto a educare i figli secondo le proprie convinzioni filosofiche e religiose è inoltre stato a più riprese ribadito dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia di affidamento della prole: la Corte ha più precisamente affermato che un tale diritto deve essere ricondotto ai poteri-doveri del genitore, e che la scelta di trasmettere determinati valori ai figli non è sindacabile dall’autorità giudiziaria e non può venire in rilievo in sede di affidamento, ancora una volta fintantoché detti valori non contrastino con l’interesse preminente del minore170.
Anche in assenza di tali, pur solide, basi nell’ordinamento interno, il diritto in esame troverebbe ugualmente ingresso nel sistema costituzionale per il tramite del già richiamato principio di apertura internazionale. Trattasi infatti di un diritto che, come si è visto, è ampiamente riconosciuto nel diritto internazionale convenzionale, oltre che dall’articolo 2 del primo Protocollo alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo171,
oltre che dall’articolo 14 comma 3 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea172. In definitiva si deve ritenere che il diritto culturale fondamentale in esame sia
certamente configurabile nell’ordinamento costituzionale italiano, tenuto sempre ben presente il limite naturale che esso incontra nell’impostazione “puerocentrica” dell’ordinamento stesso, e dunque nella tutela dei diritti fondamentali del minore173.
Proprio l’impostazione puerocentrica che ha caratterizzato l’approccio ai diritti fondamentali nell’ambito familiare dovrebbe indurre ad affiancare, al diritto dei genitori di crescere i figli secondo le proprie convinzioni, il diritto dei figli a essere cresciuti con modalità tali da sviluppare nel fanciullo il rispetto dei suoi genitori, della sua identità, della sua lingua e dei suoi valori culturali, il rispetto dei valori nazionali del Paese nel
170 Cfr., per tutte: Cass. Civ., sez. I, sentenza n. 15241 del 6 agosto 2004; Cass. Civ., sez. I, sentenza n. 1401
del 7 febbraio 1995; Cass. Civ., sez. I, sentenza n. 4892 del 9 agosto 1988; Cass. Civ., sez. I, sentenza n. 4498 del 23 agosto 1985.
171 Così l’articolo 2: “Il diritto all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno. Lo Stato, nell’esercizio
delle funzioni che assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere a tale educazione e a tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche”.
172 Così l’articolo 14 comma: “La libertà di creare istituti di insegnamento nel rispetto dei principi
democratici, così come il diritto dei genitori di provvedere all’educazione e all’istruzione dei loro figli secondo le loro convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche, sono rispettati secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”.
173 Si veda P. BILANCIA, Società multiculturale: i diritti delle donne nella vita familiare, in www.dirittifondamentali.it, n. 1, 2012, 9.
quale vive, del Paese di cui può essere originario e delle civiltà diverse dalla sua, così come delineato nell’articolo 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia del 1989. Trattasi di diritto che può essere ritenuto sussistente in conseguenza della ratifica da parte dell’Italia della Convenzione in oggetto, e che peraltro non è sconosciuto all’ordinamento interno, se si considera che la legge n. 184 del 4 maggio 1983 (recante “disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori”), dopo la novella del 2001 (legge n. 149 del 28 marzo 2001) espressamente riconosce al minore, all’articolo 1, il diritto a essere educato nel rispetto della sua identità culturale174.
Si è proposto inoltre di includere nel catalogo dei diritti culturali riconosciuti nell’ordinamento italiano il diritto a godere dei benefici del progresso scientifico e delle sue applicazioni, così come formulato per la prima volta dall’articolo 15 comma 1 lettera b) del Patto sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (e poi ripreso in altre fonti pattizie)175. L’inclusione di tale diritto non appare tuttavia convincente, almeno nei
termini in cui esso viene comunemente definito: la norma sopraccitata appare infatti prevalentemente programmatica, atteso che il suo contenuto concretamente prescrittivo risulta quasi inafferrabile, tanto che essa potrebbe al più essere ricondotta nel novero dei principi (un paragone potrebbe essere tracciato, in questo senso, con il disposto del primo comma dell’articolo 4 Cost.). Inoltre, il principio della partecipazione dell’individuo ai progressi scientifici e tecnici dovrebbe essere ritenuto implicito e necessario, nonché automaticamente operante, alla luce del combinato disposto degli articoli 2, 3 comma 2 e 9 comma 1 Cost., secondo una lettura della tutela accordata alla ricerca scientifica e tecnica conforme al principio personalista e di eguaglianza sostanziale.
Discorso analogo può essere svolto con riferimento alla teorizzazione di un “diritto alla promozione della cultura”, il cui fondamento si troverebbe nell’articolo 15 comma 2 del Patto sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, ovvero di un “diritto alla protezione del patrimonio culturale”, che troverebbe fondamento nella Convenzione per la protezione dei Beni Culturali in caso di conflitto armatodel 1954176. Sembra trattarsi, anche in questo
caso, di principi e non di diritti, atteso che la promozione della cultura e la salvaguardia
174 Così l’articolo 1 comma 5: “Il diritto del minore a vivere, crescere ed essere educato nell'ambito di una
famiglia è assicurato senza distinzione di sesso, di etnia, di età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del minore e comunque non in contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento”.
175 Si veda M. CARCIONE, Per una definizione dei diritti culturali garantiti dall’ordinamento italiano,
cit., 319.
del patrimonio culturale, anche nell’ordinamento italiano, possono verosimilmente trovare ingresso come criterio ispiratore e finalità dell’azione statale (alla luce del disposto dell’articolo 9 Cost.), ovvero come interessi costituzionalmente rilevanti, più che come diritti fondamentali dell’individuo.
Qualche perplessità suscita altresì la riconducibilità del diritto alla proprietà intellettuale nel novero dei diritti culturali, pur ipotizzata da alcuni autori177. Più precisamente, sembra
sicuramente da escludersi che possa essere ricondotto ai diritti culturali il diritto alla proprietà intellettuale nella sua accezione materiale, atteso che esso sembra configurarsi come diritto di proprietà, e non come diritto fondamentale in senso stretto178.